Pisa

MONSIGNOR GIOVANNI PAOLO BENOTTO: «DESIDERO INCONTRARVI!»

di Andrea BernardiniI pisani non hanno ancora smaltito il pieno di emozioni vissute domenica scorsa partecipando alla concelebrazione eucaristica con cui monsignor Alessandro Plotti ha salutato la diocesi. E già si preparano a vivere un altro evento memorabile: l’accoglienza del neoarcivescovo Giovanni Paolo Benotto. Domenica prossima monsignor Benotto sarà accolto dalle autorità civili in piazza Manin (alle ore 15.30). Poco dopo (ore 16) farà il suo ingresso in Cattedrale, per ricevere dal suo predecessore la croce metropolitana, siedere sulla cattedra  ed iniziare così il suo servizio di vescovo alla nostra diocesi. Eccellenza, con quale stato d’animo ritorna nella nostra diocesi, tra la sua gente?«Ritorno con una non piccola preoccupazione. Dopo quasi cinque anni di assenza è ovvio che le cose sono mutate, così come anch’io sono certamente cambiato; ed anche se è vero che parto avvantaggiato per la conoscenza che ho della vita della Chiesa pisana, pur tuttavia vengo con l’umiltà di chi si pone in ascolto e cerca di conoscere, senza ricette già confezionate e col desiderio di una seria e paziente opera di condivisione con tutti, soprattutto con i sacerdoti».Un passo a ritroso… Quando e come maturò la sua vocazione al sacerdozio?«La mia vocazione al sacerdozio risale agli anni del Liceo e andò maturando oltre che nella mia parrocchia di Ripafratta, con il mio parroco, l’indimenticabile don Mario Maracich, e in modo particolare all’interno del Settore giovanile dell’Azione Cattolica diocesana, grazie pure all’esempio e all’aiuto di sacerdoti indimenticabili come don Tullio Bonuccelli e soprattutto don Antonio Bianchin».I ricordi degli anni del Seminario…«Sono ricordi per me molto belli sia per il rapporto sereno e amichevole con i miei compagni di studio, sia per il dono di formatori come il Padre spirituale Mons. Tomei e soprattutto il Rettore don Mirello Paoletti verso il quale conservo una grande riconoscenza: preti tutti di un pezzo che insegnavano soprattutto con l’esempio della loro vita».In diocesi ha sempre lavorato in posizione defilata. Cosa ricorda dell’arcivescovo Benvenuto Matteucci, di cui è stato segretario per sette anni? E che ruolo ha giocato nella sua formazione di prete?   «I miei primi sette anni di sacerdozio li ho spesi nel servizio di segretario dell’Arcivescovo. Non sono mancate persone che all’epoca mi dicevano che ero un “prete sprecato”, parole che non mancavano di farmi male; in realtà si è trattata di una esperienza preziosa sia per la conoscenza della diocesi, sia per la mia formazione teologica e spirituale. Stare accanto a Mons. Matteucci ha significato per me poter attingere ad una sorgente inesausta di cultura teologica e di profonda umanità e toccare con mano cosa vuol dire amare la Chiesa da parte di una persona che aveva sofferto non poco proprio da parte della Chiesa».L’esperienza più lunga di parroco l’ha vissuta a Oratoio, dove arrivò nel 1980 succedendo a don Antonio Reginato, e che ha servito per tredici anni. Cosa ricorda di quegli anni?«Oratoio è stato in qualche modo la realizzazione del sogno che avevo coltivato per sette anni: quello di poter essere parroco, cioè padre e pastore di  una comunità. Ad Oratoio ho trovato una famiglia che mi ha accolto e che mi ha amato e alla quale ho voluto un gran bene. Sono stati anni molto intensi di evangelizzazione a tutto campo e di realizzazione di opere materiali. Anni a cui ritorno volentieri per i segni che hanno lasciato dentro di me».E poi San Sisto in Cortevecchia…«San Sisto è stata come un piccola parentesi- di appena due anni- dove però ho potuto verificare come anche in città e in una piccolissima parrocchia è sempre possibile annunciare Gesù, costruendo intorno a Lui, una comunità di fratelli che imparando a conoscersi sanno anche amarsi scoprendo la gioia di camminare insieme nella fede».Ancora, i dieci anni come vicario dell’arcivescovo Alessandro Plotti. Qual è, secondo lei, il tratto più significativo dei 22 anni di servizio episcopale del suo predecessore a Pisa?