Firenze

La Messa del cardinale Betori alla Santissima Annunziata: “Niente potrà e dovrà tornare come prima”

“Una celebrazione – ha ricordato – che si colloca in un tempo difficile, di pandemia”. In una basilica vuota, collegato con le case dei fiorentini e dei toscani attraverso TvPrato e i siti internet di Toscana Oggi, di Radio Toscana e della Diocesi di Firenze, Betori ha voluto celebrare la festa dell’Annunciazione di Maria: “Quello che era il capodanno fiorentino e toscano, quando i nostri antenati tenevano conto del fatto che l’incarnazione del Signore era l’inizio dell’anno nuovo, e di una nuova era nella storia dell’umanità: l’incarnazione di Gesù è il segno la misericordia del padre verso di Noi”. 

Nell’omelia, il cardinale ha aperto lo sguardo al futuro: “Niente potrà e dovrà tornare come prima. E non lo potrà essere perché saranno profondi i segni che la pandemia lascerà nell’economia, nella vita sociale, nella politica, nei rapporti tra i popoli, nei comportamenti individuali. Ma è bene fin d’ora chiederci verso quale direzione orientare il cambiamento: Rafforzare le chiusure e garantirci contro gli altri? Rinsaldare le sicurezze di pochi lasciando al loro destino i deboli? Cancellare l’esperienza del limite, che ci ha assalito in questi giorni, per tornare ai sogni prometeici di un’umanità che non risponde a nessun valore perché ubriacata dalla propria volontà di potenza? Ci piace pensare che si possa superare un modello di vita incentrato sull’individualismo, sullo sfruttamento indiscriminato del pianeta, sulle sole logiche del profitto e del consumo, per mettere al centro ciò che è davvero essenziale e proiettarci verso gli orizzonti della solidarietà, della responsabilità, del dono”.

Qui sotto, il testo integrale dell’omelia pronunciata dal cardinale Betori e della preghiera di affidamento pronunciata al termine della celebrazione

OMELIA

Pressati dall’angoscia di questi giorni, dobbiamo trarre dalla festa odierna la luce per un giudizio e un orientamento.

La sostanza di ciò che è oggi celebriamo è il dono di una vita, quella del Figlio di Dio fatto uomo, all’umanità. Dice l’angelo a Maria: «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1,31). Quel bambino il cui corpo comincia a intessersi nel grembo di Maria, sarà colui che sulla croce si confronterà con la morte e in forza del dono di sé sconfiggerà la morte e risorgerà a vita nuova.

A chi chiede quale sia il messaggio che la Chiesa ha da trasmettere a questi nostri giorni, dobbiamo poter rispondere che alla storia umana non mancherà mai la fiducia misericordiosa di un Dio che dona il proprio Figlio e l’amore illimitato di questo Figlio, capace di sconfiggere la morte.

La morte non ci dovrebbe far paura, perché sappiamo di essere amati e salvati. Nella fede la morte è un passaggio verso l’eterno, e questi sono tempi in cui l’annuncio di ciò che ci attende al termine della vita e della storia – nel linguaggio della tradizione cristiana: morte, giudizio, inferno e paradiso – deve risplendere nei nostri cuori per collocare la morte dei nostri fratelli non nel buio della perdita ma nell’orizzonte di un destino eterno di vita, dove, per la misericordia di Dio, potremo ritrovarci insieme. Sapersi amati e salvati, non gettati dal caso nel vortice dei giorni, è in grado di sostenere comportamenti umani ricchi di responsabilità e solidarietà, come ci è chiesto oggi e come tanti, specialmente in campo sanitario ci stanno mostrando in modo encomiabile.

Questo ci permette di far tesoro di un sentimento sbocciato nel cuore degli animi più avvertiti di fronte all’esperienza della precarietà, quello che nulla si può dare per scontato, che tutto è un dono: risvegliarsi al mattino, incontrare i propri cari, spendersi in un lavoro, accorgersi degli altri attorno a noi, accogliere un sorriso. E se tutto è un dono, quale ne è la sorgente? Rispondere a questa domanda sarà essenziale per il dopo.

