Prato
Vent’anni del carcere: la speranza e il disagio
Ma cosa si fa in carcere? Come si porta avanti a Prato la missione costituzionale che è non solo quella di proteggere la società esterna, ma anche di consentire un reinserimento e un’educazione di quanti sono finiti dentro? Alla Dogaia lavorano tre educatori con un capoarea, tre psicologi, tre assistenti sociali, due criminologi, 230 poliziotti penitenziari, oltre ad almeno 250 volontari. «La funzione educativa è trasversale a tutto quello che facciamo», spiega PasqualeScala , responsabile dei servizi educativi. Si comincia dall’istruzione in senso stretto. «Abbiamo dalla scuola dell’obbligo fino all’università», racconta. Per elementari e medie frequentate da un terzo dei detenuti, l’80% dei quali stranieri la Dogaia è in qualche modo una succursale della Mazzoni. Nel carcere pratese si può poi frequentare il triennio del Datini o i cinque anni del Dagomari. «Dal 2000, e in questo siamo stati pionieri in Italia, racconta Scala è stato istituito il Polo universitario grazie a una convenzione con l’ateneo fiorentino. Questi detenuti sono sottoposti a un regime definito “avanzato”, con sale computer e biblioteca, orari e condizioni migliori. Alla sezione accedono docenti, ricercatori, tutor e volontari per le lezioni e per gli esami». Sono 23 gli universitari della Media sicurezza, cui si aggiongono altri 25 dell’Alta sicurezza (per i quali sono previste però modalità diverse). «Qualche difficoltà c’è con chi dovrebbe frequentare laboratori o tirocini ma, ovviamente, non può», racconta la direttrice. «Abbiamo avuto anche il placet per un polo universitario regionale per l’Alta sicurezza», aggiunge Scala.
Altro elemento fondamentale è quello del lavoro. Spiega il responsabile dell’area educativa: «È una forte opportunità di risocializzazione, un aggancio per abbandonare la scelta deviante. Il lavoro avviene all’interno del carcere e serve al suo funzionamento: dalle pulizie alla cucina». Il detenuto percepisce uno stipendio («mercede») sulla base dei contratti nazionali delle rispettive categorie, commisurato alle ore lavorate. Un quinto è vincolato e viene riconsegnato al detenuto come piccolo patrimonio al momento dell’uscita. Il resto è dato a disposizione per le piccole spese: dal dentifricio a una quantità maggiore di cibo (420 euro mensili il tetto massimo di spesa). Le risorse disponibili e qui siamo alle note dolenti rendono possibili appena 150 posti di lavoro: per questo sono state introdotte forme di rotazione (turni di tre mesi circa) e part-time. Qualcosa è stato fatto e continua ad essere fatto con ditte esterne, oppure con l’aiuto di cooperative sociali (molte fanno capo al consorzio Astir), come la cura di un’azienda agricola all’interno del carcere. «Si tratta però di un’esperienza da ripensare per l’oscillazione dei ritmi di lavoro o per la puntualità dei pagamenti. Problemi ben noti a tanti giovani disoccupati fuori dal carcere, ma che, in una struttura come questa, pongono qualche difficoltà in più», sostiene Scala.