«Quando monsignor Plotti mi chiese di assumermi il fardello di vicario generale, non riuscivo a capacitarmi del perchè di questa sua scelta che se mi sradicò da Oratoio, mi permise però di radicarmi ancora di più nella nostra chiesa pisana. Per dieci anni ho cercato di offrire il mio servizio con totale disponibilità e nella consapevolezza di dover stare sempre “tre passi indietro”, cioè nella piena disponibilità a cogliere la volontà dell’arcivescovo per tradurla nella vita della nostra Chiesa. Di Mons. Plotti ho apprezzato la piena donazione di sè al servizio della nostra Chiesa e la ricchezza delle sue intuizioni pastorali insieme al desiderio di rispondere in modo adeguato alle sfide inedite poste dalla cultura contemporanea per annunciare Gesù e il suo Vangelo. Questi mi sembrano alcuni dei tratti caratteristici del suo servizio episcopale».Quale rapporto con il clero pisano?«Credo di poter affermare che il mio rapporto con il clero è sempre stato segnato da un grande rispetto offerto e ricevuto, dalla chiarezza e dalla fraternità e almeno da parte mia, dalla piena disponibilità al suo servizio nelle grandi come nelle piccole cose».Poi, nel 2003, la nomina a vescovo di Tivoli, sede vescovile immediatamente soggetta alla Santa Sede. Come apprese la notizia di quella nomina? Più volte ha detto: ho scelto di fare il prete, non il vescovo…«In effetti nella nomina a vescovo si sperimenta nella sua radicalità che cosa significhi “vocazione”, cioè essere chiamati, con tutto il timore che nasce dalla consapevolezza del proprio limite e della propria povertà. Ma proprio nel fatto di essere stati chiamati sta anche la forza e la serenità di una risposta che ancora di più diventa donazione totale di sè al servizio del Signore e della Chiesa».Che ricordi porta dell’esperienza di vescovo nella diocesi tiburtina? «A Tivoli, fin dall’inizio, mi sono sentito a casa mia e in famiglia. Una famiglia che lascio con non poca sofferenza. In quattro anni e mezzo della mia permanenza si sono creati forti rapporti di paternità con sacerdoti e laici, giovani e meno giovani. Abbiamo imparato a conoscerci e a volerci bene e soprattutto abbiamo sperimentato la gioia di che cosa significa lavorare insieme per il Signore e per la sua Chiesa sapendo apprezzare i doni che il Signore ha dato a ciascuno».Lascia tradizioni popolari molto sentite (come la festa della Madonna di Quintiliolo la prima domenica di maggio) segno, forse, di una fede semplice, da educare, capaci però di ‘contagiare’ ancora quasi tutti. Tradizioni che qui da noi si sono perse nel tempo…«La diocesi di Tivoli è ricchissima di splendide tradizioni religiose che mi mancheranno. Si tratta di momenti davvero “popolari” nel senso che coinvolgono tutti in maniera profonda. Tradizioni che sono ancora in grado di veicolare il messaggio della fede e occasioni importanti per rinverdire l’esperienza di incontro con il Signore».  In questi anni è stata avviata la causa di beatificazione di un cittadino illustre di Tivoli: Igino Giordani, già eletto alla costituente nelle file della Democrazia cristiana, cofondatore del Movimento dei focolari; e del servo di Dio monsignor Guglielmo Giaquinta, a lungo vescovo di Tivoli e fondatore del Movimento Pro Sanctitae. E, nel contempo, la causa di beatificazione di Giuseppe Toniolo, economista e sociologo cattolico, a lungo docente a Pisa… lei fa parte della Congregazione delle cause dei santi: ci può parlare della sua esperienza in questo ruolo?«In maniera inaspettata nell’estate del 2006 sono stato chiamato dal Santo Padre ad essere membro della Congregazione per le Cause dei Santi. Un compito di grande responsabilità che chiede pure un lavoro di studio delle singole cause per poter esprimere un giudizio che viene poi presentato al Papa. Qualcuno ha parlato di “fabbrica” dei santi quasi in senso dispregiativo: posso assicurare, per esperienza diretta, che si tratta invece di un “tribunale” per niente accomodante, e soprattutto di un “osservatorio” speciale da cui è possibile vedere quali opere meravigliose di santità il Signore realizza anche nei nostri tempi in ogni parte della Chiesa e del mondo».Toniolo è figura difficilmente etichettabile. E