Pisa

Sri Lanka, un anno dopo lo Tsunami

di Francesco Paletti*

La nenia pazza di Alwin di Habaraduwa, quartiere litoraneo di Galle. Ossessiva e incomprensibile, ripetuta per un paio di mesi da quando, il 26 dicembre di un anno fa, il maremoto gli ha spazzato via la casa e la barca e rubato cinque familiari.Il ghigno beffardo di Tilkrit, sette anni, di Mullaitivu, il porto delle «tigri», la guerriglia separatista tamil dichiarata organizzazione terroristica dopo l’attacco alle torri gemelle di New York. «I fratelli che mi hanno salvato la vita», ossia coloro che lo hanno tirato giù dall’albero di cocco sui cui lo aveva sbattuto l’onda che ha devastato le province settentrionali e orientali.Le mani scheggiate di Anthony Fernando, prima frigoriferista factotum in una struttura alberghiera della costa, poi senza tetto e disoccupato a causa dello tsunami. Oggi capo carpentiere impegnato a ricostruire casa a Payagala, il suo villaggio. Ne ha ricostruite seicento, per la sua dovrà aspettare ancora un paio di mesi.La lucina fioca dell’ufficio di padre Damian Fernando, il direttore della Caritas dello Sri Lanka, accesa fino a tarda notte. «È importante studiare, aggiornarsi e questo è l’unico tempo che ho».Il sole e il sudore. Il monsone, la pioggia e le zanzare. Pizze e riso al curry mangiati alle ore più impensate. L’Oceano placido e turchese, le macerie sulla spiaggia. Una tazza di tè a mezza notte.Volti, immagini, odori, parole e oggetti che mi faranno compagnia durante i giorni di Natale, il mio piccolo fardello di preoccupazioni e riflessioni. Che interrogano la mia personale ricerca di senso in quello che faccio: da circa tre anni sono un operatore umanitario di Caritas Italiana, prima ho lavorato in Kosovo, adesso sono in Sri Lanka.Le appunto qui, sulle pagine di «Vita Nova», perché per me è come fare una confidenza a degli amici. Ma anche perché, da quando ho iniziato questo lavoro, sono impegnato in una piccola opera di smascheramento delle tante piccole ipocrisie e luoghi comuni che circondano chi fa il mio mestiere. Infine perché, dopo un anno speso dentro quella che è considerata una delle più grandi emergenze umanitarie della storia recente, credo di poter offrire un contributo quanto meno sensato.A farmi compagnia, in questi dodici mesi di lavoro, infatti, ci sono stati anche tanti paradossi. A cui sento importante dedicare qualche attenzione. Lo Sri Lanka non è solo un Paese colpito dallo tsunami, è anche uno Stato dilaniato da una guerra civile ventennale: accanto a circa 800mila persone colpite dallo tsunami, ce ne sono circa 400mila sfollate a causa del conflitto. Alcuni costretti a vivere in campi profughi da anni. Per molte delle organizzazioni impegnate in Sri Lanka queste persone non sono beneficiarie di alcun progetto. Non per miopia umanitaria di qualcuno, ma semplicemente e comprensibilmente perché le donazioni ricevute riguardano lo tsunami e le sue vittime.L’altra faccia della medaglia è che in alcune zone, Trincomalee e Galle su tutte, a giugno scorso erano già state riconsegnate ai pescatori un numero superiore di barche rispetto a quelle censite come distrutte o danneggiate. Con il rischio conseguente d’inflazionare la presenza di operatori nel settore della pesca e di depauperare le risorse ittiche, un fenomeno già in crescita prima dello tsunami.A scanso di equivoci, preciso che Caritas Italiana ha preso le distanze da tali fenomeni facendo scelte progettuali precise: da un lato sta finanziando economicamente e accompagnando con personale espatriato i programmi nazionali «Pace e Riconciliazione» e «Vittime di Guerra» della Caritas dello Sri Lanka; dall’altro scegliendo di andare a lavorare in quelle regioni dell’isola con una minore presenza di organizzazioni umanitarie. Volevamo dare un segno e speriamo di esserci riusciti. Ma ciò non cambia i termini della questione. Fra i lavoratori delle piantagioni del tè di Kandy, nella zona collinare dello Sri Lanka, gira una battuta riferita alle popolazioni colpite dallo tsunami: «Alla fine, se il maremoto non ha ucciso alcun tuo familiare, puoi considerarti fortunato: ti ricostruiscono la casa più bella di quella che avevi prima e ti danno una barca migliore». Nel mio piccolo fardello di pensieri che mi accompagneranno per Natale, ho messo anche questa battuta.

*(operatore Caritas Italiana in Sri Lanka)