Pisa

Cari preti, non nascondiamo agli altri la nostra fragilità

I preti non devono nascondere agli altri la loro fragilità. Se infatti Dio si servisse solo di santi, sarebbe … assai poco originale. E invece si serve di uomini comuni, fragili, persino di poca fede come i discepoli che si è scelto.Sono parole di don Bruno Maggioni, scritte nel suo libro «Un tesoro in vasi di coccio». Parole riprese e commentate dal nostro arcivescovo in occasione della messa crismale del Giovedì Santo.Alessandro Plotti ha proposto ai sacerdoti pisani una «verifica della nostra credibilità», utile esercizio in previsione del prossimo convegno ecclesiale a Verona. La vita affettivaCome viviamo la nostra vita affettiva? Qual’è la qualità delle relazioni con la comunità a noi affidata?Noi preti – ha osservato l’arcivescovo – corriamo spesso il pericolo di non amare veramente nessuno, per restare liberi e soli; o, al contrario, di legarci troppo soltanto ad alcuni.«I nostri rapporti pastorali con i fedeli e con la gente che vive in parrocchia non possono essere formali, istituzionali, anche se corretti e rispettosi. Il nostro popolo ha bisogno di sentirsi amato» ha detto Alessandro Plotti. Già, ma come vivere il celibato? «Dobbiamo accettare la nostra solitudine non come un limite, ma come una straordinaria opportunità per lasciarsi amare e, nello stesso tempo, per accogliere l’altro nella sua diversità». Il lavoro e la festaCome affrontiamo il nostro servizio pastorale e come gustiamo il sapore della festa e del riposo? ha chiesto l’arcivescovo ai sacerdoti convenuti in Duomo per la messa crismale. Forse «anche noi siamo vittime di un efficientismo esasperato, come se la salvezza del mondo dipendesse esclusivamente dalla nostra fatica» ha osservato Plotti. Ed invece anche i sacerdoti dovrebbero dare un giusto equilibrio al tempo del lavoro e a quello della festa e del riposo.Ma che cosa si può fare per far recuperare ai nostri fedeli il senso della festa, della sacralità della domenica, della necessità di un sano riposo? «Forse bisognerà qualificare di più l’aspetto gioioso della celebrazione domenicale – si è risposto l’arcivescovo – rendendo questi incontri più affascinanti e coinvolgenti, affinché anche coloro che non praticano, sentano il richiamo a far festa». La fragilitàUna terza suggestione – ha osservato ancora il nostro – ci interpella: è quella della fragilità, la nostra fragilità. «La speranza cristiana si mostra proprio nei casi di fragilità: non ha bisogno di nasconderla, ma la sa accogliere con discrezione e tenerezza». Dunque, rivolto ai sacerdoti: «è inutile che nascondiamo le nostre fragilità». Anzi – par di capire dalle parole dell’arcivescovo – dovrà essere visibile a tutti quanta grazia ha diffuso Dio in uomini inadeguati.E, per dirla con le parole di San Paolo: «portiamo questo tesoro in vasi di coccio, affinché appaia che la straordinaria sua forza proviene da Dio e non da noi» (2Cor. 4,7).«In una comunità di soli santi, mi troverei molto a disagio. In una comunità fatta di “vasi di coccio”, mi sento perfettamente a mio agio, accolto, amato e perdonato – scrive Bruno Maggioni in “Un tesoro in vasi di coccio” – Non mi scandalizzo mai della debolezza degli uomini, anche di Chiesa, e neppure se ne scandalizza il mondo, quello vero. Piuttosto quanta amarezza, quando vedo – o mi sembra di vedere – arroganza, ostentazione e giudizi troppo taglienti». «Quanto è saggia questa riflessione – ha osservato monsignor Alessandro Plotti – e quanto dovrebbe far modificare anche i nostri rapporti presbiterali». E percepirsi come «vasi di coccio aiuta ad accettare tutte le fragilità che sollecitano il nostro ministero. Quante fragilità incontriamo sulla nostra strada: fragilità nelle persone, nei giovani, negli adolescenti, nelle famiglie. Soggetti a cui andare incontro, condividendo fraternamente le loro e le nostre fragilità». La tradizioneOggi – ha chiosato l’arcivescovo – si parla di tradizionalismo e di progressismo come di due atteggiamenti culturali ed ecclesiali contrapposti. Ed invece una sana difesa della tradizione è condizione irrinunciabile di rinnovamento e di apertura alle nuove istanze del mondo. Allora tradizione e profezia devono andare di pari passo: «è in gioco la formazione delle coscienze nella verità immutabile del Vangelo e contemporaneamente nella accoglienza solidale delle nuove sfide di una cultura secolarizzata». La cittadinanzaNelle nostre scelte pastorali «non possiamo pensare solo alla formazione religiosa e alla gestione del sacro – ha detto Alessandro Plotti – ma occorre aprire nuovi spazi per una sincera collaborazione con le realtà territoriali». E ancora: «La scollatura tra la politica e l’ispirazione cristiana delle questioni sociali è evidente e preoccupante. Bisogna educare soprattutto i giovani ad una responsabilità politica e sociale, che permetta di incarnare la fede nel quotidiano». Infine: «La nostra pastorale è generica soprattutto quando si ha a che fare con gli adulti. Bello sarebbe cogliere i problemi specifici dei cristiani che operano nella scuola, o che sono impegnati nelle professioni, nelle attività culturali, nello sport e nel tempo libero, per concertare itinerari formativi» capaci di dar voce ad una testimonianza più incisiva del Vangelo nel mondo.