Prato

FORUM/Ci vorrebbe un progetto per Prato…

TOSCANAOGGI. Proprio su questo numero di Toscanaoggi viene presentato il documento dei Vescovi toscani pubblicato alla vigilia della campagna elettorale. Merita soffermarsi su due passaggi. In primo luogo i Pastori delle Chiese della Toscana affermano che «vogliono favorire il risveglio delle coscienze», che oggi sembrano spesso addormentate. Poi affermano, rivolgendosi a coloro che ricoprono incarichi politici: «Cercate di elevare il dibattito elettorale con la formulazione e la proposta di programmi di alto contenuto, che sappiano coniugare la speranza col realismo. Dall’amore alla verità e al bene integrale della vita e della convivenza sappiate trarre idee e progetti che diano respiro alla politica e tocchino la mente e il cuore della gente. I cristiani dovrebbero essere i primi in questo». Potremmo partire proprio da qui: come coniugare a Prato «speranza e realismo»?

CAPONI. «Di fronte ai molti problemi che assillano il nostro paese, una comunità locale è chiamata ad aprirsi ai contributi esterni ed ad interrogarsi sulla propria identità e sulla propria missione, chiamando a raccolta le migliori energie morali. Speranza e realismo si coniugano se la politica riesce a rimettere al centro la persona e, tra le persone, quelle più deboli. Il meccanismo delle delega, inevitabile in una società complessa come la nostra, deve essere accompagnato da una più attenta ritessitura dei rapporti tra la comunità, nelle sue varie espressioni, ed il gruppo dirigente che è chiamato ad interpretarne i bisogni e ad attuarne la realizzazione pratica. Fondamentale è quindi definire contenuti e metodi del fare politica nei diversi ambiti di attività, come altrettanto importante è valutare il modus operandi del politico. Oggi particolarmente lo stile della politica diventa sostanza: sobrietà, trasparenza, responsabilità, moralità personale, familiare e pubblica, competenza, passione civile, creatività, apertura mentale, rispetto dell’avversario diventano i nuovi parametri di riferimento per valutare la bontà dell’azione politica ed amministrativa».

FANFANI. «Sono convinto che per coniugare speranza e realismo occorre trovare un nuovo modo di approcciarsi alla politica e alle forme di rappresentanza. C’è bisogno di una nuova capacità di mettere in relazione il livello dell’amministrazione e quello della comunità. Di fronte ad un modello verticistico, le forme di rappresentanza sono sempre più in crisi. Bisogna quindi approdare a forme di “governance”, come viene chiamata, ma potremmo dire di «partecipazione», in modo da favorire il riavvicinamento tra chi governa e chi è governato. La governance può rappresentare un modello di grande significato anche per il disegno urbanistico della città. Da qui una riflessione sul dato dell’identità, che oggi va pensato non più come un dato acquisito, ma che si costruisce attraverso un processo di interazione e di riconoscimento reciproco tra le diverse entità che costituiscono la società. Nasce così una visione condivisa del bene comune, che passa proprio dall’ascolto della società da parte di chi amministra».

GUARDUCCI. «Perché oggi si parla di crisi? Attenzione: crisi economica, ma anche di valori. Credo perché tutti abbiamo fatto degli errori. Prendiamo due aspetti, che ritengo fondamentali. Il primo è l’invecchiamento della società, dovuto anche alla sbagliata politica familiare – e fiscale familiare – perseguita in anni e anni. Il modello sociale italiano, di fatto, non ha favorito, anzi ha colpito la famiglia. Il venir meno della famiglia, della solidarietà familiare e dei valori che vi sono connessi ha portato sempre più a rinchiudersi nella nicchia del benessere, un benessere superficiale a scapito di quello diffuso.La globalizzazione, ora, ci mette di fronte ai nostri problemi. Prato – ecco il secondo punto – sconta la crisi particolare del distretto. L’industria tessile, d’altronde, come ci insegna la storia economica, non è tipica dei paesi evoluti, ma di quelli che fondano la loro struttura ancora sull’impiego massiccio della manodopera. La ricerca che si può fare sul tessile è di stile, di moda, ma non di «processo».Sono convinto quindi che oggi bisogna fare dei progetti per volare un po’ più alto. Manca la fiducia nel futuro e così non siamo capaci di offrire visioni di speranza, anche perché si è accentuato lo squilibrio sociale: chi è ricco tende a mantenere le sue posizioni, anche in maniera egoistica; chi è povero, invece, spesso non ha la spinta per mettersi in discussione e migliorarsi. C’è una altro aspetto che vorrei sottolineare: in questo quadro si finisce per considerare negativamente anche l’eccellenza e la competitività, che a mio avviso, invece, rappresentano dei valori sui cui investire».

