Quando il compianto cardinale Ugo Poletti, Vicario del Papa per la Diocesi di Roma, mi comunicò che il Santo Padre mi aveva designato alla Chiesa Primaziale di Pisa, mi assalirono due sentimenti contrastanti: uno di gioioso stupore per questa nomina così immeritata, ma che manifestava la stima e la fiducia di Giovanni Paolo II affidandomi una Chiesa illustre e prestigiosa; l’altro di grande smarrimento e di sofferenza, perché dovevo lasciare la mia chiesa romana, che mi ha generato e mi ha accompagnato nei primi 27 anni di servizio pastorale. L’idea di dover abbandonare amici, familiari, fedeli, presbiteri, la città stessa, piena di suggestioni e risorse, mi dava un senso di vuoto e mi domandavo: ma ce la farò a vivere questo salto cosi radicale, senza soffrire e senza nostalgie? Poi ho cominciato il mio servizio qui e subito ho provato una immediata sensazione di appartenenza, come se a Pisa ci fossi sempre stato. E il ricordo del passato si è totalmente e positivamente impastato con la nuova responsabilità nella Chiesa Primaziale e nella città degli uomini. Sono passati vent’anni e devo confessare che questo senso profondo di appartenenza non si è diluito, anzi è via via aumentato e ancora è per me fonte inesauribile di gioia e di entusiasmo. Rileggendo il discorso che feci il 17 giugno 1986, durante la cerimonia dell’insediamento, mi piace soprattutto ricordare questo passo: “Ed ora sono qui, con trepidazione, ma con grande gioia per essere sempre più pisano tra i pisani, uomo tra gli uomini, cristiano tra i cristiani, Vescovo tra i fratelli. Vi assicuro che ce la metterò tutta per non tradire le vostre attese, le vostre speranze, le vostre gioie e i vostri dolori, per camminare con voi e per voi, nel nome di Cristo, nella edificazione di questa chiesa che è in Pisa e che deve essere e diventare sacramento e segno di salvezza per tutti coloro che qui vivono, crescono, lavorano, soffrono e cercano. Voglio diventare un compagno di viaggio, attento e solidale, nel faticoso pellegrinaggio umano della gente pisana e saper comprendere le situazioni, le domande e le speranze degli uomini del nostro tempo e di questa terra a qualunque condizione appartengano, per donare la novità evangelica, per combattere insieme a tutti gli uomini di buona volontà le grandi battaglie per la dignità dell’uomo, per la giustizia, per la libertà, per la pace e per una convivenza civile e sociale improntata al dialogo sincero e alla collaborazione autentica; per amare, in una parola, senza steccati e senza preconcetti.” A distanza di vent’anni da quel giorno e da quel discorso, mi domando se ci sono riuscito. E’ bene non fare bilanci e non cercare di rispondere per non provare delusioni e coltivare rimpianti. Posso soltanto affermare con certezza e con coscienza retta che in questi vent’anni mi hanno guidato tre convinzioni:La prima: è stata costante e radicata sempre in me l’idea che il Vescovo è a servizio della sua Chiesa e non viceversa e che la sua vita deve essere tutta spesa per concretizzare questo servizio nella totale disponibilità alle urgenze e ai bisogni della gente che vuole vedere nel Vescovo un Pastore che vive il rapporto con il suo popolo nella accessibilità umile e cordiale e nella presenza fisica in tutti i momenti più significativi per un dialogo sereno e per una amicizia solidale. La mia agenda è sempre stata affollata di impegni, di incontri, di celebrazioni, di visite, proprio per rendere visibile la partecipazione del Vescovo al cammino ecclesiale della comunità. Prima della Pasqua del 2007 concluderò la Terza Visita pastorale, che mi ha portato a percorrere per la terza volta in maniera capillare, tutte le strade della Diocesi, per portare al popolo di Dio l’annuncio del Vangelo. E non solo le Visite pastorali, ma anche gli innumerevoli incontri con i presbiteri, i catechisti, le diverse realtà associative laicali, le istituzioni caritative, senza trascurare tutte le altre esperienze culturali, sportive, sociali, non legate alla chiesa, così ricche e importanti nel tessuto umano e politico della nostra Terra.E’ stata tutta una trama di rapporti e di legami che mi hanno permesso di sviluppare sempre più lo spirito di servizio e di donazione e di percepire che attraverso la presenza e la condivisione del Vescovo cresce lo spirito di partecipazione e di comunione nella Chiesa e nella convivenza civile e sociale.Il ritmo è stato intenso e il tempo libero assai limitato; ho perso qualche punto sulla patente, per arrivare ovunque il dovere mi chiamava, ma ho vissuto la mia missione con tanta gioia e integrazione. I risultati di questo servizio sono nelle mani di Dio e Lui solo mi giudicherà.La seconda idea forza che ha guidato il mio ministero episcopale in questi vent’anni è stata la ferma convinzione che nella Chiesa ciascuno deve maturare la sua specifica vocazione, partendo dal Battesimo che ci costituisce tutti in uguale dignità, ma che deve poi manifestarsi nella diversità dei carismi e dei ministeri ecclesiali.Spesso, purtroppo, anche nella Chiesa, le diversità non sono vissute come ricchezza e come manifestazione della creatività dello Spirito, ma come fatica nell’accettarsi e nel collaborare insieme.Abbiamo fatto un buon cammino con il presbiterio che sento unito e concorde nella comune missione apostolica, per educarci alla collaborazione pastorale e ad una più efficace e integrata fraternità. La riduzione numerica del clero in questi anni ci ha costretto a creare nuove strutture di collaborazione e di comunione.Vent’anni fa solo sei