di Giacomo CocchiNe parlò il Vescovo Simoni a febbraio, in occasione della Giornata per la Vita. «Dove vanno a finire i feti abortiti?», fu la domanda che il presule rivolse alla città in duomo e dalle colonne del nostro settimanale.La scorsa settimana la tematica è tornata di attualità stringente: il Comune di Firenze, attraverso un nuovo regolamento cimiteriale, ha previsto nello storico camposanto cittadino a Trespiano, un apposito spazio dedicato alla sepoltura dei feti, compresi quelli che la legge chiama «prodotti abortivi» e i «prodotti del concepimento». È una scelta che disciplina in modo più puntuale una pratica già in atto da anni: sono infatti più di mille i feti inumati a Trespiano. Dopo l’intervento del Vescovo e la decisione fiorentina, anche Prato si interroga sulla possibilità. La Misericordia di Prato, proprietaria del cimitero monumentale di via Galcianese, ha all’ordine del giorno della prossima riunione del Magistrato – l’organo direttivo dell’Arciconfraternita – una discussione in tal senso. «Ci stiamo organizzando – spiega il provveditore Enrico Benelli – per prevedere un apposito spazio dedicato alla sepoltura dei feti e dei “prodotti abortivi” posso dire che la disponibilità e l’intenzione ci sono, dobbiamo capire come». Della questione, da un punto di vista giuridico e anche teologico, se ne sta occupando il vice correttore don Francesco Spagnesi. Perché la questione è delicata e va ben compresa. A Firenze la sezione del cimitero è destinata, come ha spiegato l’assessore Stefania Saccardi, all’inumazione di bambini mai nati per aborti terapeutici o altre cause, ma «l’aborto volontario – ha precisato l’assessore – fatto di norma entro il novantesimo giorno della gestazione, non c’entra perché in quel caso l’embrione viene aspirato e non viene riconsegnato». Proprio in quest’ultimo caso vuole intervenire la Misericordia di Prato. Da una parte si vuole dare anche nella nostra città la possibilità a genitori che hanno vissuto un aborto naturale di seppellire il feto nel cimitero. Questo caso è disciplinato dalla legge e occorre chiedere il permesso all’Asl. Altra questione riguarda i feti espulsi dopo aborti terapeutici o interruzioni volontarie di gravidanza. Per la legge questi sono considerati “rifiuti speciali” e come tali vanno smaltiti bruciandoli come un qualsiasi scarto. Per evitare questa fine occorre fare una convenzione con l’ospedale e chiedere in consegna i «prodotti abortiti». «La questione è importante ma altrettanto complicata – commenta don Spagnesi – in particolare in una città come Prato dove purtroppo si praticano moltissimi aborti». Annualmente infatti le interruzioni di gravidanza volontarie sono quasi seicento. In Italia spazi cimiteriali appositi per questa specifica questione sono circa 40, tra gli ultimi quelli di Roma, Cremona e Caserta. Esiste un’associazione «Difendere la vita con Maria», nata nel 1996, che tra i suoi scopi ha proprio quello del seppellimento dei bambini non nati. «Esatto, vogliamo usare proprio la parola “bambini” perché di questo si tratta: vite umane», spiega Paolo Monticelli, tra i responsabili nazionali. Lui si occupa proprio di formare localmente le commissioni che chiederanno all’Asl di stipulare un’apposita convenzione per ricevere i feti abortiti. A loro si affiderà don Spagnesi per capire come agire anche a Prato. «Nelle città dove abbiamo stipulato la convenzione una volta al mese passiamo dall’ospedale – racconta Monticelli – abbiamo degli appositi contenitori in mater-bi nei quali mettere i feti, una volta al cimitero un sacerdote celebra il rito esequiale». Il loro gesto non vuole essere di denuncia, né vogliono suscitare clamore, «si tratta solo di un cristiano atto di pietà verso esseri umani ai quali per vari motivi è stato impedito di vivere», conclude l’Associazione.(dal numero 12 del 25 marzo 2012)