Prato

A Prato un laboratorio per il bene comune

L’appassionante sfida del «bene comune» è di grande attualità. Anzi costituisce un’emergenza. Tessere la tela di nuovo slancio etico per la politica, quella concreta e coraggiosa «per la città», è oggi una scelta necessaria – e non più rinviabile – per i cattolici impegnati anche su fronti e formazioni diverse. La Chiesa pratese, le sue donne e i suoi uomini, laicamente e con profondo rispetto per ruoli e istituzioni, possono costruire uno spazio di confronto e di progettualità prepolitica che – senza prevenzioni e preclusioni – faccia parlare tutti. È questa la sfida del «bene comune» che ci attende. Su queste premesse si può mettere in piedi un «laboratorio Prato» che rompa gli schemi di un dibattito, della città e della stessa Chiesa, troppo spesso fine a se stesso o al confronto tra i soliti noti.

Queste le considerazioni che – non esaurendo la ricchezza di un confronto articolato e con tante voci – nascono all’indomani del convegno promosso sabato 6 ottobre dal Gruppo Crocevia, dall’Ufficio pastorale del lavoro e dal Movimento lavoratori di Azione cattolica, in preparazione della quarantacinquesima Settimana dei cattolici, quella del centenario, che si svolgerà dal 18 al 21 a Pistoia e Pisa proprio sul tema appassionante del «bene comune». Concretezza e profezia, confronto con i problemi della quotidianità e capacità di guardare al futuro. Queste le scelte prioritarie di un tempo che richiede una nuova cultura e un nuovo linguaggio del bene comune. Qui e ora. Partendo dalla gente, dal lavoro, dalla casa, dalla città «crocevia di donne e uomini, di popoli». «Servono parole vere e indicative», ha detto il vescovo aprendo i lavori della mattinata. Mons. Simoni ha insistito sulla necessità di uno scatto d’orgoglio necessario per vincere il clima pesante di sfiducia della società pratese. «A Prato ci sono risorse economiche e intellettuali» ha sottolineato ancora una volta, lanciando un appello accorato a tutti gli attori, categorie economiche e soggetti istituzionali prima di tutto, perché si affermi una nuova capacità di sintesi e di soluzione dei problemi. Non poteva essere diversamente: la città multietnica, multiculturale e multireligiosa, è stata la prima protagonista del dibattito di sabato scorso. A introdurre il tema la relazione del professor Pietro De Marco, sociologo dell’Università di Firenze, che ha delineato la «questione multiculturale» e ha affermato la necessità che questa categoria entri, una volta per tutte, nella dottrina sociale della Chiesa. Dalla sociologia si è passati alla pastorale. «Gli stranieri hanno diritto a sedersi alla nostra tavola», ha detto don Helmut Szeliga, vicedirettore della Caritas, tracciando, con mons. Pierlugi Milesi che ha parlato del lavoro, lo scenario indiscutibile dell’accoglienza. Mons. Carlo Stancari ha indicato le caratteristiche della Chiesa del bene comune: radicata nella Parola, laboratorio di discernimento, in missione permanente, del mondo ma ad esso alternativa. E il futuro della città che vogliamo coltivare? «Luogo d’incontro tra uomini vivi – ha affermato mons. Mannucci – dove si afferma la centralità della persona. E prima di tutto quella dei più piccoli, dei bambini». Ottimo punto di partenza per il «laboratorio del bene comune». C.F.

(dal numero 36 del 14 ottobre 2007)