Firenze

Natale, Betori: “Il vero dono è l’incarnazione di Gesù”

Nell’omelia, l’arcivescovo di Firenze ha parlato dell’incarnazione di Gesù come “il vero dono di Natale. Dobbiamo dircelo in questi giorni, in cui ci si vorrebbe far credere che il Natale è meno Natale perché avremo difficoltà ad acquistare i doni da scambiarci, a ritrovarci intorno a una tavola ben imbandita, a scambiarci affetto con gli abbracci. Non voglio sminuire il significato di gratuità che c’è in ogni dono, di comunione che c’è quando si condivide una mensa, di amore che c’è nel gesto che ci avvicina all’altro. Ma dobbiamo pur dire che non è questa l’essenza del Natale, bensì l’incontro con Gesù, che con la sua grazia viene a sanare la nostra vita dal male”. “Non ci turberà neanche – ha aggiunto – non poter collocare la memoria del Natale del Signore, come eravamo abituati a fare in tempi recenti, alla mezzanotte, ora simbolica ma non essenziale per un rito che continueremo pur sempre a celebrare in ore della notte, come vuole il vangelo, ma anche articolandone il significato nelle diverse forme celebrative previste dalla liturgia: Messa nella Vigilia, Messa nella Notte, Messa dell’Aurora, Messa del Giorno, tutte quante Messe di Natale. Ciascuno potrà trovare il proprio tempo per partecipare alla celebrazione con la precauzione richiesta dal contenimento del contagio”.

La gioia del Natale si manifesta anche in altre forme: “gesti di vicinanza a chi in questi giorni è impegnato nel dare sollievo alla sofferenza, nel mondo della sanità e in quello della carità solidale verso i poveri, come anche espressioni di vicinanza a chi vive nella solitudine, anche solo con qualche parola al telefono”. Da non trascurare neanche i segni esteriori: “Mi riferisco anzitutto al presepe, che esorto ad allestire in ogni casa, nelle scuole, negli esercizi commerciali, nei luoghi di lavoro. È importante non perdere l’immagine del Bambino che nasce nel contesto della nostra vita. L’altro segno che raccomando riguarda i tabernacoli di immagini mariane disseminati per le strade e le piazze delle nostre città e paesi. Non manchi in questi giorni un segno di devozione, un fiore o un lume, a dire il nostro amore a Maria e al suo Figlio”. Segni, ha aggiunto, che “suscitano memoria e orientano il cuore. L’intreccio dei personaggi del presepe ci richiama l’importanza dei legami personali e sociali e come questi trovino radice feconda nella presenza di Gesù. L’immagine materna di Maria ci invita a riflettere sul grande dono della vita e su come essa vada sempre accolta e protetta”.

La riflessione del vescovo è partita dal mistero del male che “accompagna da sempre il cammino dell’uomo”: sia il male fisico – calamità, sofferenza, limite, malattia e morte – sia nella sua manifestazione morale, “in cui si ritrovano la malvagità che divide e oppone gli uni agli altri, le ingiustizie sociali, l’inequità dei sistemi economici, l’irresponsabilità verso il creato, i peccati personali, il degrado e le offese alla dignità della persona umana”. Di tutto questo, ha sottolineato, “stiamo facendo acuta esperienza in questi mesi di pandemia, in cui più evidente è diventata la consapevolezza della morte” e in cui pesano “vincoli e limiti con cui si cerca di mettere argine alla diffusione del virus, che incidono però profondamente sulla vita sociale e sull’economia”. Si avverte anche, ha proseguito, “il disagio di una solitudine non scelta per desiderio di interiorità ma imposta da circostanze esterne senza avere le risorse per viverla positivamente”.

La festa dell’Immacolata quindi “ci viene incontro come un messaggio di speranza a cui affidare la nostra pena”. Ci mostra che “non per nostro merito, ma per suo dono, Dio può rendere l’umanità partecipe della sua santità e quindi può liberarla dal male”.