forse proprio per questo da valorizzare, in un tempo in cui i cattolici impegnati in politica nei diversi partiti faticano molto a trovare una linea unitaria almeno su certi valori. Che ne pensa? «Proprio la Settimana Sociale svoltasi a Pisa nello scorso ottobre ha messo a fuoco quello che è un banco di prova per la testimonianza dei cattolici in politica. Non è certamente facile vivere questo servizio in un tempo frammentato come il nostro, dove l’attenzione al particolare spesso fa perdere l’attenzione al quadro di riferimento irrinunciabile. oniolo, in un tempo non meno facile del nostro, ha saputo portare proposte inedite per quel tempo e sempre nel rispetto della propria professione di fede. Spero che possiamo presto avere la gioia di celebrare la sua beatificazione».Continuiamo nel solco dei laici… da vicario generale ebbe la soddisfazione di vedere oltre quattrocento laici impegnati nelle Missioni in vista dell’Anno giubilare. Che cosa è rimasto di quel movimento di popolo? Sarebbe riproponibile in altre occasioni?  «Certamente è rimasta nella vita di chi ha vissuto quel momento di grazia la ricchezza di una esperienza indimenticabile; ma al di là dell’occasione specifica della Missione, rimane il dato di fatto che non è possibile pensare ad una vero lavoro di evangelizzazione prescindendo dall’opera e dall’apporto specifico dei laici. Oltre tutto occorre ribadire con forza che l’annuncio di Gesù e del suo Vangelo è compito e diritto irrinunciabile di ogni cristiano».In occasione della Festagiovani diocesana, ha inviato ai giovani della diocesi una lettera con cui ha promesso di spendere le sue migliori energie per volare alto con loro nella vita di fede e nella testimonianza del Vangelo… immagina una Chiesa giovane, capace di ripartire dai giovani?«La Chiesa, grazie a Dio, è sempre giovane perchè sempre rinnovata dalla freschezza della grazia e sempre capace di parlare al cuore di tutti e in modo particolare dei giovani, proprio perchè il suo messaggio è Gesù. E Gesù è perennemente giovane. Si tratta allora di centrare sempre su Gesù tutto ciò che facciamo e diciamo. Meglio, si tratta di far parlare Gesù, attraverso la nostra voce. E Gesù chiede di tendere in alto. Ci invita infatti alla santità. E la santità è sempre il massimo che attira e affascina chi ha il cuore giovane».Il nodo delle vocazioni: oggi il «Santa Caterina» è abitato da undici seminaristi. Rappresentano la speranza per il futuro, ma sono comunque pochi rispetto ad un clero sempre più anziano… come immagina possa essere rilanciata la pastorale vocazionale?«La pastorale vocazionale passa necessariamente attraverso la preghiera e seri percorsi educativi. Ciò chiede da una parte che ogni parrocchia e comunità dedichi tempo e spazio prolungato alla preghiera per le vocazioni, ad esempio con l’adorazione eucaristica settimanale per le vocazioni e che si attivino veri percorsi educativi all’ascolto di Dio specialmente attraverso una rinnovata proposta di “direzione spirituale“ offerta ai giovani».Pisa, città da 90mila abitanti, è sede di tre università, è frequentata da 50mila studenti universitari e 3000 docenti. Quale ruolo può esercitare la Chiesa locale nella cultura?«La Chiesa pisana, già da anni sta svolgendo una preziosa opera di presenza nel mondo universitario attraverso il servizio della Parrocchia universitaria di San Frediano che ben conosco e che ha avuto il suo input iniziale nella ristrutturazione dei suoi locali grazie al lascito di Mons. Matteucci. Si tratta di continuare in questo cammino e di renderlo sempre più efficace, cercando di rispondere ai bisogni che sempre di nuovo si affacciano nella complessa cultura del nostro tempo».Ha già un programma pastorale? Dei punti di arrivo? «Il mio programma è quello di mettermi in ascolto di tutto e di tutti e di iniziare un cammino condiviso di riflessione e di scelte pastorali. Non ho obiettivi predefiniti se non quello necessario e indispensabile di annunciare Gesù e il suo Vangelo. La mia richiesta è quella di essere aiutato da tutti a rispondere al compito che mi è stato affidato. A tutti chiedo soprattutto un supplemento di preghiera».