Arezzo - Cortona - Sansepolcro

I sacerdoti «eroi» che misero in salvo gli ebrei

Alvaro Lucernesi era uno studente diciassettenne che viveva con la famiglia nella casa assegnata al padre Pietro, responsabile tecnico di una distilleria a quel tempo posta di fronte al collegio «Regina Elena». La distilleria si chiamava Uva (Utilizzazione Vinacce Alcoliche). Proprietà della famiglia Marzani di Arezzo, nel 1939 la ditta fu ceduta agli Stock di Trieste, imprenditori ebrei già famosi per la loro produzione di brandy. Durante la guerra, perciò, gli Stock approfittarono anche della loro della filiale di Sansepolcro per nascondervi i propri congiunti. È in questo modo che in casa Lucernesi arriva la famiglia di Emma Stock. Tuttavia la signora, già settantacinquenne, viene sistemata presso la parrocchia del Trebbio in casa di don Duilio Mengozzi e spacciata per sua madre (don Duilio aveva perso la mamma all’età di due anni). Si tratta di una donna con un discreto spessore culturale, che conosce alcune lingue e, soprattutto, è in grado di capire il tedesco. I militari che hanno insediato al Trebbio il proprio comando non se ne avvedono, neanche quando reca una bottiglia di vino ad un soldato ubriaco venuto a cercarlo in canonica.Tramite la figlia di Emma Stock, oggi anche Alvaro Lucernesi sta attivando l’istruttoria per onorare i nomi del padre Pietro e di don Mengozzi. Insieme al loro, si deve aggiungere quello di Raffaello Alessandri che, come direttore dell’ospedale, nascose alcuni ebrei, tra cui il professor Attilio Momigliano e sua moglie, nel reparto malattie infettive dietro la sola protezione di un cartello su cui era scritto «Tifo». Fu lo stesso Momigliano (nascosto nella canonica di don Mengozzi per poi raggiungere le linee inglesi) a descrivere questa esperienza facendone una commovente memoria nella premessa al suo commento alla «Gerusalemme liberata» del Tasso (quasi a unire idealmente Sansepolcro con la terra del Santo Sepolcro).Come il dottor Carlo Angela, anche il dottor Alessandri e il personale dell’ospedale di Sansepolcro accolsero fuggiaschi di varie nazionalità, tra cui un internato di Renicci originario di Lubiana (unitosi alla lotta partigiana e morto a Sansepolcro dove giunse gravemente ferito) un cinquantottenne nativo di Israele (deceduto per malattia all’interno del nosocomio), un paracadutista inglese (curato e nascosto all’interno della stessa struttura)- Il caso di Momigliano non corrispose, dunque, ad un fatto isolato, ma ad un aiuto sistematico verso chiunque ne avesse bisogno, esponendo a enormi rischi enormi la propria incolumità. In particolare molti sacerdoti non agirono come «eroi» per caso, ma risposero a direttive e appelli rivolti loro direttamente dai vescovi nell’ambito, sicuramente, di una «regia» superiore. I vescovi, infatti, invitarono i parroci a non abbandonare i loro parrocchiani, a rimanere vicino proprio nel momento di massima difficoltà, appoggiandosi generalmente ai giovani iscritti all’Azione Cattolica e aprendo le canoniche ad ebrei e ricercati, senza tuttavia fare opera di evangelizzazione.Occorre quindi porre l’attenzione sulle storie di altri semplici preti di campagna come don Domenico Mencaroni (parroco di Toppole e Verrazzano e morto per non aver voluto consegnare a militari tedeschi il registro delle nascite), don Giuseppe Tani (parroco di Casenovole e massacrato nel carcere di Arezzo con il fratello Santino, capo storico della Resistenza aretina), don Ilario Lazzeroni (il primo a cadere nell’eccidio del Passo del Carnaio, mentre impetrava la grazia per i civili da fucilare), don Francesco Babini (di Alfero, arrestato per aver nascosto degli ufficiali inglesi e poi fucilato a Forlì), don Giuseppe Rocco (parroco di Santa Sofia, vittima con il fratello di una vendetta da parte di slavi) e, insieme a loro, la figura ancora tutta da studiare di don Gino Lazzerini, parroco di Fresciano che durante il passaggio del fronte fu collaboratore della Resistenza e operò come mediatore con i reparti nazifascisti, oltre che rivestire il ruolo inusuale di medico e addirittura (per un breve periodo) di sindaco di Badia Tedalda.Andrea Bertocci