C’era molta folla quella mattina del 17 giugno del 1986 in Cattedrale. Tutti i preti della diocesi, innanzitutto. Ma anche religiosi, religiose, tantissimi fedeli. Pisani e non. Sì, perché ad accompagnare il nuovo arcivescovo, monsignor Alessandro Plotti, quella mattina erano arrivati in tanti anche da Roma, la città in cui per ventisette anni era stato vicario parrocchiale della comunità dei Santi Urbano e Lorenzo, assistente spirituale e docente di teologia alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, parroco della comunità di Santa Lucia e, infine, vescovo ausiliare. Non solo. Tra le grandi navate della nostra Cattedrale vi erano anche molti abitanti di Moltrasio, il paese su quel ramo del lago di Como, dove la famiglia Plotti ha da sempre un’abitazione e dove, il 25 luglio del 1959, era iniziato il cammino presbiterale di «don Sandro». Ognuno dei presenti quindi, quella mattina di venti anni fa, aveva motivo di far festa: i vecchi fedeli per il loro ex parroco chiamato a guidare una diocesi di grandi tradizioni, gli abitanti di Moltrasio per uno di «loro» che diventava pastore di una Chiesa Metropolita; e i pisani venuti a salutare il loro nuovo arcivescovo e a «congedarsi» simbolicamente da monsignor Benvenuto Matteucci che dopo 18 anni di servizio episcopale – prima come amministratore apostolico sede plena (dal 15 agosto 1968) e poi come arcivescovo residenziale (dal 2 gennaio 1971) – consegnava il pastorale e la cattedra della Chiesa pisana a monsignor Alessandro Plotti.Una celebrazione religiosa intensa e partecipata, senza nessun coinvolgimento dal punto di vista civile, come spesso accade quando entra un nuovo vescovo in una diocesi. Quella mattina, infatti, nessuna autorità politico-istituzionale accolse monsignor Plotti all’arrivo in città, non ci furono discorsi da parte di sindaci e neppure cortei. Tutto si svolse in maniera semplice e nello stesso tempo diretta. Anche così, iniziava una nuova stagione per la vita della Chiesa pisana. Sì, perché al di là della imponente statura, che poteva mettere soggezione a chi lo avvicinava per la prima volta, monsignor Plotti si mostrò subito come un arcivescovo diretto, immediato, scevro da antichi e reverenziali formalismi. Così come è poi emerso nel corso di questi quattro lustri. Anni intensi, carichi di impegni in cui il nostro arcivescovo si è speso per annunciare e testimoniare a tutti, credenti e diversamente credenti, il Vangelo di Cristo. Senza mai risparmiarsi. Come attestano le oltre 50mila cresime celebrate in tutte le parrocchie della diocesi, le tre visite pastorali (l’ultima delle quali ancora in corso), i convegni ecclesiali, le ordinazioni presbiterali, i ritiri, i pellegrinaggi e i tanti incontri. Un pastore che ha cercato, come ricorda lui stesso, «in tutti i modi di essere presente il più possibile nei vari momenti più significativi della diocesi e della vita delle parrocchie». Per questo «qualcuno – afferma ancora monsignor Plotti – mi ha accusato di troppo presenzialismo. Io ritengo, però, che il vescovo deve farsi presente anche fisicamente, non più governare una diocesi stando seduto alla scrivania». Ecco quindi che l’accoglienza, l’accessibilità, l’ascolto e il dialogo sono divenute la cifra caratterizzante il servizio episcopale di monsignor Plotti. «Un vescovo – come ha avuto modo di scrivere una volta il vaticanista de La Repubblica, Marco Politi – che piace ai laici. Perché esprime fino in fondo la sua identità. Perché parla con chiarezza. Perché è aperto alla comunicazione». Un presule che, conscio del proprio ruolo e, soprattutto, della propria responsabilità di annunciatore e testimone del Vangelo, non si è mai tirato indietro. Anzi, è sempre sceso in mezzo all’«agorà», assumendosi la responsabilità di consensi, critiche e, se è capitato, anche di scelte discutibili.Ed è intorno a questo arcivescovo che, questo sabato, la comunità dei credenti e tanti altri uomini e donne di buona volontà si stringono per festeggiare il ventesimo anniversario del suo ingresso. Riconoscenti a lui per il servizio prestato alla nostra Chiesa e riconoscenti a Dio per avercelo «donato».