Firenze

Verità, annuncio, autenticità:se la Chiesa entra nell’era digitale

di don Bruno Simonetto*

Il programma della «Settimana della Comunicazione» predisposto nella nostra Arcidiocesi in ordine alla celebrazione della 45ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (che si tiene domenica 5 giugno, festa dell’Ascensione del Signore, e che ha quest’anno per tema: «Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale»), è stato inviato a tutte le parrocchie fiorentine e fatto giungere, per opportuna conoscenza, a tutti gli Operatori della Comunicazione massmediale presenti nel territorio.Il tema della Giornata si caratterizza per porre al centro di tutti i processi della comunicazione la persona umana per la quale, nel nostro tempo così largamente condizionato dalle nuove tecnologie, resta fondamentale il valore della testimonianza personale.«Comunicare il Vangelo attraverso i nuovi media – scrive Papa Benedetto XVI nel suo Messaggio – significa non solo inserire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diversi mezzi, ma anche testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita. Del resto, anche nel mondo digitale non vi può essere annuncio di un messaggio senza una coerente testimonianza da parte di chi annuncia. Nei nuovi contesti e con le nuove forme di espressione, il Cristiano è ancora una volta chiamato ad offrire una risposta a chiunque domandi ragione della speranza che è in lui (cfr 1Pt 3,15)».Per approfondire questa tematica della nostra testimonianza di vita, la «Settimana della Comunicazione» che, come in diverse diocesi, si celebra anche nell’Arcidiocesi fiorentina dal 29 maggio al 5 giugno, è articolata in una serie di eventi culturali e mass-mediali che ci si augura possano coinvolgere il maggior numero possibile di persone, data la sempre più decisiva importanza della conoscenza e dell’uso dei mezzi della comunicazione sociale al fine della formazione delle coscienze e della creazione di mentalità e di modelli di vita nel nostro tempo. Ciò che più deve starci a cuore è che il tema – proposto alla riflessione di tutti i fedeli, e non solo degli Operatori della Comunicazione Sociale – trovi ampia risonanza e convinta partecipazione da parte di tutti, trattandosi dell’esigenza imprescindibile di «moralizzare» il web e insieme tutti i new media della comunicazione.Il Direttore dell’Ufficio nazionale delle Comunicazioni sociali della Cei, mons. Domenico Pompili, ha opportunamente rilevato che il cosiddetto «mondo digitale» è un nuovo ambiente da conoscere e animare, spiegando che «l’ambiente digitale non è solo un nuovo contenitore per vecchi contenuti, ma è un contesto inclusivo in cui siamo immersi, e che ci costringe a ridefinire i nostri messaggi, ciò che pensiamo valga la pena comunicare, nei nuovi linguaggi, tenendo conto delle loro caratteristiche: istantaneità, immersività, interattività, multimedialità, orizzontalità e molte altre. Non tenere conto del fatto che “il medium è il messaggio”, che se vogliamo comunicare dobbiamo sfruttare le potenzialità e limitare i rischi dell’ambiente in cui ci muoviamo, che oggi è l’ambiente digitale, sarebbe come rassegnarsi all’afasia e all’incomunicabilità. D’altra parte – continua mons. Pompili – muoversi consapevolmente nel nuovo ambiente non significa accettarne le logiche in modo problematico, e soprattutto non significa inseguire ingenuamente le mode dettate da chi in questo ambiente si muove senza scrupoli e senza interesse per l’umano, ma solo con logiche strumentali. A proposito dei new media, si legge negli Orientamenti pastorali Cei 2010-2020: “Essi vanno considerati positivamente, senza pregiudizi, come delle risorse, pur richiedendo uno sguardo critico e un uso sapiente e responsabile” (n. 51).Se i criteri di successo nella rete sono di tipo quantitativo, sta alla sensibilità di ciascuno in generale, e della Chiesa in particolare, cogliere i bisogni individuali che scompaiono dietro ai comportamenti conformi, intercettare le insoddisfazioni per le risposte preconfezionate e banali che così facilmente e abbondantemente la rete rende disponibili e