Pisa

COME VIVEVANO I CERTOSINI

di Francesca Benucci

Gli ultimi certosini se ne andarono da Calci nel 1969. Oggi la Certosa è sede di due musei: uno storico ed artistico detto appunto «della Certosa», ed un altro di storia naturale del territorio, dove si conservano le collezioni di reperti naturalistici rinvenuti da zoologi, paleontologi e mineralogi del nostro ateneo dal 1591 ad oggi.Alla Certosa la prima comunità di religiosi – costituita da due monaci ed un converso – era arrivata nel lontano 1368. Sei secoli di presenza – fatta eccezione per il periodo «napoleonico» – discreta, ma significativa.Ma come vivevano i certosini in Certosa? Anche se oggi non ci sono più, è comunque possibile «immaginare» la loro giornata. Ci aiuta in questo «viaggio» virtuale  Maria Teresa Lazzarini, della locale Soprintendenza ai beni ambientali, architettonici, artistici e storici.Premessa d’obbligo: «la Certosa – osserva Lazzarini – era il luogo in cui il monaco si isolava, in silenzio e solitudine, per giungere al più alto grado di perfezione personale; liberato da ogni preoccupazione e in totale distacco dalle cose temporali, viveva nella preghiera la spiritualità eremitica». Se i monaci pregavano, il lavoro necessario a mandare avanti la comunità era affidato ai conversi, laici accomunati ai monaci nei voti e nella professione.La struttura architettonica «riflette la divisione dei compiti e delle funzioni tra monaci e conversi; i primi vivevano nella casa alta , il cuore della Certosa, ossia nelle celle eremitiche che si affacciano sul grande chiostro; i secondi nella casa bassa, più vicina all’ingresso, che si affaccia, invece, su un cortile interno, da tutti i calcesani meglio conosciuto come il cortile d’onore; qui i conversi, tra l’altro, lavoravano nei granai, nelle cantine, nei magazzini, nei depositi, nel frantoio e nella lavanderia. Il loro lavoro era amministrato dal padre procuratore». Gli unici spazi comuni a monaci e conversi erano: la grande chiesa  e il chiostro del capitolo su cui si apriva la cappella del capitolo ed il refettorio. Un alto muro, infine, separava monaci e conversi dal resto del mondo.Descritta la Certosa, è adesso più facile comprendere come si svolgeva la giornata dei monaci. Una giornata scandita dal suono di una campana, suonata dal padre sacrista e che richiamava i religiosi nella chiesa grande della Certosa: nel primo mattino per la Messa conventuale cantata, ai vespri (prima della cena) e per il mattutino ; quest’ultimo iniziava tra le ore 22.30 e le 23. Tra i vespri ed il mattutino, i monaci, riuniti nella veglia , pregavano recitando l’ufficio della Madonna. Erano, queste, le poche occasioni in cui i certosini facevano vita di comunità.La maggior parte delle ore i monaci le passavano in una cella, per pregare, studiare, lavorare e riposare.Alla cella si accedeva dal loggiato. Oggi essa si presenta come uno spazio fisico vuoto. E quando la abitavano i monaci?«Non era molto diversa da come la vede adesso. La cella era povera, senza addobbi o decorazioni».La prima stanza incontrata – dotata un tempo di caminetto – era per lo studio; nella seconda vi si trovavano il letto (di legno, con pagliericcio di foglie di granturco) e l’inginocchiatoio.Annessa ad ogni cella si trovavano la legnaia, la soffitta, un piccolo laboratorio ed un giardinetto interno chiuso da un recinto.«Il contatto quotidiano del monaco con il mondo esterno era filtrato da uno sportello, che si apriva per il passaggio del cibo».Ci faccia capire: i monaci restavano sempre in Certosa?«Non sempre. Una volta a settimana era permessa una passeggiata di tre ore e mezzo fuori dal recinto della Certosa».Non mangiavano mai insieme?«Sì. La domenica e i giorni festivi pranzavano insieme nel refettorio e insieme trascorrevano un’ora di ricreazione».E guardiamolo, allora, questo refettorio. Lo storiografo Claudio Casini, ha ricostruito, nel suo libretto «Cucina di magro e di festa» la dieta dei certosini: «leggendo» gli affreschi del refettorio e recuperando ricette e documenti settecenteschi. I certosini – emerge dalla pubblicazione – non consumavano la carne, ma solo il pesce ed i formaggi. E, forse inconsapevolmente, proprio per questo motivo, vivevano a lungo.Un’ultima occhiata prima di andar via…. osservando la maestosità della Certosa verrebbe da dire: «Si trattavano bene questi monaci!».«Attenzione – spiega la nostra – il lusso dei decori, lo sfarzo, la bellezza delle rifiniture, il pregio dei materiali utilizzati non erano per i monaci, ma “a gloria di Dio”: sì, la sontuosità dell’arte era una forma di preghiera per il Signore».Tutto quello che vi abbiamo raccontato non è comunemente descritto dalle guide ai visitatori della Certosa. Già da tempo monsignor Aldo Armani, prete calcesano e direttore dell’ufficio delle comunicazioni sociali, ha proposto che in uno spazio idoneo si ricostruisca visivamente la giornata del monaci certosini, a futura memoria, così come si è fatto alla Certosa di Serra San Bruno in Calabria. Vedremo se l’idea sarà raccolta.