Prato

Caritas: nuovi poveri. Italiani uno su quattro

di Damiano Fede

È sempre più italiano, anzi italiana. Non appartiene a un particolare gruppo sociale, ma proviene dalle più svariate posizioni socio-economiche. A volte ha persino una laurea o è un piccolo imprenditore artigiano. Ha oltrepassato la soglia della povertà – magari per un momento – a causa della perdita del lavoro, di un lutto, di una separazione.È l’identikit del nuovo povero stilato dalla Caritas diocesana a partire dai dati della rete dei propri centri d’ascolto diocesani e dai dieci centri parrocchiali collegati in rete informatica. Nel rapporto, appena presentato, confluiscono anche numeri della mensa La Pira, dell’ambulatorio per Stranieri temporaneamente presenti e dai partecipanti alla rete Emporio della solidarietà: Comune, San Vincenzo, Centro di Aiuto alla Vita. Un ampio spaccato del problema povertà sul territorio, quindi.Quello che dicono i numeri è che nel 2009 la presenza di italiani è cresciuta, fino ad arrivare a superare un quarto del totale delle persone che si sono rivolte alla Caritas: 25,1% (contro il 23,3 dell’anno precedente). In totale le persone che si sono presentate ai centri d’ascolto lo scorso anno sono state 3975 (le prime proiezioni dai dati di quest’anno dicono che le cifre dovrebbero mantenersi su questi livelli anche per il 2010). La crescita degli italiani si vede soprattutto nei nuovi arrivi: 399 italiani nuovi poveri lo scorso anno, il 20,7% dei 1920 nuovi che, in totale, si sono presentati. Un aumento di nuove presenze del 5%, piuttosto considerevole rispetto all’anno precedente e all’anno ancora prima, quando la fetta degli italiani che si rivolgevano per la prima volta alla Caritas era stabile intorno al 15%. In maggioranza chiedono aiuto le donne (67,5% del totale): in particolare le donne italiane sono il 64,6% dei nostri connazionali, le straniere il 68,5% degli immigrati. L’opposto di quanto accade alla Caritas di Firenze dove prevalgono gli uomini.Quello che emerge maggiormente è che si è allargata la tipologia di soggetti che vengono a chiedere aiuto. Ai centri d’ascolto arrivano adesso persone da una gamma molto più elevata di posizioni socio-economiche rispetto al passato. Un dato lo dimostra chiaramente: quello sul titolo di studio di chi si presenta alla Caritas: nel 35% dei casi sono persone con un diploma superiore o la laurea. Hanno un titolo di studio superiore il 10,2% degli italiani e il 33,9% degli stranieri; sono laureati il 9,2% degli stranieri, e lo 0,7% degli italiani. La difficoltà economica non riguarda più, quindi, esclusivamente particolari gruppi sociali, ma momenti specifici della vita – a causa della perdita del lavoro, di una separazione, di un lutto – con un rischio di scivolare che riguarda le classi più disparate. Una povertà a molte facce che richiede molto impegno per trovare strategie efficaci per fronteggiarla.«Sono aumentate le tipologie di persone in cerca di aiuto. Da noi arriva adesso anche qualche piccolo imprenditore artigiano», ribadisce la direttrice della Caritas diocesana, Idalia Venco. «Pesa, naturalmente, la crisi economica e la perdita del lavoro. Il blocco degli straordinari, gli ammortizzatori sociali agli sgoccioli, la mobilità e, nei casi peggiori, le chiusure e i licenziamenti, fanno sì che le persone non ce la facciano più a pagare affitti o bollette. E si crea una situazione che mina alla base anche la stabilità familiare, innescando un’ulteriore spirale che conduce a condizioni di povertà. Non sempre, infatti, dopo una separazione, si può tornare dai propri genitori. E le spese, così, aumentano». L’8,4% del totale delle persone che chiedono aiuto sono divorziati italiani (i divorziati stranieri sono il 4,6%). Altissimo anche il numero di separati italiani (17,7%), in aumento del 2,5% rispetto al 2007.Sul fronte stranieri rimane stabile da qualche anno la composizione dei gruppi etnici: Cina, Nigeria, Marocco, Romania, Albania, Georgia, sono le nazionalità prevalenti. Il 40,5% degli stranieri che si rivolgono alla Caritas provengono dall’Europa dell’est. «Sono in aumento le persone straniere che ci chiedono aiuto per tornare nel proprio Paese», sottolinea ancora Idalia Venco. «E questo crea problemi sociali non indifferenti: pensiamo a chi ha i figli che vanno a scuola e hanno cominciato un percorso di inserimento sociale».Ma l’aumento della tipologia di persone che si rivolge alla Caritas pone anche problemi di altro tipo: «Far emergere la domanda di aiuto non è un’operazione facile», spiega il rapporto. Molte volte, insomma, in chi non ci è abituato subentra la vergogna di andare a chiedere aiuto alla Caritas.E se le trasformazioni del mondo del lavoro sono una delle principali cause per cui si oltrepassa la soglia della povertà, emerge anche un ulteriore fenomeno nuovo. Sempre più italiani sono disposti a lavori di profilo più basso, come l’assistenza agli anziani. «Solo che – conclude Idalia Venco – mentre aumenta l’offerta anche da parte di italiani per fare i badanti, diminuisce la richiesta di queste figure con molte famiglie che, proprio a causa della crisi, preferiscono far da sé».(dal numero 43 del 5 dicembre 2010)

