Siamo reduci da un’altra tornata elettorale, questa volta per il rinnovo delle cariche elettive di alcuni enti locali, quelli a noi più vicini come i quartieri, i comuni e le province. Non è stata una novità, purtroppo, l’avere constatato la mancanza del tema «famiglia» all’interno dei programmi dei partiti e della coalizioni, di quasi tutti, salvo rare eccezioni. Come sempre, insomma, si è preferito non sbilanciarsi su un tema apparentemente delicato ed a rischio di pericolose «scottature», ovvero lasciare a semplici affermazioni di principio il compito di garantire la migliore presentabilità di questo o quel candidato. Questa carenza di coraggio rivela, in realtà, una scarsa conoscenza della questione, una grossa confusione di idee e (mi permetto di dirlo) una certa miopia politica.Ma perché i politici non vogliono scommettere sulla famiglia? Perché si affannano a cercare il consenso delle categorie economiche e professionali, fin’anche del terzo settore, ed ignorano la straordinaria importanza strategica della risorsa Famiglia nel tessere relazioni sociali positive in grado di restaurare la società dai suoi mali? Eppure, è stato ormai chiarito che la famiglia non è né di destra,né di sinistra, né di centro e che, tanto meno, non è un settore del variegato «mondo cattolico» da avvicinare in cerca di voti.Ciò nonostante, e nonostante tutti riconoscano che senza la famiglia la convivenza perde le sue fondamenta ed i suoi mattoni, manca nei nostri governanti la voglia (il coraggio, appunto) di farne il fulcro del benessere, il centro attorno al quale si possono ponderare i tempi e la cultura della città, la formazione delle nuove generazioni, la cura dei più deboli, la realizzazione nel lavoro. Ritengo possa essere un esempio emblematico di questa visione così imprecisa e poco illuminata l’indifferenza di molti verso la possibilità di un qualche riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Non si tratta di fare crociate contro i conviventi. Assolutamente. Si tratta di avere ben chiara la differenza tra l’assunzione pubblica di responsabilità e funzioni sociali che si assume esclusivamente attraverso l’istituto del matrimonio e l’esperienza affettiva, rispettabile quanto consapevolmente precaria per definizione, di rimanere nell’ambito di una rapporto privato tra due persone.Qualcuno può negare questa elementare differenza e le conseguenze che ne derivano in termini di organizzazione delle istituzioni e interscambio tra queste e gli attori sociali? Nessuno la nega, ma, al contempo, si preferisce lasciare scorrere ineluttabilmente gli eventi, verso quella che appare configurarsi più come una vittoria «politica» che un effettivo confronto su esigenze avvertite dalla popolazione. Ancora oggi, ai nostri politici chiediamo uno sguardo nuovo sul futuro. Chiediamo di investire veramente sulla famiglia in quanto tale e renderla protagonista (non più destinataria di aiuti). Chiediamo di attivare programmi di formazione per le coppie che si sposano con effetti anche civili. Chiediamo di consentire ai genitori una scelta autenticamente libera (perché ugualmente onerosa) riguardo la scuola dei propri figli. Chiediamo di calibrare i tempi della città a misura della famiglia, non impedendo (per esempio) che due genitori entrambi lavoratori non possano iscrivere il proprio figlio alla scuola materna solo perché superano il reddito massimo consentito. Chiediamo, insomma, di vedere l’unico futuro possibile, quello che prima delle imprese riconosce la famiglia come autentica chiave del benessere.di Iacopo Gori