DEL CAMPO. «Parto da una riflessione. Dobbiamo prendere coscienza che eravamo una società povera e siamo diventati una società ricca e che questa ricchezza non si può più allargare, anche perché la gran parte del mondo non ne gode. Nasce da qui la nostra insicurezza: è difficile rinunciare a quanto si dà ormai per acquisito. I processi che oggi stiamo vivendo sono processi di “deprivazione relativa”, in quanto non è vero che ci stiamo togliendo delle cose, ma ci sentiamo deprivati rispetto a quello che potremmo acquisire. Oggi dobbiamo decidere se questa ricchezza – io la chiamerei “benedizione” – la vogliamo sprecare o la vogliamo condividere. Il passaggio verso la “benedizione”, in questi decenni, è avvenuto perché c’erano dei soggetti che la regolavano, delle leadership locali e nazionali. Oggi si vive un trauma perché non c’è nessuno che si candidi ad accompagnarci verso un ridimensionamento delle nostre acquisizioni. Le leadership, infatti, si pongono essenzialmente in un’ottica di garanzia. Da qui nasce la crisi della rappresentanza. Un tempo era una “rappresentanza a specchio”: per intendersi, «ero povero, rappresentavo il povero». Oggi c’è invece una rappresentanza virtuale, di cui a mio avviso il berlusconismo rappresenta l’esempio paradigmatico. Venuta meno la “rappresentanza a specchio”, è venuta meno anche la partecipazione. Allora, o la politica si radica di nuovo nei processi sociali, tornando a parlare e a camminare con la gente (chi va più a parlare nei quartieri, tra le case?) oppure la politica diventerà sempre più gestione del potere e basta. Questo tema lo metterei davvero all’ordine del giorno del dibattito: quanto la politica è in grado di ascoltare?».

SANESI. «Un laboratorio dove cercare di coniugare speranza e realismo nel nostro territorio è quello che metta in agenda il ripensamento del distretto economico. Credo che questo sforzo progettuale sia ormai urgente. Dovremmo a mio avviso iniziare a pensare al distretto come ad una trama di relazioni tra nodi diversi, con un cambiamento quindi che prima di essere economico è culturale. Sono convinta che possiamo superare la crisi se ripartiamo dal basso e dai fondamenti: scuola e cultura. Io del Vangelo amo molto la parabola dei talenti. Più che ad un’azione a pioggia, trovo efficace una politica che punti su dei progetti definiti e di valore, pur dando a tutti le opportunità di mettere a frutto i propri talenti. Sì, credo sia urgente una politica che parta dall’identità culturale – pensiamo al valore delle nostre istituzioni museali – per giungere alla scuola. Ecco che allora i giovani rappresentano l’investimento strategico per il futuro della città. Questo laboratorio sul senso del distretto porterebbe a ripensare al nostro essere pratesi. Al riguardo credo che non dobbiamo per partito preso legare completamente il nostro futuro al tessile: la politica deve sostenere la diversificazione del distretto».

