Prato

L’analisi della crisi – Del Campo: la città riscopra la propria missione

di Damiano Fedeli Nel solo trimestre ottobre-dicembre di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2007, la richiesta di assunzioni a Prato è calata del 50%. Questo sulla riduzione della richiesta di lavoro è solo l’ultimo dei dati che fotografano il difficile finale di anno, in piena crisi economica. «Sono gli artigiani a chiedere meno lavoro. Ne chiedono un po’ di più l’industria, anche se in misura minore, e il terziario», spiega Michele Del Campo, sociologo e direttore della Fil, l’ente formativo sostenuto da Provincia, Comuni di Prato, Vaiano, Montemurlo, Camera di commercio e associazioni di categoria. «Ma è un terziario debole, di servizi alla persona e non legato al sistema delle imprese. Un terziario che, se non ha reddito, non può produrre reddito». Eppure, secondo Del Campo, la città ce la può fare, ne ha le potenzialità. «L’importante è che sappia riconquistare la propria missione». Ovvero? «Ovvero Prato deve saper ricollocare il prodotto tessile sfruttando la ricerca scientifica e tecnologica. Siamo la città che ha vestito il mondo, con una fibra che ha dato un vestito a tutti. Ora bisogna cominciare a orientarsi su tutto quello che può essere ricoperto di prodotti tessili, non solo le persone, ma anche le cose. Penso al campo biomedico, di per sé legatissimo ai tessuti. O al campo delle nanotecnologie. La sfida non è quella di andare a riprodurre quello che da sempre si sa fare, ma di reinterpretare il prodotto tessile, con il confronto della ricerca, per soddisfare bisogni nuovi. Prato deve rivestire il mondo». Già, ma per fare ricerca ci vogliono investimenti ingenti. E non pare proprio facile, oggi, trovare chi possa farne… «Il momento attuale, è vero, è sotto gli occhi di tutti. Ma è un momento che non parte da oggi, ma da almeno 7 anni. La speranza finora è stato il motto “tanto ci si riprende”. Si è giocato sugli spazi di produzione che si aprivano all’interno, con la chiusura dei piccoli: i meno piccoli beneficiavano del lavoro che si liberava dalla chiusura delle ditte minori. Questo finché i costi sono stati sostenibili. Ma oggi, sono arrivati i nodi al pettine. Il maggiore è che un modello pratese, che si è confrontato con il mondo da potente, oggi non riesce a confrontarsi con la debolezza. Non si è riflettuto abbastanza sulla crisi del tessile, o sulle nostre caratteristiche distintive». Torniamo agli investimenti, alla ricerca.«Il problema è come rilanciare una missione del distretto nel contesto locale e internazionale. Occorrerebbero imprese leader che siano di riferimento per l’intero distretto. Ci vogliono strategie aziendali, non ci si può reggere solo sul decentramento. Quello che manca oggi è un po’ la leadership, la capacità di emergere. Si è passati da una leadership diffusa dove tutti erano leader di se stessi, ma tutti con una missione comune, a una leadership sempre diffusa, ma dove non si ravvisa più una missione comune, che oggi va riscoperta». Eppure la città è abituata a tirarsi fuori dalle crisi. «Sì, Prato ne ha superate tante nel passato. Proprio per questo bisogna mettersi intorno a un tavolo e capire come si è agito nel passato. Da soli non se ne esce». E chi dovrebbe essere a condurlo, questo tavolo? La Provincia, ad esempio, ha già lanciato quello di distretto… «L’iniziativa può partire da chiunque, da un imprenditore, da un’associazione di imprenditori, dalle istituzioni, come appunto sta tentando di fare la Provincia, dai sindacati. Non è escluso che ce ne possa d’essere più d’uno. Quello che deve scaturire, sono riflessioni, lo ripeto, sulla strategia dell’impresa, sulla formazione degli imprenditori e dei dipendenti, su come si torna a essere utili e produttivi». E il tessuto sociale pratese tiene davanti alla crisi?«Direi proprio di sì. Ma da questo bisogna ripartire. Una società basata solo sui consumi, oggi, diventa debole. Si deve guardare alla qualità della vita più che al Pil. Pensare a come vive la comunità, alle relazioni che mobilitano risorse. Non si può pensare che solo i “migliori” tirino la società. È una baggianata! Solo se si crea più equità, solo se si attenuano le differenze, si appianano i conflitti e si evita un pericoloso scollamento sociale». Con meno lavoro, sarà una città meno attrattiva per gli stranieri? «Gli indizi di un certo rallentamento, ci sono: anche gli immigrati cominciano a uscire dal mondo del lavoro, nel tessile o nell’edilizia. Però sono dinamiche che vanno viste in un medio-lungo periodo». E per i tanti che perdono il lavoro, quali prospettive vede?«Fondamentale è la formazione, e in questo metto il ruolo della Fil, insieme a quello delle scuole, delle università e di tante aziende: tanti lavoratori che oggi si trovano in difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro, solo attraverso la formazione e la propria riqualificazione possono riaprirsi delle possibilità».

(dal numero 45 del 14 dicembre 2008)