Pisa

Cari laici, tornate a parlare di Gesù risorto

Cari laici, tornate a parlare di Gesù risorto a tutti coloro che non hanno la fede. In questo può essere utile l’esempio dei primi cristiani.«Sì, l’evangelizzazione non è un compito legato all’ordine sacro, ma al battesimo. Sono i laici ad essere investiti del compito della trasmissione originaria della fede».Don Severino Dianich, docente di teologia alla facoltà teologica dell’Italia centrale, ha insistito molto sul ruolo «attivo» dei laici all’interno della Chiesa. Lo ha fatto nella sua relazione introduttiva al secondo convegno di studi organizzato a Calci dalla diocesi per approfondire i temi del prossimo convegno ecclesiale di Verona. Il teologo si è anche augurato che in Italia si creino consulte tematiche, per l’elaborazione di idee e contenuti capaci di incidere anche nelle diocesi e nelle parrocchie. «Compito essenziale della Chiesa – ha commentato Dianich – è la diffusione della memoria della fede, nel tempo, in Gesù morto e risorto: se questo venisse meno la Chiesa sarebbe un contenitore vuoto». Anche nella seconda parte della relazione, in riferimento al titolo «speranza del mondo», don Dianich ha offerto stimoli all’impegno dei laici nel mondo, ricordando che «il mondo non è destinato alla catastrofe: la nostra speranza è Gesù». E ancora: «Smettiamola di lamentarci, non è da cristiani. Occorre invece porre i segni della speranza, come ridare luce dove è buio, rimettere in piedi ciò che è caduto. E soprattutto occorre alimentare la grande speranza nella risurrezione per ridare fiato e prospettiva alle piccole speranze della quotidianità».Gli stimoli offerti dalla relazione di don Severino Dianich sono stati discussi nei lavori di gruppo dei cinque ambiti in cui è suddiviso – per un più incisivo approfondimento e non certo per disperderne l’unitarietà – il tema del convegno «Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo».Chiara Breschi (ambito della vita affettiva) ha sottolineato la centralità della famiglia nella vita affettiva, la necessità di una maggiore collaborazione fra famiglia e scuola per portare la cultura dell’amore, ma anche l’utilità di progetti interparrocchiali e vicariali, di gruppi parrocchiali coesi e non frammentati, di una chiesa autentica che non si sieda e di una relazione più sincera fra sacerdoti e laici. Chiara Breschi ha anche riportato il bisogno di una «maggiore formazione spirituale e teologica per i laici».«Il lavoro è un valore e uno strumento che continua l’opera creatrice di Dio». Un concetto, questo, che la nostra società ha perso secondo Alfonso Di Sandro (ambito lavoro e festa). Per lui le nostre comunità ancora non hanno preso coscienza di come la precarietà del lavoro incida sulla formazione della famiglia, e provochi nell’uomo smarrimento e instabilità. Due gli slogans dell’ambito della fragilità: «Abitare il mondo» e «Mi interessa». Il gruppo di studio si è occupato soprattutto della grande fragilità insita fra i giovani e della carenza di relazioni giovanili e ha chiesto un confronto più stringente fra i docenti e i genitori e una formazione non solo disciplinare delgli insegnanti.Il gruppo di lavoro della tradizione ha approfondito il tema del linguaggio per trasmettere la fede: semplice ma non banale. La trasmissione della fede non la si fa solo con le parole, ma anche con la credibilità personale. Utile un atteggiamento di accoglienza anche con i lontani, scoprendo il buono che c’è in ciascuno, affiancando chi ha impegni nel sociale e nel politico e confrontandosi con i fedeli di altre religioni.«Il 90% della gente – ha detto Chiara Lapi (ambito cittadinanza)- è battezzata, ma poi la maggioranza di essa non è buona testimone di questo incontro con Cristo. Bisogna quindi ripensare ad una diversa pastorale per le giovani famiglie». Ma il cristiano – si sono domandati i membri del gruppo – riesce a scompaginare gli schemi che dominano la società, come il consumismo o l’indifferenza? O c’è invece un’abitudine e un appiattimento su di essi?Il gruppo ha poi evidenziato come ci sia la necessità di una formazione dei cristiani sui temi della cittadinanza e della legalità su due livelli: quello della formazione pre-politica e pastorale della classe dirigente e quella ad ampio raggio, con destinatari i cittadini che vivono in uno stato, in una città. Il convegno si è concluso con l’intervento dell’arcivescovo, che nella mattinata aveva concelebrato la santa messa e che nel pomeriggio ha ascoltato i cinque interventi.«Il cristianesimo – ha detto monsignor Alessandro Plotti – non è una dottrina sociale, o un insieme di progetti tra le cose del mondo, ma è il messaggio della trascendenza. Siamo cittadini a pieno titolo ma con la convinzione che non c’è un obiettivo definitivo senza Cristo risorto». Degli ambiti l’arcivescovo ha invitato a cogliere la trasversalità e la relazione: «Gli ambiti sono solo strumenti per farci capire come portare questo messaggio di Cristo risorto».Nell’omelia l’arcivescovo, commentando il brano di Giovanni sul «Buon pastore», aveva detto che «occorre dare la vita per il Vangelo, riscoprendo la ministerialità anche dei laici e vivendo la missionarietà con lo stile di diffondere l’amore».