Pisa

La Vita Raynerii «rivive» in una edizione critica

di Andrea Bernardini

Tra le migliaia di reperti conservati al Metropolitan Museum di New York ce n’è uno di particolare interesse per la storia pisana: un’acquasantiera (scolpita tra il 1160 ed il 1165) dove san Ranieri, vestito con la pilurica, benedice il sacerdote Rolando, affetto da «gutta caduca» (epilessia). Dell’episodio parla il canonico Benincasa, nella Vita Raynerii, al capitolo LII: «Tunc consignauit eum signo sancto et saluificio crucis. Et dedit ei aquam benedictam bibere, et panem benedictum sumere».Quell’acquasantiera, probabilmente in uso nei pressi della primitiva sepoltura di san Ranieri, è stata scelta dall’agiografo pisano Gabriele Zaccagnini come l’immagine di copertina del suo ultimo lavoro: «La Vita di San Ranieri (secolo XII). Analisi storica, agiografica e filologica del testo di Benincasa. Edizione critica dal cod. C181 dell’Archivio Capitolare di Pisa» (euro 29, edizioni Ets). Si tratta dell’edizione critica dell’originaria biografia sul santo patrono di Pisa, arrivata ai nostri giorni grazie ad un manoscritto – catalogato come C181 – e gelosamente conservato nell’Archivio Capitolare, adesso incorporato nell’Archivio Diocesano.Un’opera «monumentale» (di oltre 500 pagine), dove il testo latino di Benincasa  viene presentato in edizione critica, con ampia introduzione e commento. Qui ogni episodio della Vita è attentamente analizzato nei suoi diversi aspetti (agiografico, storico, sociale e spirituale) e in gran parte anche tradotto in italiano. Completano l’opera tre repertori, dedicati rispettivamente alle parole rare presenti nel testo latino (molti termini non sono attestati in altre fonti), ai luoghi e ai personaggi: centinaia di voci, contenenti le informazioni indispensabili per poter comprendere il testo e collocarlo nel periodo storico in cui è stato elaborato, la Pisa del secolo XII.Un lavoro che si attendeva da tempo: il testo di Benincasa, infatti, non era ancora edito criticamente, ma solo trascritto – e nemmeno fedelmente, come confida a Toscana Oggi il professor Zaccagnini – dai Bollandisti, nel 1701. Solo la «redazione livornese» (così detta perché tramandata da un manoscritto attualmente custodito presso la Biblioteca dei Cappuccini di Livorno) era stata edita criticamente da Reginald Grégoire, nel 1990, ma si trattava di una redazione più breve, che lo Zaccagnini ha dimostrato essere una sintesi di quella originale, attestata dal C181. Per la prima volta, quindi, abbiamo la possibilità di leggere la Vita Raynerii nella sua forma originale.Il libro fa parte della «Piccola Biblioteca» del Gisem, Gruppo interuniversitario per la storia dell’Europa Mediterranea, fondato dalla professoressa Gabriella Rossetti dell’ateneo pisano nel 1983. Questo lavoro  completa, come scrive la stessa professoressa Rossetti nella prefazione, «la trilogia di pubblicazioni previste dal gruppo pisano in attuazione del progetto nazionale di ricerca del Miur su “Forme e caratteri della santità in Toscana nell’età dei comuni: agiografia iconografia, istituzioni (secoli XI-XV)”.Professor Zaccagnini: un laico che benedice un sacerdote ha un che di scandaloso…«Ho scelto questa immagine per la copertina perché è di eccezionale interesse: per quanto ne so è la prima raffigurazione di un laico nell’atto di benedire un sacerdote. Di per sé non ci sarebbe nulla di strano: dare una benedizione non è certo una prerogativa del clero, tutti possono farlo. Ma per la mentalità medievale era una cosa davvero insolita. C’è da dire, inoltre, che l’acquasantiera in cui è riprodotta questa scena è la più antica testimonianza conosciuta relativa a san Ranieri: risale infatti al periodo immediatamente successivo alla morte del santo (1160-1165) e riproduce due episodi della Vita, scritta da Benincasa  – che di questa acquasantiera, con ogni probabilità, fu l’ispiratore – proprio in quel periodo ma pervenutaci solo grazie al codice C181, posteriore di quasi due secoli».Ranieri non è né il primo, né l’ultimo santo laico vissuto nel Medioevo. La sua storia, però, è molto diversa da quella di tutti gli altri…«Ranieri è vissuto in un periodo in cui compare per la prima volta la figura del santo laico, dopo secoli e secoli in cui a essere santi erano solo