Ma alla povertà non ci si può rassegnare

di Michele Del CampoIl mito degli ultimi della storia è passato dall’essere riferimento di passioni politiche, di emozioni collettive, di mobilitazione di interi strati e classi sociali a una dimensione privata. I poveri ci sono, ma siccome vivono in un contesto ancora di benessere, non fanno più rumore e diventano solo un problema di politiche di assistenza e non di richiesta di cambiamento.La povertà diventa sempre meno assoluta (quindi poco mobilitante – la schiera dei poveri della storia) e più relativa. Ciò fa addormentare le coscienze e rappresentare i mali della società come invincibili e quindi, la rivolta morale, l’indignazione (che porta e richiede l’impegno per sconfiggere la povertà) rischia di trasformarsi in rassegnazione (perché non ci fa più distinguere, tutto diventa opaco, tutto diventa diffidenza verso l’altro perché si ha sempre il dubbio se il «povero» è veramente tale).Il rapporto della Caritas diocesana ci chiama a non avere dubbi sull’accoglienza del «povero», sulla difesa del debole, di coloro che nella diversità vivono sofferenze, incertezze derivanti dalla società del benessere, anch’essa in fase di ridefinizione, dove chi ha sta sempre meglio e chi cade nella spirale della povertà sta sempre peggio. Il rapporto della Caritas diocesana ci chiama a riflettere su quanta «carità» caratterizza la società pratese, questa ancora pena di tanti uomini di buona volontà.Il rapporto manifesta la «precarietà» degli ambiti di vita (dai legami alle chances, dal materiale all’immateriale, dal lavoro al non lavoro al lavoro diverso). Crescono coloro che rompono i legami comunitari, senza informazioni, senza le possibilità economiche minime (relative). Persone che hanno rotto i legami, che hanno la «malattia del legame» (legami familiari, fiduciari, amicali, lavorativi…). Tale malattia porta ad arrangiarsi, senza gli appoggi e le rassicurazioni che una comunità, una società può dare per rafforzare la stima di sé e la propria personalità.Il report della Caritas fa rilevare come di fronte alla crisi il territorio e i soggetti della società civile si organizzano per rispondere alla vulnerabilità sociale; quella vulnerabilità che non fa rumore, che non ha rappresentanza nelle corporazioni tradizionali che hanno affrontato il problema della crisi ricorrendo alla loro forza e chiedendo aiuto e sostegno per i loro rappresentati. Il report è un insieme di numeri dietro i quali si nascondono storie di vita di difficoltà, di operatori e volontari che nel silenzio si dedicano a chi non fa rumore, per aiutare il «povero» innanzitutto con l’ascolto, ma anche con sostegni economici che permettono di arrivare a superare la crisi in cui siamo immersi. Capire chi sono è tutt’altro che una operazione di beneficienza compassionevole. È un modo per fare programmazione di politiche che possono creare una società più giusta.Il rapporto ci fa capire che le persone e famiglie beneficiarie dell’azione della Caritas della diocesi di Prato, che pochi mesi prima stavano meglio di oggi, forse in parziale difficoltà, rischiano, con il permanere della crisi, di trovarsi sempre più esclusi socialmente.Da questo piccolo report e dall’ascolto facciamo notare che nuove questioni si stanno ponendo alla società pratese: questione sociale, di lavoro, di condizione migrante, di una difficoltà che rischia di aggravare le relazioni sociali, se non riprende l’economia. Un’altra riflessione è quella di interrogarsi su come si può realizzare un welfare in grado di affrontare i processi di modernizzazione, senza lasciare indietro nessuno.La Caritas di Prato opera come un rabdomante che scava nella società per trovare la sorgente originaria nascosta, che non chiede che di sgorgare, per dare dignità a chi non ce l’ha, per costruire l’umanità di ciascuno, basandosi sullo scambio con l’altro e facendosi compagno di strada.* sociologo, membro del Consiglio Caritas