Pisa

«PER VOI CONSACRO ME STESSO»

di Giovanni Paolo Benotto

«La pace sia con voi» è il saluto con il quale il vescovo apre le celebrazioni liturgiche. E’ il saluto di Cristo Risorto nelle sue apparizioni pasquali che questa sera faccio mio all’inizio del mio ministero episcopale nella Santa Chiesa pisana.Pace a te carissimo arcivescovo Alessandro che consegni dal tuo cuore al mio cuore questa Chiesa che hai amato con totale dedizione; pace a voi carissimi fratelli nell’episcopato che portate la gioia e il peso delle Chiese che il Signore vi ha affidato. Pace a voi, carissimi fratelli sacerdoti, che in mezzo al popolo di Dio impersonate Cristo buon Pastore. Pace a voi, religiosi e religiose, che mostrate a tutti il segno della Pasqua eterna con la vostra fedeltà a Cristo povero, obbediente e casto. Pace a voi, diaconi che avete accolto il dono del servizio e che come Cristo vi impegnate a lavare i piedi ai fratelli. Pace a voi tutti, fratelli e sorelle della Chiesa pisana e della Chiesa tiburtina qui presenti, che siete il popolo che Gesù ha redento con il suo sangue, facendo di tutti un regno e sacerdoti per il suo Dio e Padre.Pace a quanti, rivestiti di autorità nella vita civile, avete accolto l’invito che la Chiesa pisana vi ha rivolto a partecipare a questa celebrazione. Pace a tutti, nel nome di Cristo Risorto; e pace a quanti, pur non presenti in questa nostra splendida Primaziale, hanno il cuore aperto e disponibile al bene e alla verità e cercano con tutte le loro forze di operare per costruire un futuro di giustizia e di vera fraternità.Pace anche a quanti si mostrano indifferenti o addirittura ostili alle parole del Vangelo che risuonano sulle labbra della Chiesa: il Signore doni a tutti la pienezza della sua luce e possano comprendere e accogliere la preziosa offerta d’amore che sgorga dalle piaghe gloriose del Cristo risorto.Ed è proprio a Cristo risorto che vogliamo volgere lo sguardo della nostra fede nell’ascolto della Parola del Vangelo che è stato poco fa proclamato. Un Cristo che ai due pellegrini sfiduciati e delusi incamminati verso Emmaus non si impone con potenza o splendore abbagliante, ma che nel paziente itinerario di una comprensione interiore dei fatti salvifici che erano accaduti in quei giorni a Gerusalemme, apre il cuore e la mente alle Scritture e ci mostra in che modo anche per noi è possibile entrare nel mistero della nostra stessa vita segnata dalla grazia che sgorga dalla Pasqua del Signore Gesù.Davvero nel testo dell’evangelista Luca possiamo trovare come il paradigma del cammino personale ed ecclesiale che il Signore ci invita a fare nella continuità di un percorso di fede che non è mai ripetitivo o scontato, ma che sempre si apre alla bellezza della grazia che fa nuove tutte le cose nella fedeltà indiscussa all’unico messaggio di salvezza che il Cristo ha affidato alla sua Chiesa.Il cammino della Chiesa, lo sappiamo, è sempre ed essenzialmente, un cammino di fede nella sequela di Cristo crocifisso e risorto, in cui il vescovo, l’apostolo, è il testimone per eccellenza, la guida, il maestro, il pastore, lo sposo della Chiesa che il Signore gli ha affidato; nel tempo stesso in cui egli, il vescovo, è chiamato a riflettere nella sua persona e sul suo volto il volto di Colui che è Primizia di coloro che risuscitano dai morti, il Testimone fedele (Ap 1,5), l’unico Maestro di cui tutti siamo discepoli (Mt 23,8), il Pastore buono e bello (Gv 10,11), lo Sposo che ha dato se stesso per la sua Sposa, per farla comparire davanti a sé tutta santa e immacolata (Ef 5,27).E come il Risorto, sulla strada di Emmaus, il vescovo è chiamato a farsi compagno di strada di ogni uomo e di ogni donna, attento all’ascolto dei richiami che provengono dal profondo del cuore di ciascuno e sempre pronto a ripercorrere con il suo popolo il cammino della salvezza, spiegando nelle Scritture quanto si riferisce al Cristo.La parola che il vescovo annuncia non è sua: è la parola di Cristo; è il Vangelo della salvezza. Una parola viva ed efficace, che penetra tanto più nel profondo del cuore di chi ascolta quanto più è proclamata nella sua integrità, anche quando essa è scomoda e contro corrente perché segno di una verità che spesso è ignorata o contestata dai tanti egoismi che affollano la