TOSCANAOGGI. Irene Sanesi ci ha così introdotto nel tema che da ormai due anni tiene banco in città: il futuro del distretto tessile. Prato va alle urne in una situazione da molti giudicata la più grave dal dopoguerra dal punto di vista economico. Il distretto tessile è stato in pieno investito dalla globalizzazione. Ripensare il tessile significa ripensare la società pratese, che nel tessile si è sempre identificata. Irene Sanesi parlava di un «laboratorio». C’è bisogno di un progetto per Prato?

CAPONI. «Stiamo sicuramente vivendo una crisi epocale. I segnali sono evidenti – la scomparsa dei terzisti, la precarietà del lavoro giovanile, l’espulsione dal ciclo produttivo dei cinquantenni… – ma fanno da contraltare ad una deriva consumistica che si è fatta ormai preoccupante: siamo diventati un grande centro commerciale: non è un caso che sul senso della domenica la nostra Chiesa si sia soffermata a lungo in questi ultimi anni.Quale sarà il futuro? Va reinventato, non c’è dubbio. Ci sono due scuole di pensiero: quella che afferma che il tessile è un’economia con basso valore aggiunto, e come tale non può rappresentare ancora l’ossatura della nostra economia locale, e quella che richiama l’esperienza di altre realtà – pensiamo al tessile della Gran Bretagna – che abbandonando le loro produzioni tipiche si sono ritrovate alla disperazione, allo scontro sociale. Probabilmente bisogna riposizionarsi sul tessile, legandolo al terziario, e investire molto sul capitale umano. D’altra parte chi può escludere che in futuro si possa comunque mantenere l’attuale livello di produzione con la metà degli addetti? Contemporaneamente è necessario investire sulla diversificazione: Prato è ancora poco conosciuta, ma dal punto di vista culturale, storico, artistico, paesaggistico, ha grandi potenzialità da esprimere. Insomma, da una parte bisogna rafforzare le nostre identità, dall’altra aprirsi ad identità nuove. Sono gli stessi imprenditori a chiedere che la politica si assuma le sue responsabilità di guida». GUARDUCCI. La politica? Sì, certo, ma non più tardi di un mese fa il presidente della Regione Claudio Martini, in una sua trasferta pratese, ha chiesto agli imprenditori di mettere a punto un progetto: in questo caso è la politica che chiede aiuto all’economia. Dico questo perché probabilmente il percorso deve vedere un’interazione tra i vari soggetti.Dicevamo del futuro del tessile, dunque. Credo che i 40.000 addetti attuali dovranno subire un drastico ridimensionamento. Sono d’accordo con Caponi sulla ricerca di un maggior valore aggiunto per il nostro sistema produttivo. Tempo fa ho immaginato uno slogan: quanto sarebbe bello se potessimo concepire Prato come testa pensante del tessile mondiale. Questo significherebbe che non abbiamo perso la nostra identità di distretto. E significherebbe forse pensare ad una delocalizzazione che non significa smobilitazione, ma che ha bisogno di teste e di braccia – anche alcune braccia – nel nostro distretto».

CAPONI. «C’è comunque un problema di tempo: questi processi nel medio periodo si potrebbero realizzare e progettare, ma nel breve, cosa fanno i lavoratori?»

SANESI. «Oggi la grande frontiera è quella dei servizi alla persona…»

GUARDUCCI. «Sì, volevo arrivarci. È chiaro che le risorse umane che si libereranno dal tessile, andranno reimpiegate altrove. Credo particolarmente in codesto ambito».

SANESI. «E in questo il mondo cattolico ha una grandissima responsabilità. Pensiamo al servizio recentemente offerto a pagamento dal Consiag: basta comporre un numero telefonico e a casa arriva la baby sitter. Dietro a questa iniziativa ci saranno anche le persone più competenti, ma nei servizi alla persona è necessario un livello alto di garanzie e di affidabilità. In più – questo è il punto – in questo ambito è quanto mai necessario un bagaglio valoriale. Ecco, allora, il patrimonio ideale, di conoscenze e di competenze del nostro mondo. Il rischio è chiaro: questo “mercato” si amplia e si amplierà sempre più, dalla didattica agli anziani, ma se si perdono di vista i valori indispensabili, non di vero servizio si tratta. Sicuramente al riguardo c’è una responsabilità della politica, ma anche della Chiesa».

