Prato

Moschea, la via del dialogo

«Non ci sarà nessuna moschea nella zona del Macrolotto zero e di via Pistoiese». L’assessore all’urbanistica Stefano Ciuoffo intende mettere una parola definitiva su una questione che da settimane infiamma il dibattito politico cittadino. «È una zona, quella, in cui bisogna casomai lavorare per ridurre la pressione», sostiene Ciuoffo che indica quali sono i paletti che l’amministrazione impone. «È evidente che la sede per un luogo di culto dev’essere individuata in uno spazio accessibile, che non rappresenti un carico urbanistico o sociale, che abbia sufficienti spazi per la sosta e che non crei traffico».Per capire tutta la questione, bisogna fare un passo indietro. Tutto è cominciato con la necessità da parte dell’Associazione dei Pakistani della Toscana, che ha sede a Prato di poter ingrandire la propria sede, che svolge anche la funzione di luogo di culto, in via Oberdan. Il dibattito che ne è seguito, a livello politico e fra la popolazione, si è infiammato, con toni accesi. Trasformandosi in un «moschea sì» contro «moschea no», a colpi di dichiarazioni ai giornali, raccolte di firme su fronti opposti. Alleanza nazionale e Forza Italia si sono fatte sentire in Consiglio comunale con diverse interrogazioni: hanno chiesto ad esempio i consiglieri di An Fulvio Ponzuoli e Maurizio Bettazzi se il Comune «ha previsto di partecipare e in che misura al finanziamento del progetto, come ha già fatto per il centro islamico». E scriveva  il coordinatore pratese di Forza Italia, Giorgio Silli: «I cittadini non vogliono l’ennesima polveriera sotto casa. Credo che l’amministrazione, quando è in gioco la sicurezza e soprattutto l’ordine pubblico, abbia il dovere di studiare, insieme a chi legittimamente chiede un ritrovo dove incontrarsi o pregare, il luogo più adatto dove realizzare quest’ultimo». Estremamente contraria la posizione della Lega («La Lega Nord di Prato dice no alle nuove moschee se prima non vengono date alla cittadinanza le necessarie garanzie in termini di sicurezza, legalità e reciprocità», scriveva Claudio Morganti, segretario provinciale del Carroccio) e della Destra che ha lanciato una petizione, mentre sul fronte opposto Municipio Verde lanciava un’analoga mobilitazione a favore. Intenso anche il dibattito promosso dalla Nazione al Laboratorio del tempo per giovedì scorso, con l’imam della comunità pakistana Mofeed Ahmad, l’assessore Frattani e il docente universitario Paolo Chiozzi.In generale, in città, toni si sono surriscaldati. «Forse troppo», sostiene ora Ciuoffo. «Lo intendo ribadire: non c’è nessun progetto formale di moschea. Quello che sta avvenendo è un semplice percorso condiviso con i rappresentanti dell’Associazione dei Pakistani, per individuare una sede, che serva loro da luogo di culto, in una zona dove non crei impatto sulla città e sulla popolazione». Dietro la scrivania di Ciuoffo c’è la foto del presidente Napolitano e un crocefisso: «Il territorio pratese è costruito così. Non ci sono solo i volumi delle case: l’identità è costruita dalle case e dalle piazze, dove si riconosce la municipalità, e dalle chiese. È evidente che alcune parti del territorio stiano subendo un carico eccessivo da parte delle comunità di stranieri. In quel caso gli equilibri si rompono, come ad esempio in via Pistoiese, e lì dobbiamo andare ad agire per ridurre la criticità».Su altre fedi che abbiano avanzato richieste su luoghi di culto, Ciuoffo ricorda che i buddisti cinesi, in piazza del Mercato nuovo, hanno avviato con gli uffici comunali un iter formale di riqualificazione per accentuare la funzione religiosa del loro luogo di ritrovo. E che gli evangelici hanno un progetto per un luogo di culto vicino alla Tangenziale, attualmente in standby perché nella stessa area andrà probabilmente la Guardia di finanza.

