di Graziella TetaTra i primi ospiti, in quel 17 gennaio del 1923, c’erano Maria, una vecchia cieca, una bambina e il portiere Lorenzo. Era il giorno dell’apertura ufficiale della «Piccola Casa della Divina Provvidenza» di Pisa, presenti l’allora cardinale Pietro Maffi (che rimase direttore del Cottolengo pisano fino alla sua scomparsa nel 1931), Ribero, padre generale della casa madre del Cottolengo di Torino, e le suore di via Santa Maria. Lo stesso giorno di gennaio di 95 anni prima, Giuseppe Benedetto Cottolengo, il sacerdote piemontese che Pio XI proclamerà santo nel 1934, aveva aperto i battenti la prima casa di accoglienza a Torino: poche stanze in affitto per ospitare malati e bisognosi in stato di abbandono.A 180 anni dall’avvio di quell’opera, il Cottolengo è una realtà viva, presente in gran parte d’Italia ed anche all’estero (in Africa, Asia, Nord e Sud America), ben rappresentata dalle famiglie religiose (sia di vita contemplativa che apostolica) e dei fratelli di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, popolarmente conosciuti come «cottolenghine» e «cottolenghini».Nella nostra diocesi, oltre alla Piccola Casa di via Mazzini 61 a Pisa, che affonda le sue radici nella generosità dei conti Ludovico Rosselmini Gualandi ed Augusta Raimondi, vi è un’altra Casa a Fornacette, sulla Toscoromagnola, e la scuola materna di Vecchiano, gestite dalle Cottolenghine, mentre a Tirrenia c’è il soggiorno climatico, per gli ospiti disabili delle case del Cottolengo, aperto dal 30 maggio fino a tutto settembre. Tutte in festa le Piccole Case, la scorsa settimana, per la solennità di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, che ricorre il 30 aprile.Al Cottolengo di Pisa, mercoledì 30, solenne celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto; occasione, quella, anche per festeggiare il 60° anniversario di professione religiosa di suor Chiara Balestrini e suor Elisa Dall’Avanzi. L’arcivescovo ha ricordato il santo Cottolengo e il suo motto «La carità di Cristo ci spinge» cui s’ispira l’Opera, che non vuole essere una semplice realtà assistenziale, ma una comunità di fratelli e sorelle che vivono il Vangelo, spinta ad aiutare i bisognosi, con rispetto e dolcezza. La struttura ha una capienza di 58 posti letto; gli ospiti occupano la parte centrale: aree femminili e maschili, spazi comuni e giardino interno, dove si trova villa Rosselmini abitata dalle 22 suore.Il servizio, invece, è garantito oltre che dalle suore, molte delle quali sono «ospedaliere» con grande esperienza di assistenza infermieristica, anche da due fisioterapiste, 25 operatori qualificati, e, di notte, da operatori della cooperativa sociale «Insieme». Un nutrito gruppo di volontari, soprattutto studenti universitari, supporta le varie attività di assistenza e ricreative, di animazione, sostegno, ascolto e compagnia, e porta fuori gli ospiti per qualche passeggiata nei dintorni e gite a Viareggio o al lago di Massaciuccoli. E per i sacramenti c’è il cappellano don Domenico, un giovane studente dell’Angola, che celebra messa ogni giorno ed è assistente spirituale dell’Opera. Le attività del Cottolengo si legano con la Caritas, l’Unitalsi, i Cavalieri di Malta, ed altri.Gli ospiti hanno un’età che va dai 45 anni in sù. L’ultima arrivata ne ha ben 95: ha vissuto 15 anni in una struttura privata; diventata non più autosufficiente, l’hanno mandata via. «Quando la famiglia, disperata, si è rivolta a noi – dice la madre superiora suor Caterina Mameli- ho pensato: ecco, come ai tempi del Santo accogliamo le persone rifiutate. È una grazia per noi, come una doppia chiamata: al servizio dei bisognosi e del Signore». Fratel Pietro Genova mostra la carta dei servizi: attività riabilitative e di