Prato

Isacco Maria, dal campionario al monastero. Ora tesse preghiera e lavoro

di Gianni RossiMonaco per sempre. Alla scuola di San Benedetto e di San Bernardo di Chiaravalle. È fra’ Isacco Maria Geraci, al secolo Carlo, 36 anni, pratese di S. Paolo. Domenica 11 luglio, nella festa del fondatore del monachesimo occidentale, ha detto il suo sì per sempre nell’Ordine cistercense in una suggestiva celebrazione di consacrazione monastica nell’Abbazia di S. Maria di Chiaravalle di Fiastra, a Tolentino (Macerata). La professione solenne l’ha compiuta nelle mani dell’Abate presidente della Congregazione italiana di S. Bernardo. A fargli festa c’erano i familiari con i due nipotini, tanti parenti e anche mons. Guglielmo Pozzi, parroco di San Paolo.È giunto così al termine un cammino iniziato nel 1998, quando Carlo, campionarista e poi dispositore tecnico alla Mapel, grossa industria pratese di pellicce sintetiche, varca il portone dell’antico monastero cistercense. «Sono convinto che una mano mi abbia condotto fino a qui», ci racconta. E a sentire la storia della sua vocazione c’è davvero da crederci. «Non ho avuto – racconta fra’ Isacco – una giovinezza cristiana. Ricevuta la Cresima, come molti ragazzi di quell’età, ho abbandonato la parrocchia. Sì, qualche volta alla messa andavo, ma molto saltuariamente». La sua vocazione matura così per vie imprevedibili, lontano da quegli ambienti a cui da sempre guardiamo come terreni adatti per la fioritura.«È intorno ai 25 anni – racconta ancora – che gradualmente ho avvertito in me un’esigenza nuova, quasi che si riaffacciasse un’interiorità fino ad allora trascurata». Carlo va alla ricerca dei luoghi dello spirito: passa la domenica pomeriggio a Vallombrosa, a Montesenario, cerca monasteri e conventi meno conosciuti. «Non sono tornato, almeno in un primo momento, alla messa. Entravo nelle chiese e restavo in silenzio e forse, senza accorgermene, ascoltavo me stesso».Le vie della Provvidenza – si sa – sembrano talvolta casuali. Nel 1996, in questa ricerca di nuove abbazie, Carlo acquista una guida ai monasteri d’Italia, la sfoglia e si sofferma sulla scheda di un monastero a lui del tutto sconosciuto, Chiaravalle di Fiastra. «Mi colpì l’offerta di ospitalità per massimo tre-quattro persone. Avevo bisogno di un’esperienza davvero a misura d’uomo». Così, per l’Epifania del 1997, Carlo varca per la prima volta il portone dell’antico monastero cistercense. «Fu un’esperienza bellissima di condivisione di vita monastica, in una cornice di grande suggestione, anche per la neve che ricopriva tutto l’Abbazia. Quello fu un assaggio. Ci tornai per le vacanze estive e così iniziò il mio vero e proprio discernimento vocazionale. Furono sei mesi intensi: il priore di Fiastra mi indicò Vallombrosa, perché più vicina e così ogni sabato salivo all’Abbazia per un lungo colloquio spirituale». La scelta si rafforza e così, nel 1998, arriva il passo decisivo. «Per me fu del tutto naturale entrare a Chiaravalle di Fiastra, laddove la mia vocazione è iniziata davvero». I genitori, nonostante una scelta così radicale, non reagirono male: «Certo, babbo e mamma pensano sempre al matrimonio per i figli, ma non mi hanno mai ostacolato», racconta fra’ Isacco.Il cammino di preparazione è durato sei anni, di cui uno vissuto a Roma per gli studi al Pontificio Ateneo S. Anselmo. Ora vive nella comunità seguendo la regola antica dell’Ora et labora. Sveglia alle 4,40, preghiera personale, Lodi, messa, colazione, lectio divina fino alle 8. Poi tutta una giornata scandita dal lavoro – nell’orto, tra gli animali dell’allevamento o dentro gli edifici abbaziali – e dalla preghiera. «La preghiera è indispensabile. Se non cibiamo la nostra anima – dice durante la nostra conversazione fra’ Isacco – ci portiamo dietro non un corpo, ma un cadavere».Ma cos’è – gli chiediamo – che le ha attirato particolarmente della spiritualità cistercense? «Sì, attirato. Perché credo – ci risponde fra’ Isacco – di essere stato attirato dal Signore fin qui. San Benedetto, nella sua regola, scrive di “Non anteporre nulla all’amore di Cristo”. Ecco, qui sono convinto che sta la ragione più vera della mia scelta».