offrire contesti di ascolto e di vicinanza; tutto questo sfruttando il carattere partecipativo dell’ambiente digitale per dar voce a letture della realtà, prospettive, desideri e immaginari che siano diversi da quelli improntati all’immanenza totale, al cinismo, all’idolatria, alla strumentalità e all’ipocrisia di tanta parte della cultura contemporanea.Questo significa, da parte della Chiesa, prendere la parola in modo compatibile con i nuovi linguaggi: non in modo intellettualistico e astratto, ma piuttosto basato sulla testimonianza; non autoritario ma autorevole, perché capace di parlare all’umano nei suoi bisogni di senso inespressi ma profondi; non moralistico né tanto meno politico, ma etico, orientato al vivere bene insieme, nel rispetto integrale di ciò che ci costituisce come esseri umani, nell’accoglienza e nell’amore per la vita in tutte le sue molteplici forme (e non solo in quelle che corrispondono agli standard fissati dalla cultura contemporanea).Significa proporre una parola non di giudizio ma di accoglienza, di vicinanza, di accompagnamento, di testimonianza di una verità che è credibile perché passa dalla vita e la illumina, attirando chi della luce ha bisogno (…).Dentro questo “ambiente digitale” la Chiesa può contribuire a rinnovare la cultura, ma anche rinnovarsi. Può parlare di sé in prima persona, anziché farsi raccontare da altri in modo strumentale, ma deve anche meglio imparare ad ascoltare e a far dialogare le sue diverse membra, a dare spazio alle voci di chi in essa si riconosce, a promuovere un nuovo stile educativo basato sull’incontro, l’accoglienza, l’ascolto, la con-generazione di un modo di abitare questo presente così complesso e ricco di sfide, ma anche così ricco di opportunità per un nuovo umanesimo digitale» (Avvenire, 17 maggio 2011, pag. 24).               *  *  *  A questo punto, non possiamo non ricordare con forza ciò che Papa Benedetto XVI disse, il 24 aprile dell’anno scorso, parlando nell’Aula Paolo VI ai partecipanti al Convegno «Testimoni digitali. Volti e linguaggi dell’era crossmediale»: «Il mondo della comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale, valorizzando i percorsi formativi proposti dalle Università Pontificie, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dalle altre Università cattoliche ed ecclesiastiche, destinandovi con lungimiranza persone e risorse».  Persone e risorse. E oggi siamo chiamati – come Chiesa fiorentina e insieme come Chiese locali della Regione Ecclesiastica della Toscana – a dare una chiara risposta a questo appello; una delle molte risposte che in questi anni le nostre comunità parrocchiale stanno cercando di offrire. Del resto, non è da ieri che la Chiesa Italiana si interroga sul valore della comunicazione nell’economia della propria missione. Il «Direttorio sulle Comunicazioni Sociali nella missione della Chiesa» porta la data del 18 Giugno 2004. Il V Capitolo di questo fondamentale Documento, che apre la seconda sezione dedicata a «Percorsi e iniziative pastorali», si intitola, per l’appunto: «Per una pastorale organica delle comunicazioni sociali». E, al num. 99, si afferma: «Il primo passo di questa conversione pastorale consiste nel definire un piano per le Comunicazioni Sociali. Non un ulteriore segmento della pastorale o un settore dedicato ai media, ma lo sfondo per una pastorale interamente e integralmente ripensata a partire da ciò che la cultura mediale è e determina nelle coscienze e nella società». Vogliamo credere che questa non resti lettera morta… e nemmeno soltanto semi-viva, convinti come siamo che la pastorale delle Comunicazioni Sociali non può essere equiparata, ad esempio, a quella del Tempo libero, della Scuola o della Sanità. Proprio perché quello della comunicazione è un ambito trasversale a tutta l’azione pastorale della Comunità ecclesiale, concretizzandosi in un «Piano per le Comunicazioni Sociali» che costituisca un impegno costante e trasversale, un «elemento di coagulo» per l’azione pastorale in tutti gli ambiti della vita della nostre Comunità ecclesiali.  *Direttore dell’Ufficio diocesanoper le comunicazioni sociali