Pisa

Mallegni per Toscana Oggi/Vita Nova

di Graziella Teta

Nell’urna che accoglie le spoglie di San Ranieri in Duomo c’è un tubo d’acciaio. E’ stato collocato dieci anni fa, esattamente il 7 giugno del 2000 in occasione della ricomposizione della salma del patrono di Pisa. Contiene il verbale della ricognizione dei suoi resti, avvenuta due mesi prima, l’8 marzo di quell’anno, firmato dal professor Francesco Mallegni. Se allo scienziato si chiede oggi che cosa l’analisi delle ossa ha rivelato di quell’uomo del XII secolo, lui risponde: “Una santità sofferta, come deve essere, perché la santità è da sempre puro eroismo”.Una risposta da credente, prima di tutto. In quest’intervista, lo studioso pisano originario di Camaiore, docente ordinario di Paleoantropologia al corso di Scienze Biologiche e di Antropologia in Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Pisa, rievoca l’emozione di quell’incontro con Ranieri e la sua trentennale esperienza. Nel suo laboratorio universitario ha studiato le ossa di migliaia di persone vissute secoli o millenni fa, ha ricostruito la storia di santi (da san Ranieri e Santa Bona da Pisa a Sant’Antonio da Padova) e papi (Gregorio VII), imperatori e cavalieri, artisti e popolani.Prof. Mallegni, per uno scienziato come lei, ha un significato particolare effettuare la ricognizione dei resti di un santo?«Sono prima di tutto un credente e, quindi, ho sì l’interesse per la scienza che mi permette di indagare almeno la vita biologica dei vari personaggi (in questo caso santi), ma soprattutto il privilegio di provare le emozioni nella “manipolazione” (è il caso di dirlo) di un corpo che si è dedicato interamente al Signore. Iniziai con Sant’Antonio, il santo per antonomasia, nel ben lontano 1980-81 che mi dette anche il privilegio di incontrare di persona il Papa Giovanni Paolo II (cosa sperare di meglio?)».Come ricorda gli eventi di dieci anni fa?«Mi recai in Duomo quella mattina per vedere il corpo di san Ranieri per poi sottoporlo ad analisi. C’erano l’arcivescovo Alessandro Plotti e molti prelati; alcuni di loro sono ormai purtroppo scomparsi, come il compianto mons. Waldo Dolfi, l’allora arciprete della Cattedrale, persona con molto acume. Mi ritrovai davanti alle spoglie mortali di Ranieri. Forte l’emozione iniziale, dovuta alla presenza dei resti santi, alle preghiere, ai fumi dell’incenso e anche al contesto splendido della basilica (mi chiedevo: perché proprio io, modestissimo uomo di origine campagnola e paesana?). Poi prese il sopravvento la scienza, che mi portò a considerare quel corpo come uno dei tantissimi corpi anonimi che avevo avuto modo di “leggere” durante la mia lunga carriera. La soddisfazione fu di intravedere sulle sue ossa tanti riscontri che le storie hanno tramandato sulla sua vita biologica: le ferite antiche sulla testa di un’iniziale vita spensierata e forse vissuta pericolosamente (non per nulla i genitori erano stati tanto angustiati, e non perché si limitava a suonare solo la chitarra, ma forse per stravizi un po’ esagerati, ma di solito propri dei giovani che cercano esperienze nuove); le fatiche di lunghi viaggi impresse sulle ossa esercitate alla sofferenza e alla penitenza; il suo vitto parco; il fatto che le sue dita mancanti erano servite per reliquie e non, come voleva il vulgo, tagliate durante una sua presunta ruberia di formaggio per dar da mangiare ai poveri (quasi un Robin Hood ante litteram)».E’ vero che dai denti si può risalire al maggior numero di informazioni?