vescovi, monaci, eremiti e… nobili (unica eccezione, ma qui il discorso è diverso). Dal tempo delle persecuzioni nessun laico era più stato venerato come santo. Ma nel secolo XII si comincia a guardare anche ai laici come modelli di santità: basti pensare a Gualfardo di Verona, Alluccio di Pescia, Teobaldo d’Alba, Raimondo Palmerio, fino a quel sant’Omobono che è stato il primo santo elevato agli onori degli altari con un processo di canonizzazione. Ma  quello di Ranieri è un caso a sé: è il primo santo oggetto di una grande opera agiografica, la Vita Raynerii di Benincasa  – un vero e proprio capolavoro della letteratura medievale  – proprio perché è il primo a mostrare una profonda consapevolezza della propria identità di laico e del proprio ruolo nella Chiesa del suo tempo».Di quale considerazione godeva tra i presbiteri ed il vescovo del tempo?«Della considerazione del vescovo Villano nei confronti di Ranieri non possiamo dire nulla: il presule compare, infatti, solo alle esequie del santo, quando ormai tutti lo ritenevano tale e lui stesso è protagonista di un episodio miracoloso finalizzato ad attestare questa realtà. I canonici della Primaziale furono i primi ad accoglierlo, al suo rientro a Pisa, invitandolo alla loro mensa. Fra loro c’era anche Benincasa, che, dopo aver sentito parlare Ranieri, non si staccò più da lui fino alla morte. Ma la Vita attesta anche che Ranieri incontrò l’opposizione di molti sacerdoti, invidiosi del suo successo presso il popolo come predicatore. Di uno, in particolare, Benincasa ricorda il nome: si trattava di un certo Guido, detto “Ciprinella” – un personaggio realmente esistito, attestato dalle fonti dell’epoca – che per un po’ fu un grande ammiratore di Ranieri (addirittura lo accompagnava sul pulpito e lo presentava ai fedeli prima delle sue predicazioni), ma poi cominciò ad accumulare rancore nei suoi confronti, arrivando perfino a denigrarlo. Altri lo accusavano di essere superbo («se glorificat», dicevano), altri ancora – continua Benincasa – provavano un vero e proprio livore nei suoi confronti.» Di Ranieri esiste anche una significativa produzione agiografica. Merito soprattutto del canonico Benincasa, suo contemporaneo. «Esiste, è vero, una significativa produzione agiografica, ma dipende tutta dall’opera di Benincasa. Sarebbe un grave errore continuare a prendere in considerazione – lo si è fatto fino a tempi recentissimi – come fonti di notizie storiche su Ranieri le tante Vite del santo scritte in epoca postridentina, a partire da quella del Razzi, che fu la prima a essere data alle stampe, nel 1593: si tratta, infatti, di testimonianze di seconda mano, utili e magari importanti per conoscere la realtà storica, culturale e spirituale del periodo in cui furono elaborate, ma non certo per conoscere san Ranieri. Spesso, per fare un solo esempio, sulla base di questi testi si continua a dare a Ranieri il cognome Scacceri, contribuendo così a diffondere una notizia priva di fondamento. Ricordo che Benincasa afferma che il padre si chiamava Glandulfo, la madre Mingarda e la sorella Bella. Altro non dice e altro non si può dire».Cosa si sa di Benincasa? «Come ho detto prima Benincasa era canonico della Cattedrale, ancora diacono al tempo di san Ranieri. Probabilmente è lo stesso Benincasa che nel 1167 usurpò il posto del legittimo arcivescovo di Pisa, con l’appoggio dei Consoli e del partito filoimperiale. Tre anni dopo però Benincasa scomparve dalla scena politica, mentre Villano tornò ad essere il solo vescovo legittimo. Forse il nostro si era pentito della sua scelta, avventata, certo, ma forse scaturita dal desiderio di contribuire alla riforma della Chiesa del suo tempo, e pensò bene di farsi da parte. Fu allora che riscrisse il finale della Vita Raynerii, facendovi comparire anche Villano, da lui definito venerabile».Nel Trecento, dunque un secolo e mezzo dopo la sua morte, Ranieri è ancora molto popolare: a lui sono dedicate anche alcune «laudi».«È vero, il culto di Ranieri è stato molto popolare almeno fino alla conquista fiorentina. Le laudi che ci sono pervenute – due, per la precisione – ne sono una testimonianza. In esse compare per la prima volta la storia dello sbarco a Gaeta e del miracolo dell’oste disonesto, che offrì a Ranieri vino annacquato, ma si tratta di una “invenzione” posteriore a Benincasa». Di poemetti dedicati a San Ranieri se ne scriveranno anche nei secoli successivi….