Prato

Venticinque anni fa il Papa in mezzo a noi

(dal numero 11 del 20 marzo 2011)Intervista/1 E il Papa ci spiegò chi siamoMons. Carlo Stancari fu il segretario della Visita di Giovanni Paolo IIdi Gianni RossiI ricordi di quella giornata gli illuminano il volto. Mons. Carlo Stancari, vicario episcopale per la pastorale e le opere nonché arciprete di Santa Maria delle Carceri, fu il segretario della visita del Papa. Il lavoro già impegnativo della Segreteria del Sinodo Diocesano fu, per due mesi, soppiantato dalla preparazione di quell’evento destinato a rimanere nella storia.Qual è il ricordo che le è rimasto nel cuore?«L’entusiasmo traboccante della gente. Un ricordo che rimane indelebile. Ma c’è un particolare dei gesti di Giovanni Paolo II che mi colpì particolarmente: arrivato in duomo, acclamato da una piazza del Duomo festante, il Papa chiese immediatamente, senza preoccuparsi di altro, dove fosse il Santissimo Sacramento».Cosa le disse il Papa?«Allo stadio fui presentato al Pontefice appena sceso dall’elicottero. Mons. Fiordelli gli spiegò che ero il segretario della Visita: “Devi essere molto stanco”, mi disse con una battuta Giovanni Paolo II».Dopo Giovanni Paolo II l’altro protagonista di quella giornata fu mons. Pietro Fiordelli…«La mattina presto il Vescovo venne in auto a prendermi sotto casa, per andare in largo anticipo allo stadio, dove sarebbe atterrato il Papa. Io allora abitavo in piazza card. Niccolò. “Il tempo è buono”, mi disse raggiante, salutandomi. Un po’ sorpreso, gli dissi: “Io non vedo ancora nessuno in giro”. “Aspetta e vedrai”, mi rispose. Ed ebbe ragione».Come nacque l’idea della visita?«Da qualche anno Giovanni Paolo II aveva intrapreso un viaggio nel mondo del lavoro in occasione della festa di San Giuseppe. Mons. Fiordelli da tempo coltivava il desiderio di poterlo invitare, ma non osava procedervi soprattutto perché il Papa non era stato ancora in visita a Firenze. L’idea felice, pastoralmente e strategicamente, fu quella di raccogliere il consenso di tutte le forze sociali. Questa partecipazione di tutta la città dette molta credibilità presso la Santa Sede alla nostra richiesta».Un evento del genere organizzato in meno di due mesi. Come fu possibile?«Fu appunto il coinvolgimento di tutti a rendere possibile un miracolo del genere. Da tutte le componenti cittadine, come dicevo, a tutte le realtà ecclesiali, ai volontari. Felice fu la scelta di affidare la responsabilità di ogni luogo, dove avrebbe fatto tappa la visita del Papa, ad una o più persone».Il coinvolgimento della città, appunto. Erano ancora i tempi delle ideologie contrapposte, anche se ormai agli sgoccioli. Non fu tutto scontato…«No, certo. Ma in questo ebbero un ruolo fondamentale la capacità, il tatto, la delicatezza del Vescovo Fiordelli e di mons. Vicario. Alla fine tutti aderirono convintamente. Qui viene fuori quella che, a mio parere, è una delle caratteristiche peculiari di Prato e dei pratesi: la forza delle relazioni personali e istituzionali. Anzi, la capacità di far leva sulle prime per costruire le seconde. E si comprese subito che la venuta del Papa aveva sì un significato innanzitutto ecclesiale, ma che non era solo questione dei cattolici, perché avrebbe onorato tutta la città. Così, a macchia d’olio, fu una coralità straordinaria».Eppure ci furono pure gli adesivi: «Papa a Prato? No grazie».«Furono contestazioni radicali, ma marginali, che furono presto travolte dall’entusiasmo della gente».E le finestre rimaste chiuse alla Camera del lavoro durante la Messa del Papa? Fecero scalpore…«Fu una scelta motivata dal sindacato per il fatto che in piazza si sarebbe svolto un evento eminentemente liturgico. In realtà fu una “coerenza” controproducente, che andò a scapito della stessa Cgil».La partecipazione della gente fu straordinaria anche quantitativamente, con numeri da record nell’ambito delle visite in Italia. Non credo fosse scontata. Era ancora vivo il ricordo del viaggio a Siena, sei anni prima, che non vide accorrere folle…«No, no, soprattutto all’inizio dell’organizzazione non era scontata la partecipazione che poi avemmo. Fu indovinata la scelta di non diffondere alcuna preoccupazione per questo. E poi ci fu l’appello di Fiordelli a Tv Prato: “Un giorno direte: io c’ero”».Quali impressioni raccolse dalla parole del Papa?«Fu molto colpito – ma lo poterono capire tutti – dall’entusiasmo traboccante dei pratesi. In particolare fu folgorato dall’entusiasmo dei ragazzi in piazza Duomo. A quella vista, esclamò: “Ma è un Prato fiorito”»…Quali tracce ha lasciato, a suo giudizio, quella visita?