Firenze

Pasqua a Firenze, lo scoppio del carro: “Segno di identità di una città aperta al Vangelo”

Nella sua omelia, l’arcivescovo ha spiegato il senso di questo rito, seppur celebrato in una piazza vuota: “Il ritorno dello Scoppio del Carro, sia pure senza la gente che gli si stringe attorno, ci induce a cercare di ricomporre nella nostra memoria il significato religioso di questo atto e il messaggio che vuole trasmettere alla città”. Betori ha ricordato il “legame profondo tra il fuoco da noi acceso e giunto alfine al Carro e l’origine della nostra fede, quel sepolcro in cui era stato deposto il corpo di Gesù e che, come abbiamo ascoltato dalla pagina del Vangelo fu trovato vuoto il mattino di Pasqua”. Il fuoco sacro infatti viene acceso, a Firenze, con pietre che provengono dal Santo Sepolcro di Gerusalemme, e porta quindi “il segno della risurrezione, il germe della vita nuova che Cristo è venuto a condividere, come Risorto, con tutti noi”. 

L’altra caratteristica fiorentina della festa di Pasqua, ha aggiunto, è che il fuoco “non si ferma, come in tutte le altre chiese nel mondo, nell’esile fiamma del Cero pasquale, ma da essa si propaga, con il volo della colombina, fino alla macchina di fuoco che attende fuori dalla chiesa, sulla piazza, per moltiplicarsi in un tripudio di luci e di fragori. È un modo per dire che la luce di Cristo non è cosa che possa restare nella chiesa, ma è realtà per sé stessa indirizzata alla vita delle persone e della convivenza sociale. Un tempo il Carro portava il fuoco nuovo in ogni casa, a illuminarla e animarne la vita; oggi si irradia dall’alto per rischiarare e avvolgere i tetti della città tutti insieme; uguale è il messaggio che viene diffuso”.

Un appello alla città, quindi, “perché riconosca nella vita di Gesù e nel suo Vangelo una sorgente incomparabile di significato e di orientamento di vita, un progetto di vita buona e un disegno di concordia civile e di pace universale. Gesù non è una questione religiosa, ma un’immagine di vita piena e un orizzonte compiuto di storia. Da lui, dalle sue parole, dalla sua esistenza donata scaturisce una strada certa di bontà per tutti”.

Pasqua, ha detto ancora Betori, “è sì festa consolante perché dice speranza, vittoria della vita sulla morte, ma è anche festa impegnativa, perché dice cammino nel sentirsi fratelli e nell’amare fino alla dimenticanza di sé. Guai se il distanziamento sociale, a cui la pandemia ci costringe, dovesse diventare preludio alla scomparsa dell’altro, del fratello dalla nostra vita. La luce di Cristo non è solo splendore di verità, ma è anche fuoco di carità, è verità di amore”. Si impone quindi una scelta, ha concluso l’arcivescovo, “se vogliamo dare significato a un rito, quello del Carro, che non può e non deve ridursi a un fenomeno di folklore, ma ha da essere il segno di identità di una città degna della sua storia e per questo aperta al Vangelo che ne ha illuminato tempi colmi di gloria”.