Lucca

Dramma migranti tra Brasile e Perù, l’appello del vescovo di Rio Branco alle autorità internazionali

IL TESTO INTEGRALE DIFFUSO IL 6 MARZO SCORSO:

“Il 21 Gennaio del 2006, con la partecipazione dei rispettivi presidenti e autorità del Brasile e del Perù, venne inaugurato il ponte chiamato “dell’integrazione”, che doveva rafforzare la comunicazione fraterna tra i due popoli.

Dopo 15 anni quel ponte diventa il ponte della disumanità e della discordia e accoglie, sotto teli di plastica, oltre 400 persone di nazioni e culture diverse. Donne incinte, uomini, bambini e lattanti che desiderano solo tornare ai loro paesi di origine.

Il ponte non serve per lo scopo per cui è stato costruito – unire i due paesi – ma l’opposto: una barriera di polizia, con soldati armati, con l’intenzione di non permettere il passaggio di nessun straniero.

A un certo punto, i migranti, stanchi e disperati per tanta inerzia delle rispettive autorità, hanno deciso di forzare lo sbarramento della polizia e arrivare fino a Inapari. Con una forza sproporzionata e senza il minimo rispetto dei diritti umani, la polizia è intervenuta provocando umiliazioni e ferite fisiche e psicologiche, costringendo i migranti ad abbandonare il territorio peruviano.

Così racconta una testimone oculare: È stato triste assistere a tanta violenza (manganellate e lacrimogeni), con circa 11 persone ricoverate in ospedale tra cui una o due donne incinte e un bambino… Un gruppo di circa 80 persone respinte lungo la strada verso la frontiera del Brasile e poi altri migranti caricati su mezzi pubblici e  scaricati dall’altra parte del ponte.

Così il ponte è diventato “il ponte delle lamentazioni”, per la vergogna nazionale e internazionale, senza che nessuno prenda decisioni necessarie, dopo varie riunioni e iniziative di diversi enti.

Tra le molte lamentele emerse tra i migranti nella condivisione della loro vita e della loro speranza, alcuni hanno detto: Abbiamo deciso di lasciare il posto dove abitavamo in Brasile e venire fin qui perché la situazione era insopportabile. Noi migranti abbiamo lasciato ciò che è alle nostre spalle con la speranza di un luogo migliore per vivere tranquilli con le nostre famiglie.

Altri, suggerendo alcune possibili soluzioni, hanno detto: Giusto che la frontiera sia chiusa per causa del Covid. Ma se questo è il motivo, chi è positivo rimane qui in quarantena senza nessun problema. Ma chi è negativo, per quale ragione non può proseguire il viaggio, solo di passaggio, poiché non intendiamo rimanere in Perù? Inoltre se pensano che siamo troppi, possono lasciarci passare a piccoli gruppi di 10 o anche meno. Neppure stiamo chiedendo che il governo si faccia carico delle spese, ancora abbiamo qualche risparmio per il viaggio.

C’è stato anche un tentativo di sgombero da parte di alcune autorità, come se i migranti avessero intenzione di occupare il ponte.

Così il 27 di Febbraio, il Ministero Pubblico Federale (MPF) si è espresso contro l’ingiunzione di reintegrazione di possesso e il divieto di interdizione da parte dell’Unione Federale contro gli stranieri accampati presso il ponte dell’Integrazione. Il Procuratore della Repubblica Lucas Costa Almeida Dias, ha fondato la sua posizione sul diritto di libera manifestazione che appartiene ai migranti in questo caso, affermando che tale diritto ha la precedenza su altri diritti, in sintonia con la giurisprudenza del Supremo Tribunale Federale.

La Caritas, sia del Brasile che del Perù è presente e cerca di dare assistenza ai migranti, pur disponendo di poche risorse umane e economiche, soprattutto ascoltandoli.

Con il passare del tempo, e senza una soluzione, cresce tra i migranti un clima di esasperazione e instabilità. I camionisti vogliono transitare per fare consegne. Le autorità locali e la popolazione sono scontenti. Le informazioni diffuse dalla stampa disorientano.

I migranti sono molto preoccupati e qualunque informazione o “disinformazione” a loro riguardo può esporli a pericoli. Purtroppo ci sono sempre quelli che con perverse intenzioni aspettano solo che “il circo prenda fuoco”.

