È l’anno 50 dopo Cristo. La Chiesa cristiana muove i primi passi, accogliendo ormai non solo gli ebrei, ma, ad esempio, anche molti gentili di Antiochia, di Siria e della Cilicia, provenienti dal paganesimo e che, fino ad allora, non erano vincolati alla legge di Mosé. Un caso su tutti: i bambini ebrei erano circoncisi nei loro primi giorni di vita, quelli pagani no. A Gerusalemme si ritrovano le colonne della Chiesa cristiana. Gli apostoli Pietro, Giacomo il minore, Barnaba, ma anche il «convertito» Paolo di Tarso e gli anziani discutono sul primo problema dottrinale del cristianesimo nascente. Ovvero: il cristianesimo è solo una filiazione, un ramo del giudaismo? oppure è qualcosa di diverso, di nuovo, rispetto alla tradizione ebraica?. Di conseguenza, il cristianesimo è riservato a chi è divenuto un proselita del giudaismo? Oppure è possibile essere seguaci di Cristo senza osservare i rituali e le tradizioni della fede giudaica? In una parola: per essere cristiani bisogna prima essere ebrei, oppure possono diventare cristiani anche i non ebrei?.Domande aperte, cui occorre dar risposta. Anche perché, nel frattempo, alcuni farisei convertiti nella comunità di Gerusalemme si erano recati ad Antiochia, per fare opera di proselitismo tra i credenti perché si circoncidessero. Un «giogo» considerato iniquo da molti.Durante quello che può essere definito il primo «Concilio» della Chiesa cristiana, Pietro richiama tutto il collegio a rispettare la volontà di Dio, che si era manifestata in occasione della sua visita a Cornelio, dove lo Spirito Santo era disceso anche sui pagani non facendo «alcuna distinzione di persone».Ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia saranno posti pochi obblighi: «astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalla impudicizia». Ne parla l’evangelista Luca negli Atti degli Apostoli. Testo ripreso nell’omelia dall’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto che venerdì scorso ha presieduto una concelebrazione eucaristica all’altare della cattedra nella basilica romana di San Pietro. Ad ascoltarlo, 218 pellegrini, svegliatisi nel cuore della notte e partiti ben prima dell’alba da Barga, Pietrasanta e Pisa per raggiungere Roma, la «culla» del cattolicesimo e in particolare la basilica di San Pietro, la «cattedra» del papa. E salutare Giovanni Paolo II, che il suo successore Benedetto XVI ha proclamato beato lo scorso 1 maggio.Riconoscenti a Karol WoitylaUomini e donne, anche diverse coppie «riconoscenti» per la testimonianza dell’uomo e del papa Karol Wojtyla.Molti hanno avuto modo di ricordarlo nelle quattro o cinque ore di viaggio a bordo di confortevoli autobus messi a disposizione da autonoleggi Valdera, «Galileo» di Pontedera e da «Pennacchi» di Barga.Rileggendosi lo «storico» discorso pronunciato da Giovanni Paolo II sul ponte di Mezzo di Pisa il 22 settembre del 1989, che le operatrici dell’agenzia «Millennium» viaggi e pellegrinaggi, promotrice dell’iniziativa, avevano inserito nel voucher di viaggio.Arrivo al Gianicolo da dove i pellegrini si sono recati in piazza San Pietro, per passare la prova dei metal detector ed entrare nella basilica di San Pietro. «Pratica» risolta in tempi piuttosto rapidi e che ha permesso ai fedeli pisani di «ritagliarsi» un po’ di tempo per visitare con calma la chiesa e fermarsi di fronte alla tomba di Giovanni Paolo II, collocata nella cappella di San Sebastiano, a sinistra della Pietà vaticana realizzata da Michelangelo Buonarroti.E di fermarsi nell’area dell’altare della cattedra della basilica per prepararsi con calma alla celebrazione eucaristica.Non dimenticherà facilmente questo pellegrinaggio Enrico Battaglia, organista in servizio a San Prospero: a lui è toccato suonare il