Fiesole

Giornata missionaria: don Gabriele tra i “piccoli” del Brasile

DI DON GABRIELE MARCHESISono tornato, come ogni giorno in questo tempo di stagione «secca», da una visita ad un villaggio della parrocchia. Ho fatto più a meno un centinaio di chilometri in moto, dal momento che la strada era un vero e proprio sentiero pieno di sabbia, per incontrare un gruppetto di persone, una dozzina in tutto. Abbiamo parlato di Gesù, del suo Vangelo, della speranza che infonde nella nostra vita, della fraternità che sconfigge la povertà, del senso che la fede dà anche ai momenti più difficili della nostra esistenza… e poi di come cercare di organizzare la comunità, come invitare e coinvolgere le persone vincendo la distrazione e la voglia di lasciare che la vita scorra da sola, come cercar di comunicare l’idea che Dio è comunità che ci chiama a essere e fare comunità… All’andata, recitando il rosario, meditavo soprattutto l’agonia di Gesù nell’orto degli olivi, la sua scelta meditata e sofferta all’estremo, di offrire la vita nonostante la durezza del cuore umano. Al ritorno pensavo a quel gruppetto, quasi esclusivamente di donne, nel quale ho riposto la speranza di una futura comunità; pensavo alla loro fragilità, al fatto che non potrò tornare a visitarle se non tra un paio di mesi, al fatto che è ancora troppo presto per celebrare la Messa là, e riflettevo che è la stessa logica del Getsemani che può e deve sostenere ogni agire pastorale, in qualsiasi situazione o luogo del mondo. Sono stato là (il posto si chiama «Cocalzinho» – pronuncia: «Cocausigno«) ed ho cercato di farmi “fratello” di quelle persone, senza calcoli, senza pensare se valeva o no la pena fare tutta quella strada. «Va’ dai miei fratelli…» dice il Risorto alla Maddalena. Mi pare che sia proprio in questa dimensione di fraternità che si possa capire e spiegare la missionarietà della Chiesa tutta: la missone non si spiega con il «fare», sarebbe largamente fallimentare dinanzi alle infinite necessità, ma con la relazione nuova, la relazione di «fraternità» in Cristo che cerca di realizzare. «Essere» fratelli, farsi fratelli nella scia di Colui che «non si vergogna di chiamarci fratelli» (Eb 2,11) e condurre alla fraternità gli uomini del nostro tempo, vuol dire diffondere la buona notizia di Cristo, chiamare a quella conversione che la presenza e l’amore del Salvatore provoca ed esige. Non sono forse fratelli i primi discepoli chiamati da Gesù? E non è forse da una comunità diocesana di fratelli nella fede che è nata la vocazione missionaria mia e degli altri? Chiamare alla fraternità l’altro significa rispettarlo nella sua differenza, significa non vederlo come semplice destinatario della nostra azione, ma come protagonista della sua e nostra conversione. Costruire fraternità significa abbattere tutti quei «muri di separazione» che nonostante 2000 anni di cristianesimo ancora esistono fra gli uomini, vuol dire capire che il fratello non si può scegliere, ma solo accogliere, altrimenti lo si uccide (vedi Caino) e tutto questo ci porta ad accettare e vivere, nell’unità, il vangelo dell’amore, riconoscendoci figli dell’unico Padre. Guardare alla missione in quest’ottica di fraternità porta a scoprire che tutti siamo missionari, in qualsiasi luogo, perché ogni paese, ogni parrocchia, ogni famiglia sono terra di missione per rendere più fraterni, alla luce del Vangelo, i rapporti fra le persone. Chi vive a Fiesole o in un qualsiasi paese di una delle terre della nostra diocesi, ha lo stesso mandato di essere missionario «fra la gente».E qual è lo stile missionario che qui si impara? Come trasmettere la rivelazione di Dio e la sua chiamata all’amore in un modo