Aboud è uno dei villaggi più graziosi della Palestina, richiama molto la Toscana. Le sue case in pietra smussate dal tempo crescono su dolci colline. Gli uomini anziani stanno seduti in un piccolo recinto, ombreggiato da muretti, su banchi di pietra, riuniti come gli anziani di Itaca del giovane Telemacco. «Gli abitanti di Aboud non sono rifugiati di Gaza o Deheisce: è gente del posto, e qui si percepisce la Terra Santa come dovrebbe e potrebbe vivere» dice Silvio Tessari, operatore della Caritas italiana che in quel villaggio si è recato di recente.. Nel corso della sua storia lunga tremila anni, Aboud ha adottato la fede cristiana da Cristo stesso: ce lo racconta la tradizione locale e c’è la chiesa a darne testimonianza, una delle chiese più antiche sulla terra, costruita nei giorni di Costantino nel quarto secolo dopo Cristo, o ancora prima, come ipotizzano alcuni archeologi.Aboud ha più di una chiesa: vi si trovano una chiesa cattolica, una greco ortodossa ed una della comunità Church of God, costruita da Americani. C’è, infine, una nuova moschea. In questo paese di 2.200 anime, metà sono islamici, metà cristiani di rito latino e greco-ortodossi.Il 17 dicembre tutto il paese, musulmani e cristiani, si recano a venerare la patrona del paese, Santa Barbara. Barbara era una ragazza del posto che si innamorò di un giovane cristiano e si fece battezzare: per questo morì martire. Don Firas Aridah (nella foto in basso indica il sito dove si sta costruendo il nuovo complesso parrocchiale), 31 anni e prete da cinque, è parroco di Aboud: originario di Amjara, nel nord della Giordania, è stato inviato ad Aboud in Cisgiordania, perché, come cittadino giordano, può muoversi fra i vari ceck point senza le limitazioni a cui sono sottoposti i cittadini palestinesi: «Dio vi benedica!» ci scrive. «Ieri racconta molti musulmani sono stati ospiti delle famiglie cristiane per condividere con loro la festa patronale e consumare insieme il piatto della tradizione culinaria locale, chiamato, appunto, il piatto di Santa Barbara». Se nel villaggio la convivenza è pacifica, appena fuori il clima è molto difficile: il governo israeliano sta costruendo un muro per «proteggere – così dice – il suo popolo dai palestinesi. Ma lo fa non costruendo sui confini definiti nel 1948 (la cosiddetta linea verde, ndr) bensì occupando circa sei km del territorio verso Aboud, quindi togliendo terra e risorse al nostro popolo». Ecco allora che molti degli ulivi sono stati tagliati, alcuni terreni confiscati. I più hanno perso lavoro: i trasporti sono bloccati, le lunghe file ai ceck-point impediscono a tanti di arrivare sul posto di lavoro in tempi ragionevoli, mentre gli esercizi commerciali hanno difficoltà ad approvvigionarsi. I posti di blocco non hanno riguardo nemmeno per le ambulanze: così anche chi ha un semplice mal di denti rischia di dover aspettare giorni, settimane, prima di poter vedere un medico. Un periodo difficile, uno dei più difficili nella storia secolare di questa terra. Eppure don Firas Aridah e la sua gente confidano nella Provvidenza: «Viviamo l’Avvento con la speranza che Gesù Cristo, principe della pace, venga a piantare un albero d’ulivo in ogni cuore, perché vi cresca la pace del Signore».E se fuori, per le strade o ai posti di controllo, non c’è pace, «beh, allora dobbiamo costruire la pace almeno nelle nostre case, nella nostra parrocchia».È per questo che, alcuni anni fa, don Firas Aridah lanciò l’idea di costruire una sala di comunità: per farvi incontrare i giovani scout, i ragazzi della scuola, i cristiani e gli islamici. E per offrire quegli essenziali servizi sanitari che sarà sempre più difficile chiedere all’esterno. Progetto sposato da Caritas Jerusalem e dalla Caritas italiana. Anche la Caritas diocesana di Pisa ha deciso di dare una mano al sogno di don Firas Aridah: destinando alla comunità di Aboud 25.300 dollari (20.000 euro) ricevuti durante la scorsa Quaresima dalle parrocchie pisane: questo denaro, associato ai 55.000 euro ricevuti da Caritas italiana, ai 20.000 euro provenienti da quella ambrosiana e ai 77.000 arrivati dal Patriarcato latino, hanno permesso di finanziare quasi completamente la prima parte dei lavori.«In particolare abbiamo deciso di destinare i soldi arrivati dalla Caritas di Pisa – ci dice don Firas Aridah – alla sistemazione di un terreno da gioco annesso alla sala: stiamo anche costruendo un muro di protezione intorno al campo sportivo». La zona attorno alla parrocchia, infatti, è molto ripida, e le pioggie in quel territorio sono rare, ma impetuose, per cui alto è il rischio di frane. Il giovane prete non finirà mai di ringraziare quelli che lui chiama «gli amici pisani». Invitandoli a venire ad Aboud o invitandosi a Pisa.Intanto in chiesa don Firas e la gente di Aboud ha preparato il presepe: pietre, rami di olivo, i classici personaggi e molte pecore. Sorride, il nostro, quando gli diciamo che in Italia c’è chi ha rinunciato al presepe «per non toccare la sensibilità dei musulmani»: «da noi – osserva – nessun islamico si è mai detto offeso dalla rappresentazione della natività. Del resto Gesù è riconosciuto dall’Islam come un profeta».In attesa del Natale 320 persone si recheranno a Betlemme per la messa presieduta dal patriarca, quindi faranno ritorno ad Aboud, dove, alla vigilia, ci sarà una processione natalizia lungo le vie del villaggio. Una tradizione rispettata da tutti, in tanti anni nessun incidente.Nella scuola annessa alla parrocchia, 215 studenti – 94 cristiani, il resto musulmani – si preparano al Natale. «Gli studenti musulmani stanno aspettando i doni, come il cioccolato, che porterò loro in prossimità del Natale, così come Babbo Natale. La situazione è difficile, meno lavoro, meno soldi. Ma noi vivremo il Natale serenamente: è la festa della gioia, della famiglia Natale con i tuoi, come dite voi in Italia. Tanti auguri a tutti voi».