Per la catechesi biblica degli adulti abbiamo scelto quest’anno due libri dell’Antico Testamento: Esdra e Neemia. Qualcuno potrebbe ritenere questa scelta un po’ strana. Sono due libri non molto citati nella prassi abituale della nostra predicazione. Perché questa scelta? La risposta la troviamo nella scheda n. 9 dove il piccolo resto di Israele, sopravvissuto alla deportazione e all’esilio, tornato finalmente in patria, si raduna intorno al Libro della Legge.La cosa veramente commovente è che questo «piccolo resto» mescola sorprendentemente pianto e festa. È uscito or ora da una tragedia senza nome, una tragedia che ha visto una sconfitta militare disastrosa, morti, deportatati in terra straniera pagana, ha sperimentato la distruzione della città santa e del Tempio, la fine, insomma così sembra, di ogni umana speranza e per questo piange, ma al tempo stesso, incredibilmente, fa festa: «mangiate carni grasse e bevete vini dolci»!Come è possibile unire il pianto e la festa?Il dolore è illuminato dalla speranza che è una certezza, un’evidenza, la Presenza non di un Libro, ma di Colui che sta all’origine di quel Libro, di quella Parola, di quella storia, una Presenza fedele e potente. Il pianto è il segno di un Amore riconosciuto e purtroppo, spesso, anche tradito. Questo testo, dunque, è particolarmente adatto e illuminante per la situazione che stiamo vivendo anche noi con la pandemia.Allora anche noi dobbiamo sperimentare la gioia di una risposta, di una consolazione. In che modo? Riscoprendo il primato del Libro. Ma attenzione, noi cristiani non siamo la religione del libro. Dobbiamo riscoprire il Libro, la Legge, ma noi sappiamo che la Legge nella Bibbia, la Torah, è la nostra storia, storia di salvezza, di amore e di fedeltà di Dio verso la nostra povera e travagliata umanità.La nostra salvezza, però, passa anche attraverso il sacerdote Esdra e il governatore Neemia. In altre parole, abbiamo bisogno di maestri, di guide che ci sostengano nel nostro non facile cammino. Le guide poi devono collaborare fra loro. È significativo che il sacerdote e il laico Neemia collaborino fra loro per il bene del popolo. Dobbiamo, infine, anche imparare a essere popolo, popolo unito, che piange insieme e insieme festeggia, un popolo cioè responsabile e cosciente, che non ignora né sottovaluta le sue ferite e le sue difficoltà, ma al tempo stesso sa ritrovare le ragioni della speranza e della festa perché è consapevole che la salvezza non viene dalle sue forze , dalle sue virtù, ma unicamente dalla presenza misteriosa di Colui che guida e anima la sua storia, da Colui che cambia perfino le sue sconfitte in vittoria, le sue lacrime in gioia, quella che sembra la morte in una nuova nascita.