Firenze
Betori: pluralismo dell’informazione e volontariato, ci sono «spazi di libertà da difendere»
«Certe prospettive che si stanno chiudendo sul pluralismo e sulla territorialità dell’informazione non mi piacciono per nulla, dobbiamo difendere le voci locali». Lo ha affermato il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, incontrando stamani i giornalisti per gli auguri di Natale alla città. Betori ha parlato di «spazi di libertà da difendere», aggiungendo: «Non può avere spazio solo chi ha soldi, la società deve sostenere la voce di tutti. Questo lo dico per la comunicazione, lo potrei dire per altri ambiti. Mi preoccupa ad esempio il non riconoscere l’apporto positivo che da parte del volontariato o del no profit viene dato alla società». Betori ha fatto riferimento al Gabinetto Viesseux, una delle più significative realtà culturali di Firenze: certe espressioni culturali, così come il volontariato, non possono essere trattate al pari di un ente commerciale: «Trattare la Misericordia come la Fiat non ha senso. Credo che certe ispirazioni abbiano radici lontane: questo spirito contro la società civile non appartiene alla cultura italiana, appartiene ad altre culture».
In merito alla possibilità di nuove forme di aggregazione dei cattolici in politica «Non mi esprimo – ha affermato – sono profondamente convinto che siano i laici a dover fare una scelta. Non sta a noi preti, e a noi vescovi tanto meno, di dover fare le guide. Sui valori sì, sui problemi sì; sui modi no. Quello che io vedo è che non sono scomparse le forme di far politica, è scomparsa una cultura: se non c’è un Codice di Camaldoli non nasce la DC. Manca un pensiero di ispirazione cristiana che spinga i laici. Mi guardo bene dal dire che manca un partito cattolico. Il mio consiglio: è rielaboriamo un pensiero sociale adeguato ai nostri tempi, che non sono più i tempi della Costituente, quando i cattolici elaborarono principi e valori che potevano essere condivisi da cattolici e non cattolici. Perché non si tratta di attrarre il consenso del mondo cattolico, ma della gente in generale».
La politica, ha detto ancora Betori, «è una cosa bella». Il 2019 sarà, per Firenze, anno di elezioni: i prossimi mesi “devono essere salutati come un tempo favorevole perché tutti possano dire quello che ritengono il meglio per la città. L’importante è che si parta dai problemi della città e non da ideologizzazioni. Ascoltare la gente, partire dai loro bisogni e dare una prospettiva”. “Io non scendo nell’agone – ha aggiunto – al limite posso segnalare problemi, questo sì: la vicenda elettorale non mi ferma”.
Betori ha parlato anche del suo 11° Natale a Firenze. Parlando di come è cambiata la città in questi anni ha affermato “Colpisce il crescente peso che la città deve sopportare a causa della sua bellezza. Non possiamo rinunciare alla storia, ma gestire e non subire è il problema che abbiamo di fronte a noi. Non possiamo rinunciare a quel che siamo e a quel che abbiamo. Non credo al numero chiuso per i turisti, ciò che sa di proibizione suona male. Dovremmo promuovere un modo diverso di gustare la città e di farne capire i valori. Tutta questa gente col naso all’insù capisce perché i fiorentini si sono messi in testa di erigere i monumenti, il Duomo o Palazzo Vecchio? In quel perché c’è un’identità, una storia. Riusciamo a comunicarla? Molte delle persone che vengono qui non hanno neanche l’alfabeto con cui comporre le parole per interpretare quello che vedono. Senza cacciar via nessuno, ma accogliendo tutti più propositivamente.
Di questi 11 anni ha ricordato i momenti più belli, tra cui la visita di Papa Francesco alla città; tra i momenti più difficili invece «l’aspetto della pedofili a è quello più pesante perché svela un peccato gravissimo. Sappiamo che è un crimine umano: ma quando viene compiuto nella Chiesa appare ancora più grave. Sono entrato qui nella bufera, segnato da quei mesi molto difficili che ho potuto poi concludere, è nato il dialogo, il riavvicinamento, la preghiera comune, tanti incontri qui nel mio studio che non posso raccontare ma che sono per me molto significativi. La mia linea è di non nascondere nulla sotto il tappeto, tanto meno cose così ingombranti». Recentemente la Diocesi di Firenze si è anche costituita parte civile nel processo che vede imputato don Glaentzer: «vuole essere un segno che noi rispettiamo la giustizia umana e vogliamo esserne partecipi per quello che possiamo fare nel chiarire gli eventi così dolorosi che ci sono caduti sopra le spalle». «Quello che mi vede più impegnato – ha aggiunto – è l’aspetto preventivo, che significa un accompagnamento molto curato dal punto di vista psicologico dei giovani che si avvicinano agli ordini sacri, e dei nostri sacerdoti. In seminario c’è una attentissima presenza di psicologi e psichiatri, che ci aiutano tantissimo, non giudicano della vocazione ma della maturità umana: senza maturità umana non c’è ambizione vocazionale che possa reggere. Nella Facoltà teologica c’è un corso su queste tematiche, della prevenzione e della tutela dei minori, tenuto dal professor Lassi, e continueremo nel futuro. Questa è la cosa fondamentale, non sono cose che si possono prevedere ma si può bonificare il terreno su cui queste problematiche possono esplodere».
Per quanto riguarda la vita ecclesiale, ha ricordato la recente proclamazione di Giorgio La Pira a Venerabile, che segue l’analogo passo compiuto per il cardinale Elia Dalla Costa, aggiungendo che «Non dovrebbe tardare anche il riconoscimento per don Giulio Facibeni». Un riferimento anche al Cammino Sinodale, che vede impegnata la Chiesa fiorentina, e alla Visita pastorale che lo vedrà impegnato ancora per i prossimi due anni. Ha parlato della novità dell’anno propedeutico all’ingresso in seminario, attivato quest’anno nelle diocesi toscane, accennando anche alla situazione del Seminario, dove si registra un notevole decremento delle presenze che dovrà far ripensare l’organizzazione delle parrocchie. Aumentano invece le comunità cristiane, sia cattoliche che ortodosse, che chiedono la disponibilità di un luogo di culto a Firenze: tra le ultime, la comunità bulgara e quella libanese di rito maronita.