Firenze
Natale, povertà, migranti, moschea… Tante domande nel saluto del cardinale Betori ai giornalisti
L’arcivescovo di Firenze è partito citando il rapporto annuale del Censis che parla di italiani malinconici, insicuri e sfiduciati: “Mi sembra preoccupante, d’altra parte non può essere diverso se vediamo le guerre, tra cui quella più vicina a noi che è quella in Ucraina. Se guardiamo a come siamo usciti male dalla pandemia, che speravamo ci curasse dalle nostre distorsioni. La crisi economica, il cambiamento climatico di cui cominciamo ad avere una percezione come fatto che ci tocca da vicino. La povertà che cresce numericamente…. Le premesse per essere malinconici e sfiduciati ci sono tutte. Preoccupa il numero di giovani che non studiano e non lavorano, al 23%, il 10% in più rispetto alla media europea. Se le nuove generazioni non crescono culturalmente e non hanno accesso al lavoro è un problema. L’invecchiamento del paese, la curva demografica in calo, le nascite sono sempre di meno: questo Paese sembra convinto di non avere un futuro”. A fronte di tutto questo, ha affermato Betori, “L’annuncio del Natale è importante, qualcuno che doveva disperare di noi continua ad avere fiducia nell’umanità. Chi crede in Dio sa che deve dare una testimonianza d’amore, immettere nella società un principio di attenzione all’altro. Ma il Natale ci interroga tutti, su come noi diventiamo strumento di crescita umana per le persone che hanno ragioni di sfiducia. Questo l’augurio: lasciarci illuminare dal Dio bambino”.
A proposito della questione che vede la comunità islamica alla ricerca di un luogo di preghiera, visto lo sfratto a cui è sottoposta l’attuale moschea, Betori ha sottolineato: “I diritti della persona si tengono tutti insieme. Il diritto alla libertà di culto è componente essenziale della dignità della persona e del bene sociale, su questo non possiamo fare sconti. Il modo in cui si sta trattando la vicenda della moschea anche da parte delle istituzioni mi sembra attento. Dobbiamo aiutarci tutti, ognuno nel suo ruolo: non può essere la Chiesa cattolica a offrire una soluzione, sarebbe un’invasione di campo”. L’arcivescovo ha ricordato i suoi ottimi rapporti con la comunità e con l’imam Izzedin, e di come il primo luogo di culto per la comunità islamica sia stato al Centro La Pira, in ambienti messi a disposizione dalla comunità cattolica. Ma era, ha sottolineato, una soluzione temporanea in un momento particolare: oggi la diocesi non ha locali adatti, nel centro di Firenze, per ospitare la comunità islamica che è molto cresciuta negli anni. A chi gli chiedeva se, in linea di principio, metterebbe a disposizione degli spazi, ha risposto “Perché no” specificando però che non potrebbe mai trattarsi di chiese sconsacrate, una soluzione che non sarebbe rispettosa delle due religioni. A Firenze, ha sottolineato, c’è un’atmosfera di accoglienza e dialogo. L’esperienza della scuola di formazione al dialogo interreligioso lo dimostra.
Riguardo alla vicenda della ex Gkn, i cui lavoratori sono senza stipendio, Betori ha affermatio: “Non sono un sindacalista o un economista, non ho soluzioni ma sono convinto che le soluzioni vengono dalla collaborazione di tutti gli attori in gioco, lavoratori, imprenditori, istituzioni. Non sono io che devo prendere iniziative, se non stare vicino a chi poi subisce le difficoltà che sono i lavoratori”.
Sul tema della povertà, l’arcivescovo ha ricordato quanto viene fatto “dalla Caritas diocesana e dal suo braccio operativo, Fondazione Solidarietà Caritas. Non è che la Caritas deve fare tutto: il suo compito è quello di far crescere l’attenzione di tutti i cristiani verso la carità. La Caritas ascolta i problemi delle persone e li rilancia sollecitando risposte. Se non ci sono altre risposte, attraverso la Fondazione la Caritas si mette all’opera con le mense, le case d’accoglienza e i vari servizi. In questi ultimi tempi i bisogni sono aumentati. Non si programma la carità, bisogna rispondere ai bisogni che si presentano, come è successo con i profughi dall’Ucraina. Le nostre fonti sono la carità della gente e i fondi che arrivano dall’8 per mille, da cui ogni anno un milione e 400 mila euro arrivano alla carità diocesana”.
A proposito delle navi cariche di migranti in arrivo a Livorno, Betori ha ricordato l’impegno di tante realtà legate alla Chiesa, ma non solo, e ha affermato che le migrazioni fanno parte della storia umana, noi stessi siamo il frutto di migrazioni: “non esistono muri bastevoli a chiudere i popoli. Dobbiamo confrontarci con questa realtà e farla diventare inclusiva. Perché non basta accogliere, occorre integrare, includere dentro la società, pur nelle identità diverse, facendo crescere la comprensione gli uni degli altri”.
Sulla visita pastorale alle parrocchie, ripresa in questi giorni, ha affemrato di aver visto un cambiamento dopo la pausa dovuta alla pandemia: “è partito con più convinzione il cammino sinodale a cui ci chiama il Papa, e grazie a questo l’ascolto reciproco sta diventando un modello di fare Chiesa. Questo lo vedo anche nella visita pastorale. Ho ancora tre vicariati da visitare (le Signe, Mugello e Porta al Prato), se avrò il tempo non lo so, lo deciderà il Papa. Un vescovo – ha aggiunto – decide tante cose ma non la diocesi in cui svolgere il suo ministero, e quando finire il suo servizio. Questa è roba del Papa. In questo periodo cerco di stare in mezzo al gregge, accompagnare più che guidare, più vicino ai preti e alle persone”.
Riguardo al suo rapporto con le varie anime della Chiesa fiorentina, ha affermato: “Ho cercato in questi anni di recuperare l’anima che stava dietro alle varie anime del cattolicesimo fiorentino per trovare il tessuto che tutte le reggeva, che è l’amore per la Chiesa. Tra i vari filoni, da quelli più ortodossi a quelli più esposti o critici, tutto è animato da un grande amore per la Chiesa. Ancora abbiamo tanto da scoprire, l’anno prossimo ci sarà il centenario di don Milani: ho avuto un bel colloquio con Rosy Bindi, che presiede il comitato nazionale, e siamo d’accordo che dobbiamo cominciare dal suo essere prete, che è l’aspetto da cui deriva tutto il resto”.
A proposito del turismo, che spesso crea disagi alla città: “La pandemia poteva essere occasione per cambiare qualcosa. Aprire o no i musei il 25 dicembre? Visto che stanno aperti i supermercati, che siano aperri anche i luoghi che ci danno il pane culturale e spirituali può essere un segno. Ma si dovrebbe andarci più preparati, con maggiore consapevolezza. Firenze non deve essere solo turistica, ma il turismo fa parte della nostra natura, non possiamo dire agli altri di non venire ad ammirare Michelangelo. Quando ho visto la gente in piazza, dopo la pandemia, ho detto “finalmente”. Quando ho visto tutti correre come accadeva prima, ho pensato che non è questo il modo per visitare Firenze, non basta un like sui social. Ci vorrebbe maggiore consapevolezza. In passato i fiorentini intorno all’arte e alla cultura hanno costruito una società, senza dimenticare la lana da cui venivano i soldi e le banche che li moltiplicavano”.