parrocchie erano senza il parroco residente; oggi sono 44. Stano nascendo, con molta fatica, le unità pastorali, che non possono essere solo frutto di “accorpamento” di parrocchie vicine, ma strumenti da inventare e da gestire con una nuova mentalità.Ma la soddisfazione più bella è stata quella di vedere crescere nei laici una sensibilità ecclesiale e pastorale straordinaria. Non possiamo non ricordare tutti la grande mobilitazione di centinaia di laici per la Missione diocesana in preparazione all’Anno giubilare del 2000. E’ stata un’esperienza esaltante, dove presbiteri e laici hanno lavorato insieme con entusiasmo e spirito evangelizzatore. Non abbiamo saputo, però, continuare su questa strada, per trasformare le nostre parrocchie in comunità d’annuncio e di missionarietà.Molti laici hanno frequentato e frequentano la Scuola di formazione teologica e le altre occasioni formative offerte dalla Diocesi, rivelando sempre di più il desiderio di affinare la propria preparazione, per diventare protagonisti seri e impegnati, nel servizio alla Parola e alla comunione fraterna.Ma la realtà più significativa nata in questi anni è stata l’isituzione anche nella nostra Diocesi del Diaconato permanente. 22 sono stati i Diaconi ordinati e altri si stanno preparando. E’ un segno di vitalità e di ministerialità che non può essere sottovalutato o ignorato.E’ sicuramente cresciuto lo spirito di appartenenza alla Chiesa locale, la diocesanità, e la Cattedrale accoglie sempre più frequentemente il popolo di Dio per celebrazioni diocesane che danno, anche visibilmente, il segno di una comunità in cammino per una testimonianza condivisa e unitaria.La terza idea forza che ha ispirato il mio ministero in questi anni è stata la convinzione che la Chiesa deve essere aperta al confronto con la società civile in cui deve incarnarsi per portare il Lieto Annuncio a tutti.I rapporti con le Istituzioni e con le Autorità civili, irrinunciabili, sono stati una costante e viva esigenza del mio servizio episcopale.Sono intervenuto più volte sulle questioni culturali, sociali e politiche che la vita e i problemi della nostra gente manifestano e soffrono. Mi è sempre sembrato doveroso per un Pastore illuminare e richiamare, stimolare e sostenere gli aneliti di giustizia, di libertà e di pace che nascono dalle contraddizioni e dai conflitti nei rapporti, anche istituzionali, tra persone, categorie e ceti sociali.Questi interventi mi hanno creato anche qualche antipatia e avversione. Ma la cosa che mi ha fatto soffrire di più è stato il tentativo, per opera di alcuni, di farmi passare come un Vescovo di parte, e non come il padre di tutti i credenti, aperto al dialogo cordiale con tutti i cittadini. Io credo che il confronto con la radicalità del Vangelo e la dignità di ogni uomo, anche se conflittuale, deve accompagnare il magistero di un Vescovo, che ha il dovere di predicare la Verità rivelata, anche se scomoda e provocatoria. Anche Gesù Cristo non si è sottomesso al potere dei benpensanti, ma ha combattuto con forza profetica l’ipocrisia e l’arroganza di chi non voleva aprire il cuore alla novità del suo messaggio di salvezza. Ma se da una parte qualcuno ha frainteso il mio ministero, dall’altra mi piace in questa occasione ringraziare tutte le Autorità e tutte le Istituzioni per il rapporto di stima e di condivisione del mio servizio. Non ho mai cercato favori o privilegi, ma solo dialogo, collaborazione e condivisione. Anche se i ruoli sono distinti, credo, abbiamo costruito una trama di convergenze e di sintonie, che hanno sempre avuto l’unico scopo di essere tutti a servizio della promozione morale, civile e sociale del nostro territorio.E non posso non menzionare il rapporto dinamico con le nostre Università. Il servizio “Cultura e Università” e il complesso di San Frediano costituiscono ormai un punto di riferimento per docenti e studenti assai significativo ed efficace.Sono trascorsi vent’anni da quel 17 giugno 1986, quando trepidante entravo da Arcivescovo in questa splendida cattedrale, per iniziare un ministero tutto da scoprire e da realizzare. Cominciavo un itinerario che ha segnato profondamente la mia vita e che, quando terminerà, ormai presto, lascerà nel mio cuore sacerdotale un ricordo indelebile.Ringrazio perciò tutti, con grande riconoscenza e affetto, e in questa Eucaristia pregherò per tutti specialmente per coloro che più da vicino e con tanta simpatia, hanno condiviso il mio servizio episcopale.Ma oggi non possiamo non ricordare San Ranieri. Tornato a Pisa, dopo un lungo periodo di penitenza e di preghiera nella Terra di Gesù, ha messo i suoi carismi straordinari a servizio della città e della sua pacificazione. Molti ricorrevano a lui per essere confortati e illuminati nella loro vita di fede, e per essere cittadini onesti.Un esempio da imitare. Dobbiamo amare dì più la nostra città, dobbiamo condividerne di più il suo futuro e il suo sviluppo, affinché la nostra eccezionale tradizione culturale e religiosa possa essere ancora forza d’attrazione per coloro che da tutto il mondo arrivano a Pisa.San Ranieri non era né Vescovo né prete; era un laico. E questo è un segno di quanto i laici possano coinvolgersi nella edificazione di una città veramente solidale e fraterna . A questo ho sempre creduto in questi vent’anni. Mi auguro che possiamo, sotto la protezione di San Ranieri, lavorare affinché la compartecipazione di tutte le forze sane presenti sul nostro territorio collaborino con rinnovata alacrità al bene comune e alla civiltà dell’amore.Amen.