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Se il carnevale si trasforma in routine

Cosa è rimasto del carnevale? Una partita a carte, le tradizionali castagnole, qualche veglione un po’ più curato del1’uniformante discoteca. Non mancano, a dire il vero, le mascherate né i coriandoli né i carri, ma tutto è preso un poco come una divisa abitudinaria: lo spirito, l’allegria carnevalesca se n’è andata col senso profondo del carnevale come periodo di festa e baldoria per eccellenza, centrapposto all’ordine e alle norme della quotidiana consuetudine.Di questo in effetti non c’è più consapevolezza: del senso della trasgressione, della rottura anche violenta della ripetitività dell’esistenza che sempre portava con sé il periodo carnevalesco. Il carnevale come immagine speculare e ribaltamento della vita, festa esplosiva e quasi sacra per questa sua profonda serietà, era la momentanea concretizzazione del mitico paese di Cuccala. Pertanto tre erano le caratteristiche del vecchio superato carnevale: la sua matrice popolare, in quanto occasione di rivalsa e di soddisfacimento di bisogni fisici, quali il cibarsi a crepapelle; il suo carattere egualitario favorito dall’anonimato della maschera; la dimensione psicologica che fa diventare un po’ carnevalesca ogni festa. Profondi legami aveva inoltre il carnevale con il risveglio primaverile della natura, inizio del ciclo annuale, tanto da assumere un valore rituale che potrebbe spiegare alcuni suoi aspetti apparentemente arbitrari.Festa drammatica dunque, quella del carnevale, soprattutto per i suoi contrasti tra sacro e profano, tra le norme di vita acquisite senza discutere e la ribelle terrestrità. A guardar bene, non ci è poi rimasto molto del carnevale, oltre la sua veste cucita con castagnole e fegatelli di quei maiali che cadono all’inizio di questo periodo quasi vittime sacrificali per garantire l’allegria e il cibo della gente.Giuliana Maggini