credibile? Ricordo il momento in cui Dio si rivela a Mosè: «Mosè, togliti i sandali…» e mi piace accostarlo ad un altro momento della Bibbia, quando le stesse parole non appaiono, ma sicuramente furono pronunciate da Gesù: «Pietro, togliti i sandali perché voglio lavarti i piedi». La rivelazione della grandezza e della santità di Dio si ha sicuramente nel servizio vissuto per amore e con amore, soprattutto verso i più poveri e i più dimenticati. Ecco una delle ragioni per cui continua ad avere senso la presenza di «missionari» in paesi lontani e in mezzo a popolazioni povere. Non sempre è facile vivere questa dimensione, ma qui sappiamo che possiamo contare sulla fede e la preghiera di tutti voi. Io mi trovo in Brasile da quasi sette anni e per i primi tre ho vissuto in fraternità con don Sergio Ielmetti e don Franco Manetti nella parrocchia di Vitória do Mearim, ora siamo in tre luoghi diversi. Don Sergio, a causa dell’età e della condizione fisica, si trova nella Parrocchia di Sant’Antonio nella città di Santa Inês e aiuta il parroco nella pastorale oltre a seguire con l’affetto di sempre i preti e soprattutto quelli in difficoltà. Don Franco è l’unico che ancora rimane legato a Vitória do Mearim, anche se la sua presenza là è ristretta al fine settimana; negli altri giorni svolge il suo prezioso servizio come padre spirituale dei seminaristi in São Luís (la capitale dello Stato del Maranhão) oltre che di punto di riferimento per molte comunità di religiose. Io dal febbraio del 2006 sono parroco a Pedro do Rosário, dove dall’anno scorso ho la collaborazione delle Suore Figlie di N. S. della Misericordia e di un prete romano che insegna in Seminario a São Luís e passa qui il fine settimana. Questo ottobre missionario è un’occasione per rafforzare ulteriormente i legami che ci uniscono; sappiamo che l’aiuto della vostra preghiera non viene meno e ve ne siamo profondamente grati. Quello che desidero dirvi, anche a nome di don Sergio e don Franco è che anche noi, da questa parte del mondo e insieme ai «piccoli» di questa terra, preghiamo per voi affinché oltre alla «radice» fiesolana e alla fede, anche la missione ci unisca sempre più e con tutti in un mondo evangelicamente più fraterno. LA VEGLIA MISSIONARIA DIOCESANA A PRATOVECCHIO«Vangelo sensa confini» è il tema scelto in Italia per celebrare l’83ª Giornata Missionaria Mondiale. E sarà anche il tema della Veglia diocesana che si tiene questo sabato 17 ottobre a Pratovecchio presso la Propositura del SS. Nome di Gesù a partire dalle 21.15. Il tema della serata ricorda non solo la grandezza del dono della fede che i cristiani hanno ricevuto, ma anche il compito di annunciare ad ogni uomo che Dio si è fatto uomo condividendo dolore e gioia, morte e vita. Insomma, non ci sono confini, diversità o terre lontane che possano fermare la Parola di Dio. Posta nel cuore di ogni credente, essa è resa credibile ai fratelli più lontani dalle nostre scelte di vita. La Chiesa, in ciascuno dei cristiani, si fa dunque sorella e vicina a tutti coloro che attendono. Durante la Veglia una suora indiana delle Francescane di S. Elisabetta – che hanno la casa di fondazione a Casalino – porterà la sua testimonianza. Alla celebrazione prende parte anche il vescovo Luciano Giovannetti. Al termine della Veglia sarà consegnato a ogni partecipante un biglietto colorato dove sarà stampato il nome di una nazione. «Con la nostra carità e la nostra preghiera – spiega il parroco di Pratovecchio don Guido Pratesi – possiamo raggiungere ogni popolo della Terra. Per questo, prima di chiudere la celebrazione e rientrare a casa, daremo un segnalibro sul quale è scritto il nome di una nazione per cui pregare».