di Gianni Rossi«Ha vinto il buon senso della gente comune». L’avvocato Gabriele Pica Alfieri, presidente del «Comitato Scienza & vita», non usa toni trionfalistici. «Siamo contenti che i cittadini abbiano compreso il senso del nostro invito all’astensione. Siamo contenti perché a vincere è stata davvero la difesa della vita». 45 anni, sposato con due figli, Pica Alfieri è responsabile dell’Unione Giuristi cattolici di Prato. Professionista affermato, ha condiviso con tante persone l’impegno per la difesa della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, girando per le parrocchie e le associazioni, tenendo incontri, avvicinando la gente. Quella vera, non quella raccontata in questi ultimi mesi dalla gran parte dei giornali e delle televisioni.25,9% di votanti in Italia, il 36,6 a Prato. Dica la verità, avvocato. Se l’aspettava un risultato così eclatante?«Del tutto inattesa è stata la misura del non voto. A Prato, particolarmente, i referendari si sarebbero potuti attendere ben altri risultati. Siamo stati colti di sorpresa, anche perché abbiamo assistito da mesi ad una campagna martellante del fronte del sì, sostenuta dalla quasi totalità degli organi di informazione».Come spiega quel 74,1% di cittadini che hanno scelto di non votare?«La vita non può essere messa ai voti era il nostro slogan e credo sia anche la chiave di lettura più pertinente di questo risultato. Infatti, anche ipotizzando nei referendum una soglia di astensione fisiologica superiore a quella delle elezioni, resta da spiegare il comportamento di milioni di cittadini». E come spiegarlo?«La gente ha capito che la salute della donna e la cura dell’alzheimer o del parkinson non c’entravano proprio niente con questi quesiti. Qui in ballo c’erano le sorgenti stesse della vita e la necessità di porre degli argini efficaci al potere delle biotecnologie. La stragrande maggioranza degli italiani ha compreso l’importanza della posta in gioco e ha rifiutato questa contrapposizione manichea, ritenendo – come noi abbiamo sempre sostenuto – inadeguato lo strumento referendario per una materia così terribilmente complessa e delicata. Insomma, nella gente c’è più buon senso di quanto si creda».Nel fronte del sì slogan e semplificazioni l’hanno fatta da padrone. Ora si dice che è una vittoria di Ruini e della Chiesa. Lei che ne pensa?«A Prato va alla messa il 19 per cento della popolazione. In Italia la media nazionale supera di poco il 20%. Sono i numeri a confutare questa lettura davvero sciocca: i cattolici sono una minoranza. Semmai mi pare di poter registrare una significativa, quasi inedita, compattezza del mondo cattolico. Due aspetti dovrebbero invece far riflettere: da una parte i grandi valori umanistici, che hanno l’origine più vera nella cultura cristiana – come appunto il rispetto del più debole e l’intangibilità della vita -, sono patrimonio comune di larga parte degli italiani; dall’altra il ruolo di autorità morale della Chiesa, amplificato dal Pontificato di Giovanni Paolo II – penso per esempio alla contrarietà alla guerra – è riconosciuto anche da tanti non credenti».Rileggendo questa campagna referendaria – così accesa – cos’è che soprattutto non ha condiviso?«L’intervento ufficiale e massiccio dei partiti della sinistra. Mi risulta davvero incomprensibile il loro schiacciamento sulle posizioni dei radicali, che sono lontanissimi dalla tradizione socialista. Un giudizio, questo, basato anche sulla valutazione che negli ultimi anni ci sono stati – comunque la si pensi – importanti punti di incontro tra la sinistra e i cattolici».Lei aveva più volte durante la campagna referendaria auspicato il dialogo. Un augurio anche per il dopo?«Sì, credo che il dialogo sia la strada maestra di ogni confronto culturale e politico. Anche per questo abbiamo avversato il referendum. Per quanto riguarda l’applicazione della legge 40, riterrei importante dare vita ad un Osservatorio nazionale»Quale futuro per il «Comitato Scienza & vita»?«Non perdiamoci di vista» è l’invito che sta passando tra le tante persone che si sono messe in gioco e ci hanno dato una mano. Questa esperienza di riflessione culturale e di impegno non deve essere dispersa. Direi che è stata importante anche per aver liberato tante energie del mondo cattolico, facendo lavorare insieme persone che provengono da esperienze diverse. Ci dobbiamo rendere conto che i progressi della scienza ci mettono la vita nella nostra piena disponibilità. È un fatto che fa tremare i polsi. Dunque è necessario essere attrezzati culturalmente per affrontare la modernità e le sfide del futuro».