di Damiano Fedeli «La discesa è finita». Può ripetere, scusi? «Nella crisi siamo ancora nel bel mezzo, ma la discesa è finita e questa che abbiamo davanti adesso è la realtà che ci aspetta per i prossimi mesi». Luca Giusti è il presidente di Confartigianato, l’associazione che proprio in questi giorni compie sessant’anni. «Questa di ora è la realtà con cui ci dobbiamo confrontare. Non ci sarà un’ulteriore diminuzione per il momento. Questo non significa che siamo in ripresa: non arriveranno ordini tali per cui si ritornerà, tantomeno in breve tempo, alla situazione precedente». È finita la discesa, ma non c’è neppure ripresa. Insomma, in che fase siamo?«Intendiamoci, la ripresa in uno scenario come l’attuale, può essere un incremento dello zero virgola, dell’1%, se va bene». È ottimista?«Nei problemi siamo ancora nel mezzo. Lo scivolone degli ordini c’è stato. Ora continueranno per un po’ gli effetti e ci saranno un 30% delle aziende che soffriranno ancora per gli effetti di questa contrazione. Se a Prato siamo scesi a produrre 100mila metri di tessuto al giorno, si può dire adesso che non ci sarà un ulteriore calo, ma neppure un grosso aumento: a 200mila non ci si ritorna. Per chi ci sta e ce la fa, sono giusti tutti i provvedimenti di sostegno, per chi non ce la fa, occorre, e qui l’appello è a tutte le forze politiche, un’alternativa, verso un’uscita dignitosa». Un obiettivo di piccolo respiro, ma senz’altro realistico…«Vede, per noi artigiani, come ripetiamo da tempo, il nodo più difficile rimane quello dell’accesso al credito. È chiaro, però, che anche le banche possono essere più propense a dare credito laddove ci siano dei progetti imprenditoriali di rilancio. Se i soldi che si chiedono in prestito, servono solo per mandare al termine l’attività, ecco che tutto diventa più difficile. In questi mesi difficili il ruolo di Confartigianato è stato anche questo: una serena consulenza per vedere quali erano i progetti per rilanciarsi, e in questo caso richiedere credito, anche grazie a strumenti come Fidi Toscana o Artigiancredito, oppure abbiamo dato tutto il sostegno possibile laddove c’erano le condizioni per un’uscita di scena dignitosa. Nel 2009 fra i nostri associati le cessazioni sono state circa 180». Eppure proprio agli imprenditori si richiede il coraggio di continuare a investire…«Sì, certo, ma vede, ci sono delle situazioni dove contrarre un debito non è conveniente nemmeno per l’azienda. In alcuni casi abbiamo sconsigliato di accollarsi dei debiti che in prospettiva sarebbero risultati fatali all’azienda». Lei parla di alternative da creare. Ha in mente qualcosa?«Sì, per chi esce di scena occorre un’alternativa. E qui ci devono lavorare tutte le istituzioni, insieme. E invece, specie per Prato, manca un progetto industriale per il rilancio, mancano aree dove sviluppare nuove attività. Sono mancati un po’ i punti di riferimento. Qui, lo ripeto, occorre il mantenimento delle situazioni che possano avere un futuro. E dall’altra una fuoriuscita delle realtà che hanno dato molto a questo distretto ma che non hanno più le condizioni. Non è una rottamazione, ma una ristrutturazione». Da una parte gli artigiani sono la spina dorsale del sistema pratese. Dall’altra molti fanno notare che le nostre imprese soffrono proprio di nanismo. Come se ne esce?«Oggi sono in crisi sia le mega aziende, e non mi riferisco solo al tessile, penso alla Fiat, come le piccole e le micro. Così come ci sono piccole aziende e micro che invece vanno bene. Smettiamola di dire che piccolo è sinonimo di difficoltà. In crisi, qui a Prato, è il prodotto e come lo si presenta. Un artigiano vero lavora con la propria fantasia a un prodotto suo. Deve fare qualcosa di diverso se vuol vendere. È inutile diventare grandi per competere sul piano del prezzo, perché tanto con la Cina da questo punto di vista, non saremo mai competitivi. Vinceremo solo sulla qualità. Se loro fanno 100mila a un certo prezzo, noi faremo mille per lo stesso prezzo, con un prodotto di alto valore aggiunto». Eppure ci sono progetti, come quelli della Provincia, che premono proprio verso le aggregazioni…«Sì, è vero, ma le aggregazioni, qui, devono servire per mettere insieme conoscenze, più che altro: il successo non deriva dal fatto di avere grandi dimensioni, ma dal mettere insieme competenze differenti». E l’inserimento di Prato fra le aree di crisi per cui si è battuto il sindaco, come lo valuta?«Lo valuteremo meglio quando avremo davanti una cornice un po’ più precisa. Quello che chiediamo come aziende non sono soldi a pioggia, ma provvedimenti di tutela del nostro prodotto, ad esempio, tracciabilità. Vogliamo le condizioni per svolgere il nostro lavoro qui. E su questo sono le istituzioni che possono dare risposte». Sull’allungamento verso la filiera del tessile verso il distretto cinese che produce qui pronto moda e abbigliamento, cosa mi dice? «Si vuole far sì che i cinesi comprino i nostri tessuti? Benissimo, anche perché poi i numeri che macinano sono impressionanti, anche se poi sulla carta il loro fatturato è minimo. L’importante è che tutta la filiera sia fatta qui, che a Prato insomma non venga fatta semplicemente la commercializzazione o attaccato un bottone per avere l’etichetta “made in Italy”. Tutto il prodotto, dalla filatura al tessuto alla cucitura dovrà essere fatto, e certificato che sia fatto, qui. Solo allora se ne potrà parlare».