Pisa

CHI AMA EDUCA

di Andrea Bernardini

Educare è una vocazione. Ne è convinto il professor Ernesto Diaco, vice responsabile del Servizio nazionale per il progetto culturale della Conferenza episcopale italiana. Sarà lui ad aprire, giovedì 15 ottobre, «Chi ama educa», la nuova scuola di formazione per animatori e catechisti, promossa dall’Azione cattolica, dal Centro pastorale per l’evangelizzazione e la catechesi e dalla Scuola di formazione teologica diocesana.Professor Diaco: i primi a rinunciare ad educare sono, in molti casi, gli stessi genitori. Perché l’educazione chiede tempo (e questo spesso manca), valori da trasmettere (già, ma quali?), obiettivi chiari (dar le «ali» ai propri figli, non considerarli «proprietà privata»)…«Aggiungerei: passione, autorevolezza e libertà interiore. Educare è sempre stato difficile, ma è vero che oggi la sfida è resa più complessa da nuovi fattori: la fine di una certa omogeneità culturale, l’invadenza dei mezzi di comunicazione, le opportunità offerte dalle nuove tecnologie… la vita è molto cambiata e quelli che fino a ieri sembravano riferimenti certi, oggi sono messi in discussione. In una vita liquida, per usare una celebre espressione del sociologo polacco Bauman, si rischia di perdere il senso dei legami tra le persone, ma sono questi che costituiscono la nostra identità e la nostra libertà».I ragazzi: sempre più confusi e off-limits. Basta parlare con qualsiasi maestra o animatore di oratorio per sentirsi ripetere che l’ultima annata è di gran lunga la peggiore di tutte quelle mai viste negli ultimi dieci anni… «Forse lo stesso si potrebbe dire dei loro genitori… La crisi educativa attuale ci chiede di “lavorare” di più sugli adulti, su noi stessi. In ogni caso, chi accetta la sfida dell’educazione, nonostante la fatica che essa comporta, mostra in concreto cos’è la speranza e lavora per il bene comune. Tutti abbiamo, in modo diverso, responsabilità formative, ma educare è una vocazione, che va alimentata e promossa. E, come tutte le vocazioni, in fin dei conti è una questione di amore».Un’ora in chiesa di fronte al crocifisso per ascoltare dal prete o dal catechista che Gesù ci chiede di «amarci gli uni gli altri come lui ha amato noi». E dieci sul campo di calcio, con l’allenatore che tra un moccolo e l’altro, ti inculca che, se l’avversario è lanciato verso la porta, meglio dargli alle gambe. Se gli educatori non parlano la stessa lingua, che uomo ne uscirà fuori?«Probabilmente una persona interiormente divisa, che fatica a costruire la sua vita attorno a un centro unificante. Il bombardamento di messaggi diversi, e non raramente contradditori, cui siamo sottoposti fin da piccolissimi chiede che si curi in modo particolare l’educazione del desiderio, della razionalità e del senso critico. Spesso si finisce col considerare tutte le esperienze e le idee equivalenti perché non si è mai stati abituati a scegliere, ossia a rinunciare a qualcosa per un un’alternativa che vale di più».Genitori in affanno, animatori delusi, insegnanti che si ritengono sottovalutati. Ci si mette persino la tv : le belle «favole» con cui sono cresciute le penultime generazioni, oggi sono state sostituite dai Simpson o da South Park…«Nell’educazione, e in ogni forma di apprendimento, gli esempi costituiscono una parte fondamentale. Senza modelli credibili non si cresce. Gli stessi valori fondamentali possono essere appresi solo se li si vede incarnati in qualcuno. La forza dei media, da questo punto di vista, sta proprio nell’offrire figure e comportamenti in cui identificarsi. Occorre ricordare, però, che ciò che passa sui nostri schermi spesso è una deformazione della realtà, o comunque una rappresentazione parziale».Insomma, il sistema è in cortocircuito: il papa da tempo parla di emergenza educativa, mentre il cardinal Ruini ha presentato di recente il rapporto Cei sulla «sfida educativa». Dovesse sintetizzarne il contenuto in poche battute?«Si tratta di un rapporto-proposta, ossia un’analisi dello stato attuale dell’educazione nel nostro Paese, redatta da esperti nei diversi settori e accompagnata da alcuni obiettivi e prospettive di azione. Non è rivolto solo ai cattolici, anzi nutre l’ambizione di parlare a tutti e suscitare dibattiti, nella convinzione che serva una “alleanza educativa” che veda protagoniste le famiglie, la scuola, la comunità cristiana, ma anche il mondo del lavoro e dell’impresa, i mezzi della comunicazione e coloro che operano nello spettacolo e nello sport. Un’altra idea chiave è che l’educazione è in crisi perché è in crisi la stessa concezione dell’uomo».Da dodici anni la Chiesa italiana ha un «progetto culturale»: forum, seminari, sostegni alla ricerca per accompagnare il discernimento dei cristiani nelle mille scelte di ogni giorno. L’obiettivo del «progetto» era quello di radicarsi nel territorio. Dica la verità: ci siete riusciti o i destinatari che ne hanno beneficiato sono stati, fino ad oggi, soprattutto gli accademici ed i teologi, e molto meno la gente comune?«Il progetto culturale è nato per alimentare una fede e una testimonianza “pensata”, per far crescere l’elaborazione culturale dei cattolici e la loro capacità di contribuire al dibattito pubblico. Sono obiettivi che riguardano tutti, nella comunità cristiana, e che in questi anni hanno trovato spazio e consapevolezza crescenti, anche se differenziati. Certo non è un compito esaurito: per questo il Convegno ecclesiale di Verona ha chiesto un maggiore radicamento locale del progetto culturale. Significa che le diocesi e le parrocchie hanno una grande potenzialità culturale di cui spesso però non si rendono conto o sottovalutano».