vita degli uomini del nostro tempo.Il mio desiderio e la mia volontà è di essere a servizio di questa Parola, con dedizione totale e perseverante, perché questa Parola sia vera gioia per tutti. Sono sicuro che la fedeltà alla Parola di Dio susciterà quello stesso ardore ulteriore di cui fecero esperienza i due discepoli di Emmaus, quando ripensando all’incontro straordinario che avevano fatto esclamano: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture? “.La pedagogia di Gesù non può che essere la pedagogia stessa della Chiesa. Gesù prima di spiegare le Scritture si pone in ascolto di Cleopa e del suo compagno di viaggio. Li interroga e li ascolta; si interessa alla loro vicenda; ne accoglie la tristezza e la disillusione; e proprio in questo modo li aiuta ad aprirsi, a raccontare la loro sofferenza e permette loro di rileggere la propria storia che sembrava essere giunta al capolinea di un vicolo cieco e che invece, impensatamente, si apre ad una prospettiva nuova proprio nella linea della fede in quelle Scritture che nel loro cuore erano state oscurate da una lettura semplicemente umana degli avvenimenti pasquali.“Ascolta, Israele”, recita l’antica formula di fede del popolo ebraico! E’ nell’ascolto di Dio che parla nella Scrittura e negli avvenimenti della vita e della storia illuminati dalla fede che è possibile comprendere i tanti appelli che si alzano verso la Chiesa e che a volte sono tanto più forti quanto meno riescono ad esprimersi. Appelli che qualche volta assumono il tono della recriminazione e dell’accusa; che a volte si fasciano di silenzio o diventano preghiera accorata, ma che sempre dicono quello che c’è di grande e di misero nel cuore di ogni uomo a cui il Signore, proprio attraverso di noi, sua Chiesa, vuoi dare risposta.E nell’ascolto, fiorisce la risposta. Infatti nell’ascolto di Dio e di ogni uomo si riesce a percepire quella risposta vera ed essenziale che già è stata data una volta per tutte e che è il Signore Gesù, risposta di Dio all’uomo, ad ogni uomo; risposta che il Padre ha affidato alla sua Chiesa, perché innanzi tutto la viviamo noi discepoli del Vangelo, per essere così in grado di annunciarla pienamente e fedelmente ad ogni fratello.Da qui l’impegno ad annunciare Gesù e il suo lieto messaggio che deve rinverdire il nostro entusiasmo e la voglia di comunicare a tutti, senza paura e senza timore, la parola della gioia, la parola lieta che Dio ci ama e che in Cristo vuole raggiungere con il suo amore ogni creatura.Sarà però possibile annunciare l’amore solo a condizione di essere noi stessi testimoni dell’amore, vivendolo in famiglia, all’interno delle comunità cristiane, nei rapporti interpersonali e sociali: ovunque siamo chiamati a vivere e ad operare.Un amore che si sostanzia di accoglienza rivolta a tutti senza esclusione di nessuno; di condivisione serena, di ricerca di ciò che unisce, di impegno a lavorare insieme; di valorizzazione di quanto di bello e di buono è patrimonio di ciascuno; di sforzo e di fatica a superare barriere e ostacoli che limitano la capacità di camminare insieme verso mete comuni. Tutto questo se è impegno di ogni uomo di buona volontà, qualunque sia il suo credo, la sua cultura e la sua condizione sociale, per un cristiano è impegno ancora più pressante, perché il credente è chiamato a guardare tutto e tutti con gli occhi della fede, cioè con gli occhi stessi di Cristo Gesù.Infatti siamo chiamati a guardare con gli occhi di Gesù gli avvenimenti della storia, i fenomeni sociali, gli accadimenti culturali, i problemi che attanagliano tante persone, le povertà e le sofferenze che segnano la vita quotidiana di troppi poveri; ciò consentirà alla nostra Chiesa e a ciascuno personalmente di aprire il proprio cuore e di mettersi in gioco perché nessuno debba sentirsi abbandonato e possa sempre trovare persone e comunità che come il buon Samaritano sanno chinarsi su di lui, riconoscendo nel bisognoso il volto stesso di Cristo e divenendo insieme capaci di essere per chi soffre un segno credibile della presenza di Gesù fratello universale di tutti.Se l’amore è la cifra dell’esperienza cristiana, sappiamo bene che è l’Eucaristia la sua sorgente inestinguibile nel tempo della Chiesa. Ed è proprio all’Eucaristia che ci rimanda chiaramente