fisioterapia, palestra, e tanti laboratori… sensoriale, gesti e parole, teatro, musica, espressivo e di arte-terapia, maglieria e ricamo. Spiega che l’attenzione alla persona ed ai suoi bisogni è alta: ne è un esempio Massimo, un adulto con in testa i pensieri di un bimbo, rimasto orfano, accolto al Cottolengo ma che continua di giorno a frequentare la scuola dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi civili, «così – dice fratel Pietro – può continuare a stare insieme alle persone che conosce, e vivere la nuova condizione in modo meno traumatico». Licia confida che qui sta benissimo, e ringrazia il Signore di essere stata accolta nella Piccola Casa, «sennò chissà che fine avrei fatto»; Benita ricorda le belle gite a Viareggio e il pellegrinaggio a Lourdes con l’Unitalsi, ed è felice di aver potuto incontrare l’arcivescovo Benotto. Un’altra ospite è una donna-bambina sorridente che mostra un portachiavi colorato come fosse un gran tesoro.«La dote principale? Pazienza, tanta pazienza». È faticoso e difficile, possiamo solo immaginare, assistere queste persone che hanno bisogno di tutto. E per trovare un momento di pace, Suor Caterina e le sorelle, si ritrovano a pregare nella bella chiesa interna al Cottolengo, dando uno sguardo, come a trarne forza, al grande dipinto che sovrasta l’altare, opera di artisti pisani, che raffigura il Santo Cottolengo, le sorelle e i fratelli dell’Ordine, e i poveri, accolti, sfamati, curati, consolati. C’è da riflettere anche visitando la mensa per i poveri, gestita dal Cottolengo (una delle tre presenti in città), con ingresso in via Mazzini: giovani e vecchi, italiani e stranieri, ragazze e ragazzi sbandati passano dal centro di ascolto della Caritas, ritirano un buono, poi vengono qui per un pasto caldo (ne vengono serviti 30 ogni giorno, a pranzo, e sacchetti di cibo la sera). E qui al Cottolengo di Pisa si eleva un «Deo Gratias!» ogni fine giornata.Alla Divina Provvidenza certo si affida anche suor Pasqualina Faedda, che da quasi cinque anni dirige la Piccola Casa a Fornacette, sorta in un immobile donato dalla famiglia Orsini – Baroni. Spiega: «La nostra struttura è nata negli anni Cinquanta per accogliere anziane autosufficienti; il nucleo Santa Gemma con 20 posti letto, ospita nonnine di 80/90 anni del territorio ed è affiancato dal reparto per suore anziane, dove si trovano 18 posti letto. A Fornacette operano 11 suore e 18 dipendenti, per servizio e assistenza, e per tutte le attività di fisioterapia, riabilitativa, ma anche ricreative, passeggiate, assistenza religiosa». La struttura è ben organizzata e attrezzata con ogni ausilio (solleva-malati, barelle per docce, carrozzine, girelli), fisioterapista e operatori specializzati. L’unico cruccio «è che nel frattempo, negli anni, le autosufficienti sono diventate non autosufficienti: ed ora cosa dovremmo fare? Mandarle via?». In attesa che i nodi burocratici si sciolgano, hanno avuto il conforto di vivere con gioia il triduo con messa solenne, celebrata da don Mario Bernardini, che ha ricordato il bellissimo inno di San Giuseppe Cottolengo. Racconta la superiora: «Grande partecipazione di tutte le ospiti, i dipendenti, i volontari, ed anche i concittadini: un’occasione di incontro fraterno». Alle anziane ospiti brillavano gli occhi: si mettevano in posa per la foto, «devo mandarla a mia sorella in Argentina», ha detto una. «Diamo loro attenzione e ascolto, e tutta l’assistenza possibile. Don Mario offre un gran sostegno, per gli esercizi alle religiose, la catechesi nei momenti forti dell’anno (Avvento, Pasqua, Pentecoste ), le celebrazioni». Il sussidio della catechesi 2007-2008 s’intitola «La fragilità redenta»: un titolo che qui ha un significato particolarmente vissuto.