Un gruppo proveniente dal palasport di Sesto fiorentino dove erano stati ospitati dopo l’incendio che ha distrutto il capannone in cui vivevano, e nel quale è rimasto ucciso Ali Muse. La struttura occupata dista pochi metri dalla sede della Fondazione Culturale Stensen, dove abbiamo incontrato padre Brovedani. Mentre parla, ci mostra alle pareti alcune delle opere d’arte (una grande tela del Seicento, una via crucis in ceramica) provenienti dagli spazi occupati, che sono state rispettate e messe in sicurezza d’accordo con gli stessi occupanti. «L’integrazione – spiega – inizia con l’inserimento e ogni inserimento è un turbamento, suscita cioè un conflitto tra interessi diversi: spetta alla politica gestire questo conflitto. La politica infatti è l’arte del metodo. Sul merito tutti sono d’accordo e abbondano le retoriche. Chi non è d’accordo che ci troviamo di fronte a una catastrofe umanitaria epocale, a un vero e proprio esodo biblico? La politica deve indicare la strada (metodo significa strada): se la strada è giusta arrivi alla meta, altrimenti aumenta la confusione e il disorientamento. Per questo i politici devono essere adeguatamente preparati ad affrontare questi nuovi e complessi fenomeni, senza farsi condizionare dai conflitti di interessi soggiacenti: tra le urgenze che abbiamo oggi c’è anche la formazione di una classe politica in grado di gestire queste inedite complessità».Ma per gestire queste situazioni non basta la sola ragione: «Non dobbiamo sottovalutare i sentimenti, perché la ragione per sua natura è calcolante. Quando poi incontri le persone e ti trovi di fronte a degli sciagurati e sventurati, a prescindere dalle loro condizioni o eventuali imputabilità, deve prevalere l’attenzione alle loro necessità e ai bisogni più urgenti. Devo cioè chiedere a loro, prima di tutto: “come stai? Di cosa hai bisogno?”. Poi si discute anche della legalità, ma con ragionevolezza: l’esercizio della legalità, infatti, esige delle rinunce da parte di tutti, deve essere contestualizzato e non deve avere come esito un ulteriore svilimento della loro dignità. Questo è fondamentale. Bisogna tentare di convincere, e mai vincere: se convinco creo un fratello e un alleato, se vinco suscito un istintivo bisogno di rivalsa con conseguente irrigidimento delle posizioni o rivendicazioni».La questione, prosegue padre Brovedani, ha anche importanti risvolti e implicazioni educative: «Nelle situazioni inedite e complesse è difficile orientarsi e operare delle scelte. Spesso si crea un conflitto di valori: tra i valori perseguiti (nella fattispecie la legalità) e i valori eventualmente violati dalle possibili conseguenze dell’agire secondo i requisiti della legge. Non siamo abituati e preparati a considerare l’etica delle conseguenze: siamo stati educati all’etica delle buone e rette intenzioni. Nel tentare di fare il bene a volte possiamo paradossalmente (in buona fede) fare del male, perché ci possono essere delle conseguenze che rischiano di vanificare il bene che abbiamo fatto. Educare le giovani generazioni all’etica delle conseguenze deve costituire una tra le più importanti priorità e responsabilità formative dei prossimi decenni».Gli occupanti (circa un centinaio) sono tutti di religione mussulmana. « La mia preoccupazione è stata quella di accoglierli, a prescindere dalla loro appartenenza confessionale. Li ho subito pregati di rispettare le più elementari regole della convivenza civile. In tal senso sono stati esemplari. Con la dovuta discrezione ho cercato anche di metterli in guardia dalle possibili strumentalizzazioni di gruppi politici che perseguono ben altri interessi, e di valutare i rischi che si sono assunti nell’occupare abusivamente e illegalmente uno spazio che era riservato al culto e in cui sono custodite delle opere d’arte. Tra questi rischi c’è soprattutto un ulteriore svilimento della loro già provata dignità, qualora dovesse intervenire uno sgombero. Per questo li invito: accettate la trattativa, parliamo insieme, altrimenti sarete sempre voi le vittime di questa situazione». Accanto a padre Brovedani c’è il gruppo dei ragazzi che lavora con lui all’Istituto Stensen: «Devo essere molto riconoscente ai miei ragazzi che in questa circostanza hanno dato prova di grande comprensione e umanità. Per rendere la loro condizione meno disagevole, portiamo a queste persone delle suppellettili e del cibo, grazie all’impegno dells parrocchia della Madonna della Tosse, alla Comunità di Sant’Ignazio, ad altre associazioni di volontariato. Siamo anche in comunicazione con la Caritas. Speriamo sempre in una soluzione che passi attraverso una ragionevole convinzione. Del resto, per i prossimi decenni si prospettano delle situazioni che metteranno a prova la nostra capacità di maturare e vivere una fede adulta e responsabile. Presto, secondo le previsioni dei competenti organismi dell’ONU, la popolazione mondiale supererà gli 8 miliardi: di questi 8 miliardi l’80 per cento vivrà nelle periferie delle città, con problemi di convivenza drammatici. Sono le periferie dell’umano, quelle in cui Papa Francesco ci invita ad andare, rendendoci “prossimi”. Incroci di strade, crocevia dell’umano: la croce è quell’incrocio dove si vivono le più drammatiche contraddizioni dell’umano. Il futuro della Chiesa è lì, perché è lì il luogo di una nuova incarnazione del Cristo».