il testo di Luca che abbiamo ascoltato. “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”.Davvero è la mensa eucaristica il centro, la fonte e il culmine della vita della Chiesa. E’ infatti all’altare che converge non solo la vita di ogni credente e di ogni comunità cristiana, ma di qualsiasi uomo e donna e dell’intera società. Niente e nessuno infatti è estraneo all’opera redentrice di Cristo, come niente e nessuno è marginale o estraneo rispetto al mistero di salvezza che sempre di nuovo viene offerto sull’altare. Se ogni Eucaristia è sempre unica e irrepetibile e nell’offerta di Cristo al Padre tutto il mondo e la storia sono accolti nel mistero che si celebra e vengono quindi irrorati dal fiume di grazia che sgorga dal Cristo crocifisso e risorto, è dunque nell’Eucaristia che l’azione apostolica della Chiesa trova la sua forza e la sua efficacia.E’ quindi all’altare che deve orientarsi ogni iniziativa ecclesiale, così come è dall’altare che riceve efficacia ogni azione di apostolato. Perché è proprio all’altare, dove ci viene donato nel sacramento eucaristico il Corpo di Cristo, che si costruisce e si manifesta in tutta la sua pienezza il corpo sociale di Cristo che è la Chiesa.Ogni volta che qui, a questo altare, ripeterò insieme a voi, carissimi sacerdoti, e insieme a tutto il popolo di Dio, quanto fu compiuto da Gesù nell’ultima Cena e riverberato dal misterioso Pellegrino nella locanda di Emmaus, non potremo non sentirci anche noi coinvolti nello stesso movimento di offerta compiuto da Gesù, imparando e insegnandoci reciprocamente a donare noi stessi e a fare della nostra esistenza una offerta viva gradita a Dio.Proprio perché grande liturgo del popolo cristiano, il vescovo non solo ha il compito di guidare e di regolare la preghiera liturgica della sua Chiesa, ma prima ancora è chiamato ad essere esemplare nell’offerta di se stesso, in unione all’offerta di Cristo, unico sommo ed eterno Sacerdote della nuova Alleanza. E quanto più questo atteggiamento di offerta riuscirà a coinvolgere ogni membro del popolo di Dio, tanto più la vita della nostra Chiesa crescerà in intensità ed in efficacia; in santità e in vigore apostolico; in vitalità missionaria e in capacità di animare come sale della terra e luce del mondo le realtà temporali così bisognose di riferimenti e di valori autentici. Liturgia e vita di ogni giorno, infatti, si rimandano necessariamente l’una all’altra; l’una chiama l’altra e l’una si compie nell’altra, così che niente può dirsi estraneo al mistero della nostra fede, così come la nostra fede trova il suo necessario spazio espressivo nella vita di ogni giorno.Ritengo che questo sia un compito indispensabile per la Chiesa di oggi: far sì che quello che celebriamo – che poi è sempre e soltanto Cristo Signore – non rimanga relegato nelle nostre assemblee liturgiche, ma entri e con sempre maggiore vivacità e capacità di fermentazione nella vita di ogni giorno delle singole persone, delle famiglie e dell’intera società. E non per imporre la fede a chi la rifiuta, ma per offrire a tutti, nessuno escluso, le meravigliose ricchezze del Vangelo e prima ancora quello straordinario patrimonio di umanità e di cultura di cui la comunità ecclesiale è depositaria e custode, e che in realtà è patrimonio di tutti e base indispensabile, senza la quale la stessa società degli uomini non può edificare se stessa nell’autentico bene comune.Non vogliamo imporre niente a nessuno, ma come gli apostoli davanti al Sinedrio anche noi ripetiamo con forza: non possiamo tacere e non possiamo tenere soltanto per noi il tesoro prezioso che ci è stato affidato.I due discepoli di Emmaus, dopo che i loro occhi si aprono a riconoscere nel misterioso viandante il Signore Gesù, senza indugio ritornano a Gerusalemme e agli Undici che proclamavano la risurrezione del Cristo, narrarono “ciò che era accaduto lungo la via e come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane”.Dall’esperienza del mistero eucaristico scaturisce sempre la forza e l’impegno per la missione evangelizzatrice della Chiesa. Quanto più viva e autentica è la nostra partecipazione soprannaturale alla mensa della Parola e del Pane di vita, tanto più esplosiva diventa la nostra capacità di annuncio. Ed oggi, c’è davvero bisogno