«Certo, e anche molti, e di un certo pregio dal punto di vista letterario, ma totalmente privi di interesse per quanto riguarda la conoscenza di san Ranieri».Anche gli artisti hanno lavorato molto per rappresentare il santo patrono di Pisa. Due su tutti:  Antonio Veneziano ed Andrea di Bonaiuto che hanno dipinto quattro affreschi sulla vita di san Ranieri, da poco restaurati e ricollocati laddove erano sempre stati, sulle pareti del Camposanto monumentale.«Nel mio lavoro ho preso in considerazione anche queste testimonianze di carattere iconografico, perché di straordinaria importanza per la storia dell’arte medievale e del culto di san Ranieri. Anche per queste vale lo stesso discorso di prima: non aggiungono niente a quanto sappiamo su Ranieri grazie alla Vita di Benincasa, da cui si discostano solo laddove riferiscono notizie derivate dalla tradizione orale sviluppatasi in epoca successiva, quindi prive di valore storico».Per concludere un giudizio sull’opera di Benincasa. È storicamente attendibile?«Sì, è attendibile. Bisogna però precisare che non si tratta di una biografia, ma di una agiografia, un genere letterario che ha come obbiettivo primario la spiritualità dei santi, non la loro vicenda personale. Tuttavia è un dato di fatto che Benincasa conosceva bene Ranieri, era suo amico e confidente, quindi ben difficilmente ha scritto cose non rispondenti al vero. Però non ci ha detto tutto quello che avremmo voluto sapere su Ranieri, proprio perché lui non era uno storico, ma un agiografo. Ci ha detto poco o niente della famiglia, delle origini, della giovinezza e perfino della morte (anche se per quanto riguarda l’obitus si tratta probabilmente di un problema legato alla tradizione del testo). Ma questo ha poca importanza, perché quello che dice è più che sufficiente per conoscere san Ranieri e il mondo in cui è vissuto. A questo proposito mi pare opportuno ricordare che il testo di Benincasa non parla solo di san Ranieri ma è ricchissimo di notizie sulla società del suo tempo, in particolare nella grande raccolta di miracoli che segue la Vita vera e propria, dove i contemporanei del santo – tutte persone reali, molte delle quali attestate in altre fonti coeve – balzano in primo piano, con i loro problemi, le loro preoccupazioni, le loro abitudini, la loro realtà quotidiana, sullo sfondo della città di Pisa, con i suoi palazzi, le sue chiese, le sue vie descritte con grande realismo. Si tratta in gran parte (ma non solo) di populares, di solito trascurati dalle fonti ufficiali, che Benincasa coglie nella vita di tutti i giorni, al lavoro, in viaggio, addirittura nell’intimità delle loro case. È per questo che nella Vita Raynerii compaiono molti termini che non si trovano in altre fonti, proprio perché legati alla vita di tutti i giorni. Per aiutare il lettore,  ho ritenuto necessario predisporre una specie di “dizionario ragionato” di questi termini rari: basti pensare a parole come mastalo, opirus, pliccare, spannale, speldolum, sticcatellus e molti altri. Benincasa dimostra di conoscere bene anche le pratiche mediche del tempo (per esempio descrive con precisione le patologie, l’anatomia umana, la sintomatologia dei malati) e soprattutto si è rivelato un vero e proprio esperto di mare e di navigazione: conosce alla perfezione venti, rotte, porti, tipi di imbarcazione e tecniche di navigazione di cui parla con grande dettaglio e con un linguaggio altamente specializzato, che non è stato facile interpretare. Per questo ho dedicato molto spazio, nel libro, al libellus miraculorum: non si tratta della solita fonte seriale, ripetitiva, ma di un vero e proprio affresco del mondo in cui è vissuto san Ranieri. Con il mio lavoro credo e spero di aver messo in evidenza che Benincasa ha scritto un capolavoro, facendo emergere a tutto tondo la straordinaria figura di san Ranieri nel contesto in cui si è svolta la sua vicenda terrena. Mi auguro che i Pisani, dopo questo anno giubilare, abbiano finalmente capito la grandezza del loro patrono, una figura di eccezionale importanza nella storia della Chiesa e della spiritualità cristiana e, soprattutto, di sorprendente attualità».