«L’esperienza di rettore del seminario è un’esperienza che ti segna a livello spirituale e umano e ti fa maturare come prete». Per quattordici anni ha guidato la comunità del seminario conquistando una sorta di primato della «longevità» che ha pochi precedenti in Toscana.Monsignor Rapaccini, come sono stati questi anni?«Sono stati impegnativi. Sentirsi responsabile della formazione del nuovo presbiterio ti carica di una grande responsabilità. E poi la vita del seminario è una vita piena. C’è una forte sensibilità nei confronti della Parola di Dio; c’è un inteso desiderio da parte dei seminaristi di volersi confrontare con la vita di Cristo e della Chiesa; c’è la volontà di crescere e camminare insieme. Ai seminaristi ho sempre detto: “Se non coltivate una passione per Cristo e per l’umanità di oggi, è meglio non farsi preti”».Qual è il ruolo del seminario nel nostro tempo?«La vita del seminario riflette la condizione dei giovani di oggi: alcuni entrano in seminario dopo aver fatto limitate esperienze parrocchiali, altri dopo una conversione. E’ stato, quindi, necessario affrontare non solo un cammino di discernimento ma anche di formazione umana e cristiana».E le difficoltà?«Come tutte le esperienze forti, anche il seminario ha aspetti di amarezza e di delusione che sono inevitabili».Lei è stato il rettore della riapertura.«Quando sono entrato in seminario al momento della riapertura ho trovato un ambiente freddo. Era una bella struttura, ma vuota. Si trattava di ripensarla come comunità. Intorno a me non avevo nessuno. E ho trovato anche abbastanza diffidenza: c’era una sfiducia generale nei confronti di una ripresa vocazionale. Fu una scommessa».Una scommessa che è stata vinta.«Direi di sì. Nel corso degli anni il nostro seminario si è davvero ripopolato. E’ stato importante averlo riportato al centro della vita della diocesi: migliaia e migliaia di giovani e adulti sono passati attraverso i locali del seminario. Significative sono state le Giornate mondiali della gioventù come quella di Roma quando ospitammo più di 2mila ragazzi del mondo. E poi mi sembra che i giovani preti che sono passati attraverso l’esperienza del seminario di Arezzo si sentano più inseriti nella Chiesa locale rispetto a quelli che si sono formati fuori diocesi».Che cosa dice al suo successore?«Sono contento della scelta di don Zeno Bellamoli come rettore e di don Luca Lazzari come vice rettore. In loro vedo una continuità di quel metodo educativo che ci sembra il più idoneo per i nostri tempi. A volte sono stato rimproverato di aver fatto del seminario un ambiente troppo aperto unendo la pastorale giovanile con la formazione al sacerdozio. Adesso gli altri seminari ci stanno imitando. E questo fa piacere perché significa che abbiamo trovato un cammino valido».Lei, però, resta alla guida della pastorale giovanile.«Sono felice che il Vescovo mi abbia chiesto di continuare a lavorare per i giovani. Anche la mia vocazione è nata con l’idea di essere a fianco dei giovani. Perciò mi ci sento a mio agio anche grazie al prezioso contributo di molti collaboratori».Giacomo Gambassi