«Tutto lo scheletro fornisce informazioni sulla vita biologica di un essere umano; i denti possono permettere osservazione sulla salute, sull’igiene orale, sulle sofferenze infantili, sul tipo di alimenti consumati. I denti di Ranieri, nella maggior parte erano stati tolti per far reliquie. Per saperne di più sul tipo di nutrimento, forse sono più indicative le ricerche degli elementi in traccia sulle ossa tramite lo spettrofotometro ad assorbimento atomico o lo spettrometro di massa. Questi strumenti permettono di intravedere i comportamenti alimentari degli ultimi 5 anni e degli ultimi 5 mesi di vita: Ranieri, dopo una vita di stenti in Palestina e in Terra Santa, negli ultimi anni passati a Pisa fu ben rifocillato dai pisani».Lo studio dei denti ha rivelato anche a quale età è morto il santo?«L’età alla morte si intuisce meglio sul tipo di ossificazione delle faccette pubiche; infatti l’età della sua morte – tra i 40 e i 45 anni – l’ho ricavata da lì durante la ricognizione. I denti invece possono essere consunti da un tipo di dieta povera e con cibi “tenaci” e, quindi, possono fornire informazioni non corrette».Lei fa risalire la ferita sulla fronte ad una età giovanile: è da escludere l’ipotesi di uno scontro riconducibile alla partecipazione di San Ranieri alla seconda Crociata?«La risoluzione della radiologica delle ferite sulla fronte parla di ferite guarite da più di venti anni; penso che le ebbe in gioventù prima della sua partenza in Terra Santa».Durante la ricognizione del 2000, la sua maschera del volto del santo ha sostituito quella precedente. Come l’ha realizzata?«Mio figlio Gabriele ha fatto la maschera; per la ricostruzione fisiognomica abbiamo utilizzato il cosiddetto “Protocollo di Manchester”, una metodologia affinata in due secoli di ricerche, quindi da molte generazioni di scienziati, ognuno dei quali dette il suo contributo. La nostra copia in argento fu cesellata dall’orafo Corbani di Cremona da un calco di creta che fece Gabriele. La nuova faccia, più vera, ha sostituito quella di metallo dorato del 1960 del prof. Alberto Bechini, disegnata ad effigie di Cristo».Come l’evoluzione tecnologica ha cambiato il suo lavoro?«E’ cambiato molto nel corso del tempo. Al momento dello studio di Ranieri mancavano, per esempio, le metodologie dell’ancient mit DNA poi utilizzate nella ricognizione dei corpi della Gherardesca (Ugolino e suoi figli e nipoti)».Nella sua lunga esperienza di antropologo, quale “mistero” non è riuscito a svelare?«Non sono riuscito a studiare Federico II, per ostilità di personaggi che non sopportano le materie scientifiche, pur avendomi chiamato ad esercitarle. Vorrei studiare Arrigo VII che si trova nel Duomo di Pisa, se sarà possibile, ed altri personaggi famosi, ma così famosi che non oso pronunciare il loro nome. Ma uno lo dico senza pudore: San Francesco d’Assisi. Però, mi contento anche così, ho avuto molto dalle mie ricerche; sono stato fortunato, forse perché ci ho creduto. Ed ora, largo ai giovani».A loro è consigliata la lettura di “Ranieri. Il santo dell’acqua”, godibile libretto in formato tascabile (Felici Editore, 2007): Francesco Mallegni descrive l’indagine biologica sui resti scheletrici di Ranieri, mentre la co-autrice Paola Pisani Paganelli offre “Il racconto di San Ranieri”. Un originale confronto fra leggenda e indagine scientifica, sullo sfondo della Pisa medievale, alla scoperta sia dell’amato patrono sia dell’uomo, scapestrato prima e convertito poi, la cui vita intreccia affinità con quella del Poverello d’Assisi.L’opera è una delle oltre 350 pubblicazioni, scientifiche e divulgative, che ha al suo attivo il prof. Mallegni, di recente nominato direttore scientifico del Museo di Archeologia e dell’Uomo “Carlo Alberto Blanc” di Viareggio. Conferenziere richiestissimo, per la sua capacità di coinvolgere il pubblico, è noto anche per la sua partecipazione a trasmissioni radiofoniche e televisive (è stato tra i primi scienziati a partecipare a Quark di Piero Angela).