La Chiesa pisana tende la mano agli alluvionati della Lunigiana. A loro saranno devolute le offerte raccolte durante le celebrazioni eucaristiche di domenica 13 novembre. Ecco il comunicato scritto dal nostro Arcivescovo.« È soprattutto nella difficoltà che si manifesta l’amicizia e la solidarietà, ed è nel bisogno che si accende lo spirito di condivisione che fa riconoscere in chi soffre il fratello da amare con l’aiuto concreto. Ancora una volta siamo sollecitati da eventi naturali che hanno sconvolto la vita delle popolazioni della Lunigiana, della Provincia della Spezia e di Genova a manifestare la forza e la vicinanza della nostra carità, nella consapevolezza che tutto ciò che facciamo al fratello in necessità lo facciamo a Cristo stesso.Non possiamo dimenticare l’incoraggiamento e l’aiuto che ci sono venuti in occasione dell’alluvione in Versilia che seminò lutti e distruzione e dell’esondazione del Serchio nel giorno di Natale del 2009 che sconvolse il territorio di Vecchiano e di Nodica; ora si tratta di offrire la nostra solidarietà alla gente della Lunigiana, dei borghi e delle vallate dello Spezino e della città di Genova.Per questo, in sintonia con quanto già avvenuto nelle diocesi della Liguria e con tutte le chiese della Toscana, Domenica 13 Novembre, le offerte che raccoglieremo nelle celebrazioni Eucaristiche, saranno devolute alle popolazioni colpite dalla alluvione del 25 ottobre scorso.Su quanti daranno testimonianza di carità fraterna invoco l’abbondanza delle benedizioni divine».L’ONDA DEL FIUME MAGRA SU AULLAdi Renato BruschiÈ iniziato con un triste bilancio l’autunno in Lunigiana: l’alluvione della settimana scorsa ha fatto due vittime, Claudio Pozzi di sessant’anni e Enrica Pavoletti di settantaquattro anni, provocando danni per oltre ottanta milioni di euro: più di cinquecento le automobili distrutte, centinaia fra negozi, bar, ristoranti, esercizi commerciali chiusi. E poi ponti crollati, strade interrotte, frane e intere zone dissestate. Il fiume Magra, che Dante descrisse come «breve linea di confine» tra la Toscana e la Liguria (che per cammin corto / parte lo Genovese dal Toscano) ha mostrato un volto insolito, scendendo verso il mare con la forza di un gigante, e mettendo sotto sopra, come già negli anni passati, anche la frazione di Fiumaretta, proprio a ridosso del Tirreno. Ad Aulla ha rotto gli argini e l’acqua limacciosa si è riversata per le vie della città fino a raggiungere l’antica pieve di San Caprasio: le ossa del patrono, chiuse in una teca sotto l’altare, sono state messe in salvo, ma il fango è penetrato ovunque. Purtroppo alcuni documenti, conservati nell’archivio comunale e risalenti al XV secolo, sono andati distrutti: gli altri sono stati portati via grazie all’azione tempestiva dei volontari che li hanno – letteralmente – strappati dal letto di fanghiglia che li stava ingoiando. Alcuni paesi, nell’entroterra, a causa di frane e cedimenti di ponti, sono rimasti senza vie di comunicazione; sono raggiungibili solo con l’elicottero. È il caso di Parana e di Stadano. Fin dai primi giorni, lodevole e costante è stata l’opera dei volontari che sono accorsi, numerosi, anche da fuori provincia. La diocesi non ha fatto mancare il suo aiuto. Il vescovo Giovanni Santucci, all’indomani del disastro, si è recato di persona sui luoghi della tragedia. «Uno spettacolo già visto, simile a quello che ha messo in ginocchio la Versilia nel 1996. Me lo ricordo bene: allora ero parroco nel Duomo di san Martino a Pietrasanta». La domenica seguente ha celebrato Messa nell’antica pieve, ripulita, a tempo di record, dai volontari. Nell’omelia, rivolgendosi ai fedeli che gremivano la chiesa, ha detto, tra l’altro: «Dobbiamo ricostruire ciò che è stato distrutto, non com’era, ma meglio di prima, perché non accadano più tragedie di questa portata». Ha poi convocato i parroci delle zone interessate e insieme hanno cercato di individuare i modi più adatti per intervenire in soccorso delle persone che hanno perduto tutto e che ancora si trovano sfollate, lontane dalle proprie abitazioni, ospiti di parenti o nei locali messi a disposizione dal Comune. Lo stesso monsignor Santucci ci ha poi raccontato un ricordo personale dell’alluvione del ’96. «Quel 16 giugno