di riscoprire l’urgenza di questo annuncio e la gioia che ne nasce sia per chi proclama la Parola che salva, sia per chi la accoglie con l’ascolto del cuore e della vita.Infatti se c’è una povertà estrema di valori eterni nella vita e nel cuore di tanta gente, c’è insieme una meravigliosa disponibilità all’ascolto e all’accoglienza di ciò che può dare vero senso e significato al vivere di ogni giorno. C’è dunque bisogno di annuncio e di annunciatori che si pongano al servizio del Vangelo con il coraggio di chi sa che donare la vita al Signore, non è mai un perdere tutto, bensì è acquistare il Tutto, il Bene sommo, la pienezza della vita.Per questo annuncio il Signore ci offre e ci chiede una rinnovata “franchezza apostolica”, il coraggio di esporci anche a costo di non essere compresi e per questo stesso emarginati dalla cultura corrente. Non è annacquando il messaggio che lo si rende più accettabile; bensì è facendo capire che è per amore e soltanto per amore dell’uomo e di ogni uomo che ci si mette a servizio dell’annuncio evangelico, che anche il messaggio riesce ad acquisire nella nostra voce e nella nostra vita quelle vibrazioni interiori che si trasmettono da cuore a cuore, da esperienza ad esperienza, da fratello a fratello e che costruiscono” quella partecipazione interiore per cui i tanti diventano una cosa sola; le diversità si compongono nell’unità; le differenze non costituiscono ostacolo reciproco, bensì ricchezza che dall’uno passa all’altro e che fa tutti più attenti e rispettosi delle particolarità di ciascuno che appaiono così come tessere di un unico mosaico in cui il disegno non è solo progetto umano, bensì manifestazione dell’unico disegno divino di salvezza.E quando l’annuncio attinge in profondità al cuore stesso del mistero di Cristo, diventa pure annuncio di novità per rutto ciò che riguarda il vivere quotidiano dell’uomo. Se è vero, come è vero, che è Cristo che svela l’uomo all’uomo, quanto più la nostra Chiesa attingerà in tutte le sue componenti alla sorgente che costantemente la costruisce e la identifica, tanto più sarà in grado di dialogare e di interagire con ogni realtà civile e sociale, con il mondo della cultura e del lavoro e con tutti quegli ambiti di vita che non di rado o sono ai margini delle attenzioni ecclesiali o se ne stanno volutamente alla larga dalla Chiesa.Nella preghiera sacerdotale dell’ultima Cena Gesù ha pregato dicendo: “Come tu, Padre, mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv 17,18-19). La missione nel mondo del Figlio di Dio fatto uomo continua dunque nella missione degli apostoli che si estende nel tempo e nella storia attraverso la missione dei vescovi. Dopo l’arcivescovo Ugo da cui ricevetti la Cresima, l’arcivescovo Benvenuto da cui fui ordinato presbitero e l’arcivescovo Alessandro dal quale sono stato consacrato vescovo, l’unica missione del Signore Gesù nella Chiesa che è in Pisa, passa oggi nelle mie mani. Per questa missione io “consacro” me stesso; offro tutta la mia vita, le mie povere capacità, mettendo a disposizione di questa Chiesa, cioè di tutti voi, tutto quello che sono e tutto quello che ho. Sono pienamente consapevole che molte sono le difficoltà che dovremo affrontare; ma sono sereno e fiducioso perché “come un bambino in braccio a sua madre” così mi abbandono alle braccia e alla bontà del Signore.Per tutti voi, come Gesù, “consacro me stesso”, dono e offro me stesso, immergendomi nella donazione d’amore di Cristo al Padre per tutti noi. Nello stesso tempo confido anche in voi, nella vostra disponibilità di fede, nella vostra amicizia e nella vostra preghiera. Insieme a tutti voi, tutti quanti una cosa sola in Cristo – omnes in Christo unum – nell’abbraccio caldo e generoso della nostra Chiesa pisana, invoco su di me e su voi tutti la materna intercessione della Vergine Maria Madre delle Grazie, Madonna di sotto gli Organi e la protezione del nostro Patrono San Ranieri. “E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo” (Col 3,15).Sono sicuro che pur nelle necessarie fatiche del cammino che oggi comincia non mancherà la gioia e la pace che viene dal Risorto: è Gesù che ci garantisce di questo ed è questo il dono che gli chiedo e gli chiediamo con tutta la fede di cui sono e di cui siamo capaci. Amen.