Jerry Correia, sindaco della cittadina di Assis Brasil, diceva pubblicamente alcuni giorni fa: Chiarisco che il Comune di Assis Brasil mai ha chiesto l’uso della forza per ritirare i migranti dal ponte. Abbiamo piuttosto chiesto che il MPE e il MPF prendano posizione su questa crisi umanitaria che stiamo vivendo qui. Chiedo: è umano permettere che bambini e donne incinte rimangano per giorni sotto il sole e la pioggia? Il nostro Comune non ha mai smesso di dare assistenza a queste persone. Nonostante le nostre precarie condizioni, abbiamo garantito acqua, cibo, rifugio e assistenza medica. Siamo arrivati a distribuire anche 1500 pasti al giorno. È  una situazione di guerra che sfugge totalmente alle nostre capacità di gestione. Chiediamo aiuto. Ripeto: dove sono le istituzioni dei diritti umani che permettono a bambini e donne incinte di vivere su un ponte sotto il sole e la pioggia? Abbiamo bisogno di aiuto per evitare una tragedia maggiore. Siamo il comune con il maggiore indice di contagio da Covid-19 con più di mille persone contagiate su una popolazione di 7.300 abitanti. Le nostre strutture, che poi sono scuole, non offrono condizioni di degna accoglienza. Non è possibile che il Brasile assista a questo dramma senza prendere misure efficaci. Se c’è qualcuno disumano non è certo il Comune di Assis Brasil che pur senza condizioni economiche e con scarse risorse di personale e di strutture si è fatto carico degli stranieri per quasi un anno. Signori e signore per il bene di questi migranti e della popolazione di Assis Brasil, AIUTATECI!”.

Il primo di  Marzo, il Signor Giudice Federale, Herley da Luz Brasil (Missiva relativa al Processo: 1001055-87.2021.4.01.3000; Classe: Reintegrazione /Manutenzione di possesso), scriveva tra le altre cose: “Davanti a questi fatti, ai fondamenti, agli obiettivi e principi della Repubblica federativa del Brasile, tra essi la dignità della persona umana, la solidarietà e la priorità dei diritti umani ( articoli 1, 3 e 4 della Costituzione Federale), comprese le convenzioni internazionali che il Brasile ha firmato e ancora ciò che dispone la Legge n. 13.445/2017 e 13.684/2018, si ordina all’Unione di informare, entro 48 ore:

  1. quali sforzi sono stati fatti da parte dell’Unione per risolvere la situazione;

  2. se è già stato dato sostegno materiale ai migranti che si trovano sulla frontiera e se c’è previsione di farlo;

  3. quale piano di rimozione e ricollocamento verrà messo in pratica, consultando anche il Ministero della Giustizia a riguardo;

  4. dal suo punto di vista, quali misure devono essere messe in atto con i migranti in situazione di vulnerabilità, prima, durante e dopo un eventuale sgombero del ponte, tenendo presente che nella richiesta iniziale, emerge solo la preoccupazione con il trasporto e il commercio internazionale (molto generici i riferimenti alle questioni sanitarie).

È data facoltà al Comune di Assis Brasil, che ha prestato assistenza diretta ai migranti, di manifestarsi su questa situazione, entro 48 ore. Intimazione urgente.

Fino ad oggi, sei di Marzo, le riunioni con i giudici, avvocati del governo, organismi legati all’ONU, Difesa Civile e altri…, non hanno risolto la situazione.

Ogni giorno, essendo Assis Brasil, il comune acreano con il più alto numero di contagiati da Covid, vari migranti si sono ammalati, mentre altri sono fuggiti. Cosa si aspetta? e fino a quando?…

Il Brasile non potrebbe rimpatriare gli haitiani con voli della FAB (Forza Aerea Brasiliana), se è necessario, visto che il Perù non intende aprire le sue frontiere? Gli Haitiani, con il loro lavoro hanno già dato un bel contributo allo sviluppo del Brasile. Perché il Brasile, ora, non restituisce loro, in qualche forma, per l’aiuto ricevuto?

Prevenire atti che possano compromettere l’ordine pubblico e la sicurezza dei migranti, esige che si adottino provvedimenti per impedire possibili conflitti umani e sociali.

Ci appelliamo alle autorità competenti e alle organizzazioni internazionali perché trovino una soluzione a questa crisi umanitaria che contraddice ogni diritto umano. Sono persone, fratelli nostri, in situazione di grande vulnerabilità in tutti i sensi.

Dinanzi a tutto questo possiamo incrociare le braccia, sperando che altri intervengano?

Dio abbia misericordia dei poveri, necessitati e migranti, che non hanno neppure il diritto di tornare al proprio paese di origine!

mons. Joaquim Pertines Fernandesvescovo di Rio Branco in Brasile