non ero a Pietrasanta. Rientrai il giorno dopo il disastro e andai subito a visitare i luoghi colpiti dall’alluvione. Uno spettacolo agghiacciante. La piena era arrivata alle porte di Pietrasanta, nelle località vicine c’era un mare di fango. Da Seravezza in su il paesaggio era irriconoscibile, come dopo un bombardamento areo. Nei giorni seguenti andammo a visitare le persone per portare una parola di conforto. Tutti volevano raccontare com’erano riusciti a scamparla. Mi ricordo di un signore che aveva messo una damigiana sopra l’albero: il fiume gli aveva portato via tutto. A chi si avvicinava ai ruderi della sua casa, gli offriva quel poco di vino che gli era rimasto». Monsignor Santucci coordinava allora gli interventi della Caritas e ci spiega che «con i miei collaboratori cercammo di mettere in atto un piano di intervento che fosse il più possibile adatto alla situazione. Il primo passo fu di operare una sorta di purificazione dei bisogni: prima di inviare qualcosa alle famiglie in difficoltà, occorreva capire di cosa avessero davvero bisogno. Non si poteva dare coperte a chi non aveva neppure il letto, oppure pentole a chi era senza cucina. Finito il tempo dell’emergenza, ci adoperammo per creare centri di ascolto. Le persone dovevano essere aiutate a superare il trauma che avevano vissuto e quale migliore terapia se non il dialogo in un clima di accoglienza e condivisione? Infine ci siamo impegnati, con la Protezione Civile, in particolare con Franco Barberi, affinché fossero garantiti aiuti alla popolazione e alle aziende per riprendere a lavorare, e solo in un secondo momento fossero fatte le debite verifiche burocratiche. Per sensibilizzare l’opinione pubblica furono chiesti spot pubblicitari a personaggi illustri, come Pavarotti, che accettarono gratuitamente. Si invitava le persone a trascorrere le vacanze in Versilia. La perdita di un anno di attività avrebbe ritardato, se non irrimediabilmente compresso, la ripresa della normalità anche nei paesi della Versilia storica. Con questa azione sinergica è stato possibile superare in fretta i disagi e lavorare bene per la ricostruzione». «Ora – conclude monsignor Santucci – anche per la Lunigiana inizia il tempo della riorganizzazione»: non dovrà, dunque, mancare l’aiuto dei fedeli di tutta la Toscana che domenica 13 novembre, su indicazione dei vescovi, saranno chiamati ad offrire un contributo a favore degli alluvionati della Lunigiana.NOI, CONFRATELLI DELLA MISERICORDIA, TRA GLI ALLUVIONATI DELLA LUNIGIANAAd Aulla, Mulazzo, Pontremoli «alluvionate» sono giunti, in questi giorni, centinaia di «angeli del fango». Tra loro anche dirigenti e giocatori della società di pallamano «Farmigea» ed i volontari delle Misericordie della nostra provincia specializzate in interventi di protezione civile. Ecco il «reportage» del nostro collaboratore – e confratello della Misericordia di Pontedera – Gennaro Sannino.di Gennaro SanninoL’orologio segna le otto del mattino quando con una decina di volontari delle Misericordie di Pontedera, Bientina, Cascina e San Miniato mi dirigo a bordo della jeep della protezione civile verso la città di Aulla. Sopra i monti ecco una fitta cappa di foschia: è l’effetto – ci spiegherà un tecnico – dell’acqua riversata su quel lembo di terra… tenta di risalire, ma la bassa pressione ne impedisce la dispersione. Usciti dall’autostrada e percorsi pochi kilometri, eccoci alla mèta. Aulla si presenta ai nostri occhi come un paese cupo, freddo, buio, quasi una cartolina di altri tempi in bianco e nero. «È un paese fantasma, senza vita» sbotta Tommaso Ferretti, 22 anni, confratello della Misericordia di Pontedera. Le strade sono ricoperte da dieci centimetri di fango, la segnaletica e i marciapiedi non si vedono più. I palazzi, pitturati con colori pastello, ora sono macchiati e segnati a vita dal mostro marrone. È ancora visibile sui muri il livello di oltre due metri, del fiume Magra che con la propria forza ha portato via tutto ciò che gli si trovava innanzi: auto, alberi, lampioni, cartelli stradali e pubblicitari. Anche le vetrate di uffici, i negozi, le finestre e i garage sono stati sfondati dalla forza devastante di quell’orribile mostro .Ci rechiamo in comune dove ci viene assegnato il primo