Lucca

La teoria gender e la ricerca scientifica

Nel suo discorso introduttivo, l’Arcivescovo non ha mancato di evidenziare l’importanza e la delicatezza del tema che quest’anno è stato scelto e lungamente preparato da una commissione da lui presieduta, soprattutto per le sue conseguenze antropologiche. Infatti, «le teorie del genere», ha spiegato mons. Castellani, «affermano che noi nasciamo uomini e donne, e che maschi o femmine lo si diventa sulla base di scelte individuali e di aspettative sociali e culturali». Riferendosi esplicitamente alle parole di papa Francesco, che significativamente ha dedicato a questo tema l’udienza di mercoledì 15 aprile, l’Arcivescovo ha evidenziato come questa «rivoluzione antropologica» esiga «una attenzione educativa del tutto nuova, soprattutto da parte di coloro che sono chiamati a formare e orientare i giovani, i quali già da adesso si trovano a crescere in un contesto che mette in discussione un elemento fondamentale come la differenza sessuale tra uomo e donna, cardine su cui ognuno costruisce la propria identità».Dopo l’introduzione, si sono succeduti i due interventi in programma, che hanno approfondito la tematica da due diversi punti di vista: psicologico, il primo, e neuro-scientifico, il secondo.

Patrizia Mascari, psicologa e pedagogista, ha inizialmente illustrato i vari approcci al tema della differenza sessuale secondo i diversi indirizzi della psicologia contemporanea, per poi passare alla chiarificazione del significato scientifico della costellazione dei termini attinenti alla problematica del rapporto tra sesso e genere. La conclusione a cui è pervenuta la brillante esposizione di Mascari è che la psicologia non ha dubbi nell’affermare l’esistenza di una natura maschile e femminile ben differenziata, tuttavia non può non riconoscere che l’identità sessuale, ovvero il sentimento di appartenere all’uno o all’altro dei due sessi, può essere diversificata. Anche in questo caso, però, ciò che è determinate nell’orientamento sessuale non sono le esperienze socio ambientali, l’educazione o la cultura, ma una precisa configurazione neurologica, dunque ancora un fattore di carattere naturale e non opzionale. Il caso emblematico è quello dell’omosessualità che da tempo, nella scienza, è stata derubricata dalle patologie e non è più considerata un’anomalia, frutto di condizionamenti socio-ambientali.

Su questo tema dell’identità sessuale, si è soffermato anche il secondo relatore, Pietro Pietrini, noto neuro-scienziato dell’Università di Pisa. Il suo intervento ha preso le mosse da una provocazione: cosa lega i rossi di capelli, i mancini e gli omossessuali? Per rispondere a questa domanda, il Pietrini ha accompagnato l’uditorio in un appassionante viaggio all’interno del cervello. Le attuali ricerche scientifiche sul funzionamento del cervello, che si avvalgono oggi di sofisticati strumenti di ricerca, hanno dimostrato che l’orientamento di genere, ovvero come noi maturiamo le nostre caratteristiche sessuali, è ampiamente influenzato da una base genetica. Non solo l’essere uomo e donna, ma anche le diverse tendenze sessuali sono legate al patrimonio genetico. Ciò che si pensava fino ad un recente passato, ovvero che il bambino nascesse come una tabula rasa e che l’identità di genere dipendesse da influenze di carattere ambientale ed educativo, si è dimostrato falso: in realtà l’ambiente, ha ribadito il relatore, non cambia niente di quello che è scritto nella natura. Ci sono delle differenze neuro-anatomiche tra donne e uomini, come pure ci sono differenze tra cervello maschile e quello femminile nella risposta agli stimoli esterni che caratterizzano un diverso orientamento sessuale. Recenti ricerche hanno dimostrato che nelle persone omossessuali, sia donne che uomini, queste caratteristiche cerebrali sono molto simili a quelle del sesso biologico opposto. Un omossessuale, dunque, è tale per le stesse ragioni per cui chiunque altro è eterosessuale. Si comprende allora il senso della provocazione iniziale. La storia dei rossi di capelli e dei mancini ha, per il Pietrini, molto da insegnare sulla situazione vissuta dagli omossessuali. Infatti, come i rossi di capelli e i mancini sono stati considerati per secoli uno «scherzo della natura», se non addirittura diabolici, per il solo fatto di essere minoritari statisticamente rispetto alla «norma», per lo stesso motivo ancor oggi l’omosessualità continua ad essere giudicata un orientamento sessuale contrario alla natura. L’unica vera e, spesso, drammatica differenza sta nel fatto che mentre l’eterosessuale è incoraggiato nel suo orientamento dall’ambiente circostante, l’omossessuale, quando raggiunge la pubertà e comincia a manifestare uno spontaneo interesse per le persone del proprio sesso, trova ancora delle forti resistenze culturali e sociali, causa di non poche sofferenze per gli individui e per le loro famiglie. «Io sono convinto», ha concluso il Pietrini, «che cercare di evitare di riconoscere una dignità alle persone omosessuali pensando che siano contro natura, sia quello veramente contro natura!».

Le conclusioni convergenti, a cui sono pervenute le due relazioni, e il metodo utilizzato dai relatori suscitano una serie di questioni, alcune delle quali sono state oggetto di discussione nel dibattito stimolato dalle domande dei presenti, che ruotano attorno al problema di che cosa si intenda per natura e quale rapporto questa abbia con la cultura.Infatti, entrambe le posizioni, quella sostenuta dai due relatori e quella di chi ritiene che sia legittimo solamente l’orientamento eterosessuale, fanno riferimento al dato naturale. Per i primi «naturale» è tutto ciò che fa parte della struttura cerebrale dell’individuo ed è scientificamente osservabile, per i secondi il concetto di natura sembra essere determinato da una particolare concezione derivante da convinzioni filosofiche o religiose. Apparentemente sembrano più avvincenti e convincenti le argomentazioni della scienza, e il ricorso alla natura risulta scivoloso per quanti traggono delle valutazioni fuori da una considerazione scientifico sperimentale.

Ma c’è da chiedersi, in considerazione dell’inscindibile intreccio di natura e cultura che fa sì che la persona non sia riducibile alla sua sola costituzione biologica: esiste un concetto di natura definito obiettivamente, senza che entrino in gioco elementi di valutazione etica, filosofica e religiosa? È da considerarsi naturale, e perciò lecito, tutto e soltanto ciò che trova nel cervello corrispondenti stimoli spontanei e congeniti? Se nella corteccia cerebrale sono scritti orientamenti e pulsioni che oggi, per motivi riconducibili a un ethos condiviso, sono considerati moralmente riprovevoli, c’è da auspicare che in futuro questi possano trovare un contesto culturale che ne renda libero e legittimo l’esercizio?

Non pretendiamo che queste domande, e altre che potrebbero essere formulate, risolvano in una o in un’altra direzione il problema. Intendiamo soltanto far emergere la necessità di affrontare la tematica, ampliando ed integrando il punto di vista delle scienze sperimentali con quello filosofico ed etico. A questi ulteriori aspetti è dedicata la seconda serata degli «Incontri in San Martino» che si terrà venerdì 24 aprile, con tema: «L’eclissi della differenza sessuale nella cultura postmoderna». Interviene il prof. Francesco D’Agostino, docente di Filosofia del diritto all’Università Tor Vergata di Roma.

FOTO: Palazzo Curia Arcivescovile, nel cui Salone si svolgono gli “Incontri in San Martino”