Prato
Sanatoria agli immigrati? La città si interroga
di Damiano Fedeli
Un dato, da solo, dà bene il termometro della situazione. Nei primi cinque mesi del 2006 i nuovi stranieri che si sono rivolti alla Caritas diocesana di Prato sono aumentati di quasi il 13% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Mentre nella politica cittadina si anima il dibattito sulla lettera con cui il sindaco Marco Romagnoli ha chiesto al ministro degli Interni Giuliano Amato di andarci cauti prima di parlare di sanatorie per gli immigrati, le strutture che con gli stranieri hanno a che fare si confrontano con una realtà sempre più satura. E la discussione sul tema si allarga.
«La città deve ospitare solo quanti può sostenere con dignità in termini di casa, lavoro, diritto alla salute, scuola. Tutti i servizi che servano alla vita delle persone e che le tengano lontane dalla malavita organizzata», sostiene don Santino Brunetti, direttore della Caritas diocesana. «Prato è in testa nelle stime sui numeri dell’immigrazione e sta vivendo un momento critico. Il rispetto delle leggi va salvaguardato con una riflessione molto seria. Ci sono vari aspetti di cui tener conto: la clandestinità, da un lato, lede la dignità della persona. Dall’altro c’è la crisi economica, con la carenza di lavoro. Quello che occorrerebbe è una programmazione dei flussi fatta in modo più corretto. Più che pensare a sanatorie si dovrebbe poi allargare l’orizzonte e pensare a una responsabile politica internazionale, facendo qualcosa di concreto per i Paesi da cui queste persone, non certo volentieri, fuggono».
«Il ministro non ha proposto una sanatoria, ma la regolarizzazione di chi già lavora, per andare incontro alla domanda di famiglie e imprese», precisa Gabriella Melighetti, segretaria della Cisl pratese. «Noi siamo contrari al flusso incontrollato, ma siamo per la valorizzazione dell’inserimento lavorativo di fatto già in atto. Spesso nella programmazione dei flussi non si ha una risposta adeguata al rapporto fra domanda e offerta di lavoro. Quella del sindaco di Prato è una preoccupazione legittima, visto l’alto numero di persone che qui confluiscono. Non condivido però l’analisi che fa sulla manodopera dequalificata: è proprio il mondo imprenditoriale a richiedere lavoratori di questo tipo: non si cerca il capofabbrica, ma l’operaio». Secondo l’esponente sindacale «si può stimare che i lavoratori che hanno presentato domanda siano circa il doppio rispetto ai posti assegnati a Prato. Ma queste persone hanno alle spalle un’offerta di lavoro. E ora che fanno? Rimangono clandestini e lavorano in nero sottraendo anche risorse allo Stato?».
Le proposte che vengono dalle associazioni che più stanno a contatto con gli stranieri sono di vario segno. Ad esempio Celso Bargellini , responsabile del Centro Antirazzismo di Prato sostiene: «Dal momento che non si possono determinare con precisione i flussi, sia a livello nazionale, sia a livello locale, credo che si debbano mettere in atto delle serie politiche di contenimento. Politiche che passano attraverso i ricongiungimenti familiari, per la solida rete sociale che in questo modo si può creare. Ma anche attraverso un forte coinvolgimento del mondo industriale: un imprenditore dovrebbe essere incentivato a pescare nel bacino delle persone che già sono qui, senza che si generi nuova immigrazione incontrollata».