«Un senso di fierezza e di consolazione. Siamo una piccola realtà, tutto sommato, ma se ci troviamo tutti insieme, se andiamo d’accordo, possiamo fare miracoli. Il Papa compì una originale quanto sapienziale lettura degli elementi fondamentali della nostra vita comunitaria, ecclesiale e civile. Penso alle parole, rimaste storiche: “Città e tempio crebbero insieme”, o alle altre: “Il lavoro è importante ma più importante è l’uomo”. Fu una sintesi felice di quello che eravamo, siamo ancora e siamo chiamati ad essere». Intervista/2 «Città e tempio godono ancora i riflessi di quella giornata»Mons. Francioni: il ricordo più bello? Stare a stretto contatto col Papa mattina e seradi Giacomo Cocchi«Il Papa lo disse subito: città e tempio sono cresciuti insieme». Si capisce immediatamente, parlando con mons. Eligio Francioni, quanto il ricordo della storica visita di Giovanni Paolo II sia indelebile nei suoi occhi e nel cuore. Fu una giornata, quella del 19 marzo di 25 anni fa, passata a stretto contatto con il Santo Padre. «Un dono bellissimo, – dice il Vicario – sicuramente uno dei momenti più importanti per Prato e i pratesi nel Novecento». Sulla collaborazione tra Diocesi e Comune, sulla forza di una città che in meno di trent’anni aveva triplicato i propri abitanti e incrementato le proprie industrie in numero e fatturato, mons. Francioni ribadisce come questa nuova realtà pratese sia nata «grazie alla Chiesa e alla Città, cresciute di pari passo. E Papa Wojtyla non mancò di sottolinearlo più volte nei suoi discorsi».Come si arrivò alla visita di Giovanni Paolo II a Prato?«Il merito principale va a mons. Fiordelli che già nei primi anni ’80 espresse ufficialmente alla segreteria di Stato vaticana la volontà di invitare il Papa a visitare la città. Giovanni Paolo II, che fu operaio in Polonia, ha sempre avuto a cuore il mondo del lavoro e il 19 marzo, festa di San Giuseppe patrono dei lavoratori, negli anni precedenti si era recato in visita agli operai di Livorno e Terni».Poi ci fu l’invito ufficiale.«Tutte le componenti del mondo del lavoro: industriali, artigiani, operai, commercianti e sindacati con le rispettive sigle e ovviamente il Comune, sottoscrissero un invito ufficiale e poi la risposta, fortemente sperata, arrivò i primi di gennaio».Due mesi per organizzare un grande evento. Devono essere stati molto intensi.«Un lavoro enorme, ma mons. Fiordelli era un grande organizzatore, non tralasciava niente, tutti ricordano i pellegrinaggi a Lourdes sotto la sua supervisione. Insieme a lui facemmo molti sopralluoghi per scegliere lo stanzone per l’incontro con i lavoratori. Alla fine lo trovammo: quello di Leandro Gualtieri al Macrolotto, era enorme, un ettaro. Saremmo riusciti a riempirlo? Ci chiedemmo spesso. La risposta andò oltre ogni attesa, il 19 marzo fu stracolmo di gente. E poi tra il vescovo Fiordelli e il Papa c’era un rapporto di amicizia».Ce lo vuole raccontare?«Fiordelli impostò la sua pastorale su lavoro e famiglia, temi molto cari a Giovanni Paolo II. Nel corso di alcuni incontri romani della commissione famiglia e in altre occasione il vescovo Fiordelli fu invitato spesso a tavola con il Papa ed ebbe modo di parlargli. Lo considerava una personalità immensa».Ha un ricordo personale legato alla visita del Papa?Il Vicario chiude gli occhi e si ferma un attimo. Sembra scorrere nella memoria i momenti più significativi di 25 anni fa. La pausa è lunga, poi sorridendo scuote la testa e dice: «Don Carlo Stancari, don Oreste Cioppi e io abbiamo avuto l’onore si seguire passo passo la visita del Papa a Prato. In piazza del Comune, al Macrolotto, in San Domenico, in Duomo e in piazza Mercatale, in ogni luogo della visita sono stato accanto a Giovanni Paolo II, ho goduto di questa vicinanza, è questo il ricordo più bello».Quali tracce ha lasciato alla città quella particolare giornata?«Fu un momento di forte coesione, la visita ha rafforzato ulteriormente il buon rapporto di vicinanza e collaborazione tra due istituzioni autonome come la Chiesa e la società civile, in tutte le sue componenti. L’aver lavorato assieme per accogliere al meglio il Papa, organizzare in ogni dettaglio tutti gli incontri ha creato un legame di cui godiamo ancora oggi e devo dire che poche città possono vantare le stesse relazioni».Città e tempio ancora oggi, nonostante le difficoltà della crisi, crescono insieme. «A testimonianza di ciò, proprio in questo momento – conclude il Vicario annuendo compiaciuto – il Vescovo è in visita al Lanificio Ricceri, proprio come fece Fiordelli quaranta anni fa». Sul sito della Diocesi di Prato è possibile lasciare un proprio ricordo di quella giornata straordinaria per la città