prestigioso organo che ha accompagnato i canti dei pellegrini durante la celebrazione.Né i sacerdoti che hanno concelebrato l’Eucarestia insieme all’Arcivescovo: il suo segretario don Marco Formica, il direttore dell’ufficio diocesano pellegrinaggi monsignor Danilo D’Angiolo, il proposto del Duomo di Barga monsignor Stefano Serafini, i parroci di Marciana e San Benedetto don Vivian Durrant e della parrocchia pisana di San Biagio don Antonio Pyznar, quest’ultimo particolarmente legato a Giovanni Paolo II per essere stato da lui ordinato sacerdote e per aver prestato servizio per un anno il Centro della documentazione del pontificato di Giovanni Paolo II.Qui in San Pietro, nel «cuore» della Chiesa cattolica, assume tutto un particolare significato, come ha ricordato nel breve saluto ad inizio celebrazione monsignor Danilo D’Angiolo.Vero, verissimo. Pare quasi di toccare con mano i destinatari delle intenzioni riportate nelle preghiere dei fedeli, lette da una suora e sei laici provenienti da ogni angolo della diocesi: la Chiesa sparsa su tutta la terra, il papa, i vescovi, i missionari, i catechisti, gli evangelizzatori. Ti volti un attimo dietro e ti accorgi delle decine di talari e di ferventi devoti che cercano di «ritagliarsi» uno spazio di preghiera personale tra migliaia di pellegrini che calpestano i 23mila metri quadrati della basilica. Bianchi, neri, gialli: lo «specchio» dell’universalità del messaggio di Cristo.Dice monsignor Giovanni Paolo Benotto: «Siamo qui in San Pietro, a due passi da dove si ritiene che si trovino le sue reliquie. Qui a Roma, dove Pietro ha testimoniato col sangue la fedeltà al Vangelo. Pietro, pietra miliare della Chiesa, come ha detto Gesù». Ecco perché tutto ha un significato diverso.Il primo concilio di GerusalemmeA Gerusalemme – ricorda l’Arcivescovo – si riuniscono gli apostoli ed i loro collaboratori per prendere decisioni per tutta la comunità dei credenti». Sarà quello di fatto, il primo atto di «magistero» della Chiesa. «In un’epoca in cui sulla verità prevalgono le opinioni, in cui si pensa di dover decidere a maggioranza dove stia il vero e dove il falso, dove il male e dove il bene, venire qui in San Pietro» ci fa cogliere con lucidità quanto tutti noi «abbiamo bisogno del magistero del Papa, magistero guidato dallo Spirito Santo e garanzia di verità». «Poter avere nel magistero punti di riferimento è un grande dono – ha aggiunto monsignor Giovanni Paolo Benotto – ed è anche garanzia della presenza del Signore», della sua scelta di «continuare a guidare il suo popolo». «Amatevi gli uni gli altri» Le letture del giorno – ed in particolare il capitolo 15 del Vangelo di Giovanni – hanno suggerito all’Arcivescovo anche un’altra riflessione. «In questo brano è riportato il discorso che Gesù fa ai suoi in occasione dell’ultima cena». Dunque: una sorta di testamento spirituale di Gesù. «In quella occasione Egli ci offre un comandamento: Amatevi gli uni gli altri. Ma anche un modello cui ispirarsi: come io ho fatto a voi».Gesù – è il ragionamento di monsignor Giovanni Paolo Benotto – donando l’amore del Padre, ci mette in condizione di rispondere al suo amore. L’occasione è preziosa per parlare anche di Giovanni Paolo II: «Venendo a Roma e venerando la tomba di Giovanni Paolo II, abbiamo la possibilità di incontrare un modello di persona che – da uomo, da prete, da vescovo e da papa – ha sperimentato l’amore di Dio per gli uomini». Sino a invitare tutto il mondo a fare la stessa esperienza aprendo, anzi «spalancando» le porte a Cristo.«Ci rivolgiamo, dunque, al beato Giovanni Paolo II perchè da lui e come lui possiamo acquisire la capacità di accogliere l’amore di Dio in Cristo Gesù e di testimoniarlo nella famiglia, nella Chiesa, nella società».