Prato

Giovanni Paolo II beato, il ricordo dei pratesi

di M. Cristina Caputi«Superammo il portone di bronzo, salimmo la scala regia e fummo portati nell’appartamento pontificio. Per quelle scale, lungo quei corridoi, eravamo tutti in silenzio, per il rispetto che nutrivamo per quei luoghi e per l’emozione che ci aveva immediatamente presi. Il segretario, mons. Stanislao, ci accolse. Ci vestimmo per la messa e fummo introdotti nella cappella. Il Papa era lì, in ginocchio, intensamente assorto nella preghiera personale». Inizia così, senza pause o incertezze, il ricordo di mons. Carlo Stancari che, con la lucidità di una memoria custodita con grande affetto, ripercorre i momenti dell’incontro con Giovanni Paolo II, il 14 gennaio 1998.Per la settimana del clero, un folto gruppo di sacerdoti pratesi si recò a Roma dal 12 al 17 gennaio; l’incontro con il Santo Padre non era in programma, ma si riuscì ad organizzarlo in breve tempo, il giorno prima. Giovanni Paolo II accoglieva volentieri pellegrini e fedeli di passaggio dalla capitale, facendoli partecipare alla celebrazione della messa nella cappella privata, la mattina presto.«Dopo un breve saluto, – prosegue mons. Stancari – iniziò la messa, fu molto raccolta, cantammo piccole cose, molto semplici. Al termine il Papa si fermò per un momento di preghiera di ringraziamento, poi ci ricevette nella sua biblioteca, in piedi. Rievocò la visita a Prato e la grande partecipazione di popolo. Ne aveva un ottimo ricordo, – aggiunge mons. Stancari – la considerava una delle visite più riuscite fra quelle in Italia. Poi ci salutò uno per uno, presentati da mons. Simoni. Ebbe per tutti una parola di cordialità». Don Carlo, che all’epoca di Paolo VI era già stato nella cappella privata del pontefice, notò in quell’occasione che «sotto il Crocifisso, Giovanni Paolo II aveva fatto mettere un quadro della Madonna Nera, ma null’altro era stato cambiato».Don Massimo Malinconi, nel gennaio 1998, era diacono e fu molto vicino al Papa durante la messa. «Andai subito ad aiutarlo per la vestizione; – ci racconta don Massimo – era ancora vitale, ma aveva il bastone ed era un po’ impedito nei movimenti. Per l’emozione, mi tremavano le mani. Lo ricordo sereno, completamente abbandonato nella preghiera prima della messa. Durante la celebrazione, proclamai il Vangelo, fu un grande onore; poi al momento del lavaggio delle mani notai il segno della ferita causata dall’attentato. Era una persona alla mano, – prosegue don Malinconi – al momento dei saluti mi fece gli auguri per il mio sacerdozio».Il senso dell’ironia e la battuta pronta erano una caratteristica peculiare di Giovanni Paolo II, don Marco Pratesi, che durante la visita del 1986 era diacono e fu vicino al Papa per tutta la messa, ne ricorda un paio: «Quando celebrammo con lui, a Roma, nel 1998, eravamo quasi tutti parroci, lo notò e ci disse: “Parochus supra Papam!”, la famosa frase con la quale si afferma che i parroci, nella propria parrocchia, agiscono come se il Papa non ci fosse». Invece durante l’udienza di un centinaio di seminaristi toscani, diversi anni prima, alla quale partecipò anche don Pratesi, nel salutare, il Pontefice disse: «Crescete e moltiplicatevi!», suscitando le risa imbarazzate dei presenti. Con i seminaristi pratesi, c’era anche don Andrea Cerretelli che ricorda: «Dopo la messa, il Papa ci salutò e fece una foto con i singoli gruppi diocesani; con noi pratesi si fermò troppo brevemente, lamentò qualcuno. Ero l’ultimo della fila e allungai la mano per prendere la sua e baciarla. Lui si girò per capire chi l’aveva cercato e mi guardò, facendomi un gesto che indicava, mi sembrò con affetto, la mia folta barba di allora. All’epoca anche don Pratesi, che era con noi, aveva la barba ed interpretammo il gesto come un segno di approvazione. Don Pozzi, invece, – continua don Cerretelli – che era il nostro Rettore e non apprezzava le barbe così folte, vide in quel gesto un invito a raderci. Restammo con il dubbio sulle vere intenzioni del Papa e tenemmo anche la barba».Giovanni Paolo II nutriva un particolare affetto per Prato, non solo per l’entusiasmo con cui fu accolto nel 1986, ma anche per il legame con mons. Fiordelli. Un anno e mezzo prima della sua morte, un gruppo di pellegrini della Basilica delle Carceri partecipò all’udienza generale accompagnati da mons. Stancari, che ebbe modo di salutare personalmente il Papa. «Gli dissi che mons. Fiordelli era gravemente ammalato, lui fece un cenno di benedizione, ormai parlava molto poco e con fatica».