Arezzo - Cortona - Sansepolcro

La paternità e la maternità responsabili

Ho qualche riga a disposizione per alcune riflessioni a margine del Convegno diocesano della Verna, positivo negli interventi e forse un po’ meno nel dibattito. Ho ascoltato ad esempio molto attentamente e, pressoché condiviso, i punti della relazione tenuta da suor Lorenzina Colosi sul «ruolo della famiglia e della comunità nella preparazione al sacramento del battesimo dei bambini e nel successivo accompagnamento» dove è nettamente emersa la difficoltà d’essere famiglia oggi e ancor più l’essere famiglia cristiana.La Chiesa è giustamente impegnata a guardare alla famiglia come primo naturale luogo di crescita della fede e ha fatto bene la relatrice a ribadire alcune tesi, date per scontate (ma sempre utili da riproporre per essere meglio assimilate). Ma ci sono anche altre questioni. Mi viene così in mente, come prima riflessione, che, nel concetto di paternità e maternità responsabile (non espresso in quel contesto, ma sicuramente sottinteso), debba essere contemplato un modello di vita secondo lo Spirito da trasmettere ai figli poiché l’amore responsabile si rivolge alla totalità della persona. Paternità e maternità responsabile significa, infatti, essere «aperti» in tensione feconda verso i figli; «nutrirli» di dialogo e di parole, ma anche di gesti concreti, di esempi, di comportamenti chiari, onesti: una proposta di vita che può veramente offrire spazi di confronto con la verità del Vangelo. Non è necessario che ci affidiamo all’autorità dei sociologi o dei filosofi. Tutti avvertiamo che il «senso religioso» è latente, ma questo non significa che siamo tutti «irreligiosi». Significa solo che l’atteggiamento religioso non è quello più facile e spontaneo per chi vive in quest’epoca. Semmai è il risultato di una ricerca, di una fatica, di una scelta.E’ indubbiamente più facile organizzare la propria vita sotto il segno dell’«io voglio» che dell’«io credo». Maternità e paternità responsabile, per i genitori cristiani, significa dunque, una scelta in tal senso: quella ,appunto, dell’«io credo». Non basta la semplice appartenenza visibile alla Chiesa per sentirsi famiglia cristiana. E’ il confronto umile e schietto con la Parola che deve indicare ad ognuno la strada. Questo credo che s’intenda quando si parla di fecondità della Parola. Se è vero che genitori cristiani non si nasce ma si diventa, poichè la fede cristiana lega strettamente amore e generazione, la catechesi familiare dovrà divenire veramente «nutrice» dell’ educazione. Ma come? Forse il problema per un concreto supporto della parrocchia è quello di superare lo stadio della sterile deprecazione moralistica. Forse la predicazione e la catechesi non sanno trovare la semplicità della parola del Maestro. Ma anche noi, «cristiani di facciata», non sappiamo dire con semplicità e chiarezza: credo in te, Signore, sono dei tuoi, sono cristiano.Anna Maria Berni