incarico: lo sgombero dei locali e la spalatura del fango. Eccoci all’indirizzo indicato. Ci presentiamo ai proprietari degli uffici che hanno fatto richiesta d’aiuto. Carlo, titolare di una ditta di servizi amministrativi, ci accoglie con un sorriso: «grazie di essere venuti». Non è la prima volta che ci muoviamo tra «alluvionati», «terremotati», «evacuati». E sempre facciamo fatica a capire dove questa gente trovi la speranza, la forza e il coraggio di sorridere. Ci mettiamo tutti a lavoro, come tanti arti di un unico corpo. Nel frattempo gli aullesi che ci erano stati affidati ci confidano di essere salvi per miracolo: «la nostra fortuna è stata quella di essere usciti prima che i locali fossero riempiti completamente dall’acqua e fango. Eravamo alle nostre scrivanie e ad un tratto è mancata l’elettricità. Essendo al buio abbiamo deciso di uscire in strada ».Il racconto di Carlo si fa struggente: «è allora che abbiamo visto il livello del fiume salire e l’acqua uscire dagli argini. È successo tutto in un paio di minuti. Sconvolgente».ono le 10.30: la nebbia che, fino a poco fa, copriva Aulla, finalmente si dirada. E tutte le cose si riprendono i colori che gli sono proprie. Purtroppo ovunque restano ancora le tracce del fango. È quasi ora di pranzo: ci vengono offerti panini e dolci. Impossibile «resistervi». Dopo aver terminato il lavoro assegnatoci, congediamo con un abbraccio i presenti e ci rechiamo in comune per un nuovo incarico. Ci consigliano di raggiungere il tendone adibito a mensa per consumare un pasto caldo. Il servizio è gestito dalla conferenza regionale delle Misericordie Toscana. Decine di volontari seduti che aspettano il proprio turno. Ci sediamo accanto a persone mai viste e che forse mai più rivedremo: come in una grande famiglia, condividiamo con loro l’acqua, il pane, ma anche il racconto di esperienze dure.Siamo nuovamente in fila per aver un incarico. La richiesta: «sgomberate i locali dell’asilo». Giunti sul posto, troviamo tantissime persone a lavoro perlopiù donne. Parliamo con uno dei responsabili, il quale ci spiega che le maestre e le madri dei bambini della scuola non coinvolte dall’alluvione si sono rese disponibili per il ripristino dell’istituto « è giusto che i bambini non soffrano di queste esperienza» ci dice una madre. Insomma Aulla vuole risollevarsi in fretta. Ed intende farlo «ripartendo» dai più piccoli, dal nostro futuro. Poco oltre la scuola ci viene affidato un servizio in scantinati e negozi in gravi condizioni. Arrivati al numero civico indicatoci, entriamo in un palazzo al cui interno c’è una scala che ci porta in uno scantinato ancora tutto al buio. Ci facciamo luce con una torcia, e quasi alla fine della rampa, affondiamo in un tappeto di appiccicoso residuo melmoso: per fortuna il livello era stato abbassato dalle idrovore dei vigili del fuoco… Proseguiamo nel nostro percorso e in fondo a un corridoio intravediamo una luce. Da lì proviene un rumore assordante, è una pala meccanica che porta via senza provare sentimento i ricordi di una vita. Una signora mi chiede se posso aiutarla ad aprire i cassetti di una scrivania: ma è impossibile, il fango che sta iniziando a seccare ha sigillato quella cassettiera e con essa i ricordi che vi conservava. Mi commuovo nel vedere Maurizio, un anziano di Aulla, mentre cerca di salvare gli attrezzi del mestiere che ha fatto per una vita: «ho passato una vita intera con questi attrezzi in mano, a sistemare scarpe per tutto il paese, è strano come in pochi minuti tutto il tuo passato venga spazzato via così ».È tardi ed è ora di rientrare. Quelle divise tutte diverse ora hanno un unico colore, quello della terra bagnata e dell’impegno messo nell’aiutare chi è stata vittima di una ribellione della natura. Andiamo via appesantiti non solo dal fango che portiamo sugli stivali fino alle ginocchia e oltre. Ma carichi di rabbia per la sensazione di impotenza che proviamo innanzi a certe realtà.Nel mezzo al fango e alla desolazione c’è ancora chi cerca di salvare i ricordi, con la rassegnazione di chi sa di aver perso tutto, ma con ancora la forza di reagire per andare avanti e regalare un sorriso ed un abbraccio a tutti i volontari. Questo è il bello dell’essere volontari di protezione civile.