A illuminare questi atteggiamenti è la giovane Maria. Ella risponde alla chiamata che le viene fatta e, messo da parte ogni proprio progetto, si pone al servizio dell’umanità: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). E, se il servizio nel personale sanitario si fa carico della cura diretta del malato, con gesti che giungono all’eroismo e che meritano riconoscimento e gratitudine, ciascuno di noi ha un servizio da rendere ai fratelli che è quello di assumere comportamenti responsabili che ostacolino il diffondersi del virus.

Le decisioni dei vescovi, alle richieste dello Stato,si sono ispirate proprio a questo senso di responsabilità: sarebbe stato grave assumere orientamenti che avrebbero messo a rischio la vita soprattutto dei più fragili.La vita cristiana non si è interrotta, perché il rendimento di grazie a Dio è continuato e continua ogni giorno nella Santa Messa celebrata, sia pure privatamente, dai sacerdoti; la Parola di Dio ha continuato e continua ad essere proclamata e meditata tra noi anche grazie ai nuovi mezzi di comunicazione; ciascuno è stato richiamato a riscoprire la forza della preghiera personale e familiare; un segno di Chiesa vicina sono le nostre chiese aperte, il suono delle campane a chiamarci alla preghiera, una benedizione data ai nostri morti anche se non è stato possibile accompagnarli in questo momento con il rito delle esequie, la carità che non è mai mancata anzi si è rafforzata verso i più deboli, la disponibilità dei sacerdoti a venire incontro ai fedeli di persona o con la comunicazione telefonica e mediatica.

Soprattutto viviamo nella certezza che Dio ha continuato a donarci la sua grazia nei modi a lui conosciuti, ma non meno efficaci per la nostra salvezza. Un solo esempio: la grazia del perdono dei peccati non è scomparsa, come ci ha ricordato Papa Francesco, richiamando il Catechismo della Chiesa Cattolica, perché un pentimento profondo e sincero di fronte all’amore di Dio, in attesa della confessione personale è già sorgente di riconciliazione e perdono dei peccati. Certo, è viva in noi l’aspirazione a poter tornare quanto prima a dare a tutto questo anche un volto visibile di comunità, una comunione non solo dei cuori, ma anche dei corpi, Vorrei però anche invitare tutti noi a pensare questo “digiuno eucaristico” come un’opportunità per radicare dentro di noi una sete più ardente dell’Eucaristia, un invito pressante a riscoprire il culto spirituale nella vita trasformata dalla fede, secondo l’invito dell’apostolo Paolo (Rm 12,1), così che le nostre assemblee domenicali di domani non siano semplicemente una riedizione di quelle di ieri, troppo spesso povere di numeri, di splendore e soprattutto di legame con l’esistenza quotidiana.

E la prospettiva di un domani che deve essere diverso dal passato oggi si impone con forza. Niente potrà e dovrà tornare come prima. E non lo potrà essere perché saranno profondi i segni che la pandemia lascerà nell’economia, nella vita sociale, nella politica, nei rapporti tra i popoli, nei comportamenti individuali. Ma è bene fin d’ora chiederci verso quale direzione orientare il cambiamento: Rafforzare le chiusure e garantirci contro gli altri? Rinsaldare le sicurezze di pochi lasciando al loro destino i deboli? Cancellare l’esperienza del limite, che ci ha assalito in questi giorni, per tornare ai sogni prometeici di un’umanità che non risponde a nessun valore perché ubriacata dalla propria volontà di potenza? Ci piace pensare che si possa superare un modello di vita incentrato sull’individualismo, sullo sfruttamento indiscriminato del pianeta, sulle sole logiche del profitto e del consumo, per mettere al centro ciò che è davvero essenziale e proiettarci verso gli orizzonti della solidarietà, della responsabilità, del dono.

Da questo altare della Vergine Annunziata, così cara al cuore di tutti i fiorentini, ma anche di tutti i toscani, voglio esprimere un auspicio: che il cuore degli uomini e delle donne di domani, della società che dovremo ricostruire dopo la tempesta assomiglino sempre più al cuore di Gesù e di Maria.