Frattani: un percorso condiviso individuerà la sede opportuna

«Quando parlo di multiculturalità in un momento come questo mi sembra di essere un pazzo. E in effetti mi sono ritrovato un po’ solo. Ma il discorso sui luoghi di culto è importante e va inserito in un processo di maturazione dell’immigrazione, di stabilizzazione e inclusione». L’assessore Andrea Frattani, con delega alla città multietnica, invita a moderare i toni: «Da una parte c’è l’Associazione dei pakistani, con circa 600 associati e un’ottantina di soci fondatori, che ha un’esigenza di maggiori spazi rispetto a quelli dell’attuale sede in via Oberdan. Dall’altra ci sono i cittadini della zona che chiedono, giustamente, che non sia creato un ulteriore aggravamento sulla zona. Qui entra in ballo la scelta politica, con la scelta del fondamento principale della sicurezza: il dialogo. Con questa associazione dialoghiamo da anni: da loro hanno accesso le donne, i cristiani, gli ebrei. Tutti liberamente. E non mi pare poco». Frattani ricorda come il Comune ha chiesto ai pakistani di desistere dall’intento di ingrandirsi nell’attuale sede e di aver incominciato il percorso per la ricerca di una nuova sistemazione.«Dialogare – sostiene – non è buonismo. Siamo in una città dove il 70% dei miganti sono ricongiunti. Così si possono mettere le basi per una vera città multietnica. Per questo ho apprezzato molto il gesto che nell’incontro di giovedì scorso ha fatto don Petre Tamas (presidente per la commissione diocesana Ecumenismo e dialogo interreligioso, ndr) che ha abbracciato l’imam Mofeed Ahmad. Un gesto simbolico di grande valore».

La libertà dei credenti e la saggezza dei governanti

Diciamolo subito: la libertà di culto è un diritto indiscutibile di ogni persona. Qualcuno, nel dibattito che si è sviluppato a Prato in queste ultime settimane sulla cosiddetta «moschea», probabilmente l’ha dimenticato.A noi cattolici e – crediamo – a ogni persona di buon senso, preme richiamare la reciprocità (in parole povere: i cristiani abbiano nei paesi islamici gli stessi diritti che i musulmani hanno da noi), ma la libertà religiosa, che attiene alla dignità stessa dell’uomo, non può certo essere subordinata a questo principio.Comunque, per ora, a Prato non c’è nessuna moschea in ponte. Lo ribadisce a Toscanaoggi l’assessore comunale all’urbanistica Stefano Ciuoffo. C’è la legittima aspirazione di alcuni gruppi religiosi islamici – nel caso specifico, di nazionalità pakistana – a poter esprimere la loro fede in uno spazio adeguato alle esigenze numeriche e di culto. Spetta all’Amministrazione Comunale tutelare questo diritto nel rispetto rigoroso delle procedure normative vigenti.Un recente documento della diocesi di Padova in materia richiama giustamente «procedure giuridiche e amministrative le più democratiche, trasparenti e lineari possibili». Il che implica, in presenza di comunità religiose prive di «gerarchia» (così sono quelle musulmane) e piuttosto mobili (come sono quelle di immigrati di prima generazione), che le autorità competenti chiedano adeguate garanzie sui responsabili e sui finanziamenti. Anche per sgombrare il campo da un equivoco ricorrente: che i centri di preghiera islamici siano vivai di estremismo e violenza. Il fatto che in alcuni casi ciò sia accaduto non consente a nessuno questa equiparazione.Siamo invece convinti che la preghiera – laddove sincera, certo – rappresenti il più grande antidoto alla violenza e all’estremismo. Anzi, la devianza cresce proprio in assenza di punti di riferimento. In questo senso, che gli immigrati non smarriscano le loro radici religiose è interesse di tutta la città, perché condizione per una integrazione più vera.Da parte di tutti, a cominciare da chi governa, serve prudenza, lungimiranza e anche pacatezza nei toni. Non siamo abituati ancora – e ci vorrà del tempo – a una società multiculturale che a Prato sta crescendo così in fretta. Le scelte devono favorire – e non ostacolare – la «graduale maturazione di una coscienza civile adeguatamente attrezzata e formata ad accogliere i grandi cambiamenti sociali in atto» (citiamo ancora il documento della diocesi di Padova). A cominciare dalla localizzazione degli eventuali nuovi spazi di preghiera che non dovrebbero andare a gravare zone già pesantemente coinvolte dalle conseguenze del fenomeno immigratorio: si pensi alla chinatown di via Pistoiese, su cui era stata fatta qualche ipotesi. O, si pensi ancora, al centro storico.Ma c’è bisogno che anche i nostri amici musulmani, nel momento in cui chiedono (o chiederanno) libertà e diritti, diano prova di cittadinanza consapevole. «Non c’è dubbio – lo dice ancora il documento della Chiesa padovana – che la libertà religiosa richiesta per se stessi diventi obbligante prima di tutto per chi la chiede».Gianni Rossi

(dal numero 20 del 25 maggio 2008)