TOSCANAOGGI. Introduco solo un elemento in più su questo stesso punto della crisi economica: la trasformazione del distretto, che Prato ha davanti come sfida ineludibile, quanto sarà lasciata libera di delinearsi in base ai processi economici, e quanto, invece, può essere pensata e quindi guidata?

FANFANI. «Faccio una considerazione che vale anche per il governo del territorio. Da un lato è necessario un coinvolgimento dal basso, dall’altro anche uno sforzo di governo, che cerchi di strutturare questa visione di futuro. Uno strumento importante, che è stato adottato già in alcune realtà, come anche nella vicina Empoli, è quello della “prova di costruzione di scenari”. Costruire uno scenario significa immaginare come progettare il futuro e con quali azioni. In questo modo il futuro non è affidato ad una sorta di naturalità del divenire, ma diventa un costrutto che cerchiamo di definire in rapporto alle nostre esigenze di società. Prato aveva intrapreso un cammino di questo tipo con gli “Stati generali” promossi dal Comune due anni fa, ma mi sembra che non ci siano state ricadute pratiche».

DEL CAMPO. «Dobbiamo scegliere da quale punto di vista guardiamo alla crisi. Credo che la nostra ottica debba essere quella degli ultimi. Fino ad ora abbiamo sempre pensato a questi processi assumendo il punto di vista… della forza: grandi investimenti, grandi tecnologie…. Il nuovo secolo si è aperto invece dal lato della debolezza: nel senso che non abbiamo più risposte certe per uscire dalla crisi. Nessuno ha soluzioni pronte in tasca, ma le soluzioni nascono dalla collaborazione di tutti. Ecco, allora, che Prato forse non sarà più un distretto essenzialmente tessile, ma potrà essere un distretto di relazioni, che fa dialogare la produzione tessile con le risorse della cultura, con l’ambiente, la ricerca. Quest’ultima mi sembra che a Prato faccia una certa fatica, nonostante la sede dell’Università di Firenze».

FANFANI. «Effettivamente Prato ha sempre goduto di una grande ricchezza di capitale sociale, ma questa base ora si sta logorando. La riattivazione di questi canali relazioniali, di comunicazione, di scambio è un’arma formidabile per pensare al futuro in maniera ottimistica».

DEL CAMPO. «Credo che sia necessario, proprio per rilanciare questo patrimonio di relazioni, un “patto per Prato”, un patto che partendo da dei valori condivisi arrivi ad incidere sulle iniziative produttive. Nel mezzo, tra i valori e le iniziative produttive, ci sono le persone. In questo progetto potrebbe assumere un ruolo importante un “fondo per Prato”».

GUARDUCCI. «Io più volte ho fatto riferimento all’esperienza del Cogefis come esempio a cui guardare…».

DEL CAMPO. «Penso ad un fondo a cui contribuiscano i lavoratori, gli imprenditori e le istituzioni, per elaborare processi di intrapresa, dai servizi alla persona fino al tessile. Anche la Chiesa potrebbe essere protagonista, indicando delle strade maestre, dei valori-guida».

CAPONI. «Giustamente si osservava che a Prato non si parte da zero, perché c’è sempre stato un forte tessuto di relazioni. Oggi però questo tessuto va infrastrutturato in modo organico, altrimenti si rischia di perderlo per sempre. Così il governo della città non è più un’esclusiva di chi detiene il potere politico, ma si allarga anche a tutti quei soggetti che assumono e svolgono una responsabilità di natura pubblica. Oggi tutto questo manca. Le risorse infatti ci sarebbero anche, ma mancano gli scenari. Così, proprio mentre c’è la crisi, si sta fermi, invece di muoversi».