Nella sua incarnazione, il Figlio di Dio dà compimento alla volontà del Padre, come ha ricordato la Lettera agli Ebrei. Gesù è guidato da una amorevole volontà di dono, nella totale gratuità. Il corpo di Gesù che Maria darà alla luce sarà lo strumento di un dono di sé che giungerà fino alla croce. Una scelta che contrasta al fondo le logiche di calcolo utilitaristico e di ricerca di dominio che prevalgono nell’agire sociale. Mentre gli uomini seguono gli impulsi della brama di autonomia e di affermazione di sé, Gesù invece si muove guidato dall’ubbidienza, cerca l’umiltà: si presenta al mondo come un piccolo essere umano che si lascia accogliere dal grembo di una donna, un minuscolo seme di grano che accetta di essere sepolto nella terra per rinascere come vita nuova, colma di frutti di vita per tutti.

Un’offerta di sé nell’obbedienza è anche l’esistenza della vergine Maria. L’angelo Gabriele invita la giovane ragazza di Nazaret a rallegrarsi per la presenza di Dio nella sua vita: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). La presenza di Dio nella vita di Maria è un dono di grazia, ma è anche una presenza esigente, che le chiede di consegnare la propria vita a un disegno di misericordia che abbraccia l’intera umanità.

E Maria si offre a questo disegno, donandosi come strumento di edificazione di quel corpo umano di cui il Figlio di Dio ha bisogno per farsi come noi e vivere quindi per noi. Nel dono di sé da parte di Maria è data a noi la certezza che nella nostra umanità viene aperta a Dio una strada, ed è offerto a noi un modello incomparabile ma degno di fiducia per la nostra esistenza.

La Vergine annunziata ci dice che la radice della nostra verità e del nostro essere sta nell’essere protesi verso gli altri in un disegno di dono. Chi diventa consapevole che è destinatario di un dono, che fa nuova la vita, come accade a Maria, non può che farsi dono agli altri, come fa Maria. È la radice di una convivenza umana in cui nessuno si sottrae al farsi carico dell’altro e traduce questo in rapporti personali, forme di vita sociale, sistemi economici, strutture civili che creano comunione. E la Chiesa è già pronta a fare la sua parte.

PREGHIERA DI AFFIDAMENTO ALLA VERGINE ANNUNZIATA

O Vergine Annunziata,

che hai accolto con fede la Parola dell’Altissimo,

e per opera dello Spirito Santo hai concepito il Verbo della Vita,

rivolgi a noi il Tuo sguardo

ed ascolta la nostra preghiera.

A Te, Salute degli infermi e Aiuto dei cristiani,

rivolgiamo le preghiere e le invocazioni di tutta l’umanità.

A Te affidiamo in modo particolare

l’Arcidiocesi di Firenze,

la città, i borghi e i paesi del suo territorio,

e tutte le terre di Toscana,

soprattutto in questo tempo di prova,

in cui sperimentiamo ancora una volta

la nostra umana fragilità.

Accogli nel tuo abbraccio materno,

accompagnandoli fino al Padre,

quanti muoiono a causa del morbo

che si diffonde con tanta violenza,

Consola i malati, i sofferenti, gli infermi

e tutti coloro che sono nella prova

custodendoli con la grazia del tuo Figlio

ed il balsamo del tuo amore.

Assisti i medici e tutti gli operatori sanitari:

per tuo dono siano immagine viva del Cristo,

vero Buon Samaritano della storia

che anche oggi si china su quanti sono nel dolore.

Illumina le autorità pubbliche

con la grazia dello Spirito Santo

perché compiano, in ogni situazione,

le scelte più giuste per il bene comune.

Sostieni le nostre comunità cristiane,

smarrite e sofferenti per non avere il dono

di celebrare insieme l’Eucaristia:

alimentate dalla preghiera personale,

possano adorare il Padre in spirito e verità.

Custodisci tutti noi

sotto il manto della Tua protezione;

benedici ogni desiderio di bene;

accompagna e sostieni i nostri passi

ravvivando in noi fede, speranza e carità.

O Vergine Annunziata,

immagine e modello della Chiesa,

veglia sul nostro cammino

verso la pienezza della vita

che riceveremo dall’incontro pasquale con il Risorto.

Amen.