Firenze

Messa di Pasqua: l’omelia del cardinale Betori prende spunto dall’Infinito di Leopardi

“Ciò che è in gioco in questi versi – ha affermato l’arcivescovo  di Firenze –  è la tensione che si crea tra il nostro limite, che quella siepe misura, e l’attesa, perfino l’impaurirsi, il timore di ciò che è oltre, di ciò che non ha misura, l’infinito, precisamente”.

La perdita del senso dell’infinito, ha sottolineato, spiega molto aspetti della cultura del nostro tempo: “la poca considerazione per la vita nella sua fragilità, in specie al suo inizio e al suo termine naturale; la preoccupazione per la salvaguardia di sé, persona, gruppo di interesse, perfino etnia e nazionalità, quasi che la dignità che è di ogni persona umana non basti a giustificare il prendersene cura, in ogni caso, senza distinzioni; la disattenzione con cui ci poniamo nei riguardi dell’ambiente, quasi che esso possa esistere a prescindere da noi, senza una responsabilità verso il futuro e, nel presente, verso i più deboli; l’egoismo che ci domina quando mettiamo a tacere le voci dei tanti che soffrono per le guerre, per condizioni di vita inumane, per privazione di diritti e di libertà; la solitudine che amareggia l’età avanzata e la malattia di uomini e donne che hanno dato tanto nella loro vita e non hanno più nessuno a cui appoggiarsi; aggiungerei anche la sempre più netta linea di demarcazione che poniamo tra i nostri interessi e quelli della comunità, il venir meno dell’impegno per il bene comune”.

Di fronte a tutto questo, ha detto ancora Betori, “dobbiamo saper cogliere i segni che il Signore ci offre nel cammino della vita, esili impronte di lui, l’Infinito: i gesti di amore che pur non mancano attorno a noi, i sentimenti di speranza che animano la vita di tanti e aiutano ad andare avanti pur tra sofferenze e difficoltà, la fede salda della nostra gente che non si lascia travolgere dal pensiero unico che tende tutto a materializzare. Questa gente, magari di una fede semplice e che fatica a dirsi, non si lascia turbare da venti forti, fuochi divoranti e terremoti devastanti, per usare le immagini della storia di Elia, cioè le tante manifestazioni di forza con cui i poteri di questo mondo vorrebbero farci credere che, in cambio di una presunta illusoria felicità, possiamo cedere loro la chiave del nostro cuore. Non è così Dio, perché egli si fa spazio nella nostra vita in quella tensione tra limite e infinito che ogni giorno ci interroga, e, attraverso la fragilità dei segni, si mostra e si propone, discretamente, nel pieno rispetto di una coscienza libera”.

Prima dell’omelia, al canto del Gloria, come sempre dal Duomo è partita la colombina che ha innescato lo scoppio del carro: il volo della colombina si è svolto senza intoppi sia all’andata che al ritorno, un fatto tradizionalmente considerato di buon auspicio.