La pace non è impossibile in Terrasanta. La soluzione ad un conflitto che si porta avanti da decenni è una speranza che i cristiani devono coltivare e che i governi israeliano e palestinese sono in grado di perseguire. Michel Sabbah, patriarca di Gerusalemme, in visita domenica scorsa a Sansepolcro, è convinto che mettendo fine alle ingiustizie che si stanno consumando in Medioriente la tensione cesserà e la Palestina potrà avviarsi verso un periodo di pace.Monsignor Sabbah, quali sono le ragioni della vittoria di Hamas, partito di resistenza islamica e organizzazione che sostiene il terrorismo anti-israeliano, alle recenti elezioni politiche nei territori palestinesi?La vittoria di Hamas non è un successo del conflitto armato. Del 70% dei voti raccolti solo il 20% corrisponde ad una reale adesione alle idee e ai metodi della resistenza islamica. I restanti voti sono un segno di protesta contro la debolezza e l’inefficienza del governo di Al-Fatah nel respingere gli attacchi espansionistici di Israele. Hamas non avrebbe successo se non ci fosse l’oppressione israeliana. Per capire la vittoria di Hamas è necessario tornare all’essenza del conflitto. Chiediamoci perché israeliani e palestinesi sono in guerra. Gli israeliani dicono di vivere nell’insicurezza, i palestinesi dicono di essere privati della libertà e di essere sotto occupazione militare israeliana. Dunque, se cessa l’occupazione israeliana non ci sarà più causa di insicurezza per Israele. La vittoria elettorale di Hamas preoccupa l’Occidente, che teme l’interruzione del processo di pace e la ripresa del terrorismo. Crede che Hamas saprà varare un governo accettato dalla comunità internazionale e che metterà stabilmente fine al conflitto armato?Se Hamas cesserà di essere un partito di opposizione e di resistenza e se seguirà la via della moderazione e del dialogo, il governo palestinese sarà forte, capace di firmare un accordo di pace. Adesso è necessario aspettare i risultati delle elezioni israeliane. Se le urne israeliane porteranno un nuovo governo, deciso ad arrivare ad una soluzione concordata, allora la pace si farà. Ci sono dunque concrete speranze che il timido processo di pace avviato da Abu Mazen e Sharon sia portato avanti?Se Hamas realizzerà l’alleanza politica con Al-Fatah di cui si parla in questi giorni, dovrà accettare ciò che Al-Fatah ha compiuto, cioè gli accordi preliminari con Israele. Se Israele avanzerà la proposta di un accordo definitivo, il governo palestinese non si tirerà indietro. Quindi, tutto è nelle mani di Israele. Se Israele accetta di dialogare, forse ci saranno frutti; se Israele non accetta, tutto si bloccherà.È ancora di attualità la Road Map?È una strada. Israele deve essere pronta ad accettarla. E la comunità internazionale deve essere coerente e tenace nel farla applicare. Quali riflessi ha la vittoria di Hamas sui cristiani, considerando anche che nel suo programma elettorale Hamas ha dichiarato di volersi fare carico della protezione dei luoghi santi cristiani?Non ci saranno riflessi particolari. I cristiani sono parte del popolo palestinese. Hamas in questo momento sta cercando di accattivarsi il favore dei cristiani e di offrire loro sostegno e protezione. Per questo si mostrano aperti ad accontentare le nostre richieste. È necessario capire, però, che adesso Hamas sta cercando di realizzare un progetto politico, non religioso: la vita sociale e la religione sono da tenere su piani distinti.Quale ruolo deve giocare oggi l’Occidente nello scacchiere mediorientale?L’Occidente deve capire che in Medio Oriente e nella città di Gerusalemme si stanno consumando delle ingiustizie. Un popolo è stato per anni privato della propria libertà e lo è tuttora. A causa di questo si scatenano reazioni violente che causano insicurezza a Israele. L’obiettivo più importante è arrivare alla fine di questa ingiustizia e della conseguente insicurezza. L’Occidente ha il dovere di intervenire, perché il conflitto in atto ha dimensione internazionale. E l’intervento deve essere deciso, non debole come quello attuato fino ad adesso. Niente di significativo è stato concluso finora per merito degli Stati occidentali: viviamo ancora tra conflitti, violenze, odio, paure. L’Europa e gli Stati Uniti devono muoversi in modo deciso. Basta con i si può.I Paesi arabi sono attraversati da tensioni legate alla pubblicazione delle vignette anti-islamiche. Anche in Palestina si sta diffondendo un sentimento anti-occidentale e anti-cristiano? Ancora una volta occorre riflettere sulle cause che hanno portato a questa esplosione di violenza anti-occidentale. Il motivo è che ci sono stati e ci sono dei comportamenti dei Paesi occidentali verso quelli orientali che creano ingiustizia. La prima ingiustizia è quella che subisce quotidianamente il popolo palestinese. Non è detto che se verrà rasserenata la situazione palestinese tutto si risolverà. Ormai la malattia si è espansa. Ma è comunque necessario rendersi conto che una delle principali ragioni degli atteggiamenti anti-occidentali è la causa del popolo palestinese.Esclude che si tratti un conflitto tra religioni?Non è uno scontro tra religioni, ma tra popoli. È un conflitto politico. La religione è un elemento che entra nella guerra, ma non è la guerra stessa. Il conflitto è causato da comportamenti ingiusti o deboli, non dalla diversità di fede. I popoli che assistono alla paralisi e a inutili fiumi di parole insorgono contro le ingiustizie e contro chi lascia che avvengano.Anche il fanatismo è conseguenza delle ingiustizie compiute ai danni dei popoli mediorientali?Il fanatismo non viene da solo. È suscitato dalla povertà, dall’oppressione, dalla fame. Tutto questo alimenta il fanatismo e aiuta chi vuole sfruttare il sentimento religioso per trasformarlo in terrorismo e violenza.