Cosa accomuna «Pinocchio», «Il libro di Giona» e il film «Jona che visse nella balena»? Tutte e tre queste opere contengono al loro interno un messagio che va ben oltre le storie narrate. Un messagio di speranza, ma anche una metafora della vita. E sebbene solo una di esse, «Il libro di Giona», sia contenuta all’interno di un testo religioso, anzi dentro il libro religioso per eccellenza (la Bibbia), tutte e tre si prestano molto bene per essere utilizzati dagli insegnanti di religione per parlare di Dio, soprattutto con i bambini più piccoli. Come quelli delle scuole elementari. Lo sa bene Olga Udoni, insegnante di religione all’istituto comprensivo «Gandhi» di Pontedera. Proprio nelle settimane scorse, infatti, la nostra ha utilizzato questi libri con i bambini che frequentano le quinte. «Ed è stata un’esperienza davvero positiva – commenta – i bambini hanno saputo leggere benessimo tutte e tre queste opere. Era la prima volta che li mettevo di fronte ad un testo biblico intero e la riposta che ho avuto è stata entusiasmante. Molti di loro lo hanno letto anche due o tre volte, lo hanno persino portato a casa e ne hanno discusso con i loro genitori. Ma, soprattutto, hanno captato tutto. Hanno colto il linguaggio teologico e sono riusciti ad interpretare correttamente il testo biblico. Mi hanno scritto bigliettini in cui mi raccontavano cosa aveva significato per loro quella lettura».È proprio vero non si smette mai d’imparare. E la maestra Udoni di esperienza alle spalle ne ha già tanta. Sono già diciannove anni che insegna religione nelle scuole della nostra diocesi. Un’esperienza completa perché «a parte la materna – racconta – ho avuto modo di insegnare nelle scuole superiori, in quelle medie e, adesso, in quelle elementari». Un’esperienza a trecentosessanta gradi, maturata con ragazzi e bambini di tutte le età e con profonde differenze anche tra classi e classi di una stessa scuola. «Il tipo d’insegnamento adatto per le prime elementari – spiega – è diverso da quello necessario ad esempio nelle quinte elementari. I bambini sono già più grandi e cominciano ad avere una lettura più attenta di ciò che fanno».Questioni di metodologia. Come cambia il suo rapporto con questi piccoli alunni?«Con i bambini delle prime si ricorre molto all’animazione, al gioco, alla narrazione di storie. Attraverso questi strumenti si entra in empatia con loro e si cerca di trasmettere dei contenuti. Una metodologia che ci ha insegnato lo stesso Gesù Cristo che quando voleva spiegare qualcosa di più complesso ricorreva alle parabole. Con i bambini più grandi le cose, ovviamente, cambiano. Cominciano ad essere più maturi e attraverso il problem solving sono loro stessi che trovano le risposte». Quanti sono i bambini che nella sua scuola si avvalgono delle due ore di religione?«Nelle undici classi che seguo si registra una percentuale del 97-98% di avvalentesi».Una cifra decisamente alta. Una scelta, che data l’età dei bambini, è sicuramente maturata dai genitori…«Certo, sono i genitori a scegliere per loro. Anche se poi durante le lezioni si appassionano e partecipano con grande interesse».Cosa chiedono i genitori quando scelgono per i loro figli l’insegnamento della religione?«La richiesta di fondo è quella di approfondire la conoscenza della nostra identità culturale. Un’identità, che come già sottolinenava Giovanni Paolo II ed ora, con rinnovato vigore, anche Benedetto XVI, non può che essere cristiana e cattolica».Nelle scuole superiori abbiamo visto che negli ultimi anni sono aumentati gli studenti stranieri, molti dei quali appartenenti ad altre confessioni religiose. Un fenomeno che coinvolge anche le scuole elementari?«Sì. Anche nelle mie classi ci sono numerosi studenti stranieri. Tantissimi cinesi, ma anche russi, polacchi, magrebini, marocchini, albanesi. E, come le loro famiglie, sono ortodossi, musulmani o, addirittura, atei».E chiedono di frequentare l’ora di religione?«Sì, vi è il desiderio di conoscere la storia del cristianesimo, di conoscere la realtà culturale nella quale sono inseriti. E, anche se molti non sono battezzati perché vengono da Paesi in cui la religione è addirittura proibita, sono particolarmente interessati. Per molti sapere che c’è un solo Dio è una grande scoperta».C’è qualcuno fra di loro che chiede di approfondire la conoscenza partecipando ad un cammino di iniziazione cristiana?«Nel passato mi è successo. Un bambino che non era stato battezzato mi chiese delle informazioni. Ne parlai ai suoi genitori. La persona però non deve sentirsi obbligata, ci dev’essere sempre un’onestà nel dire le cose. Un cammino di fede richiede una partecipazione viva ai sacramenti, la frequenza al catechismo. E dev’essere una scelta libera. Bambini che appartengono ad una religione diversa da quella cattolica e che chiedono di convertirsi invece non mi sono mai capitati. Anche perché non è ciò che noi ci proponiamo nell’insegnamento dell’ora di religione che rimane un approfondimento culturale diverso e distinto da un cammino di catechesi». Con le altre maestre che rapporto c’è?«Di grande collaborazione, anche perché spesso si sviluppano dei percorsi trasversali che ci consentono di trovare dei campi d’approfondimento comuni. Ad esempio la visione del film di Roberto Faenza Jona che visse nella balena si inserisce proprio in un percorso di preparazione che abbiamo fatto con le altre colleghe per parlare del giorno della memoria e dunque della grande tragedia della shoah e più in generale del tema dell’antisemitismo».