Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«Io, giovane parroco, mi metto in ascolto di Dio e della gente»

La comunità di Centoia ha un nuovo parroco: è don Stefano Barconi, che succede a don Franco Fragai, da tredici anni alla guida di quella parrocchia dedicata a Santa Maria del Rosario. Don Stefano, alle prime esperienze di vita pastorale, è una nuova conoscenza per la Chiesa cortonese: è d’obbligo una breve presentazione.«Sono nato vicino al mare, a Pietrasanta, in provincia di Lucca, un sabato pomeriggio del gennaio 1972. Mio padre, originario di Lucignano, impiegato al Monte dei Paschi di Siena, era stato trasferito presso la filiale di Querceta, sulle Apuane e viveva là con mia madre. Sempre per via del trasferimenti di mio padre, ho trascorso a Siena gli anni della scuola materna, fino a quando la mia famiglia si trasferita definitivamente a Lucignano, dove poi ho sempre risieduto, insieme a mio fratello e a mia sorella. Ho frequentato il liceo scientifico a Siena; in quegli anni volevo fare lo scrittore o il giornalista; mi piacevano il latino e la Juventus. Poi venne la scelta dell’università e alla fine mi iscrissi ad ingegneria presso la facoltà di Pisa».Andavano bene gli studi?«Sì, ma qualcosa mi rendeva insoddisfatto. Si parlava di carriera, di progetti, di tecnica, ma il buon Dio mi faceva desiderare qualcos’altro. Giunsi al sospirato giorno della laurea, convinto che una nuova vita stava per iniziare per me: sognavo un lavoro, una famiglia, un’assunzione di prestigio. Già da tempo il mio parroco mi aveva fatto intravedere la possibilità dell’obiezione di coscienza, di un sevizio diverso e una testimonianza per la non violenza. La Caritas di Arezzo mi assegnò un servizio presso la Casa di riposo di Gargonza e alcuni pomeriggi preso la parrocchia di Lucignano, dove aiutavo alcuni ragazzi in un piccolo doposcuola. Molte cose cambiarono in me in quell’anno».Hai fatto poi anche esperienza di lavoro?«Sì, fui assunto alla Tesar, una ditta che costruisce trasformatori elettrici. Fu anche quello un anno bello e formativo. Ma la sete di qualcosa di diverso non mi lasciava in pace: che senso aveva tutto questo per la mia vita? Mi sentivo spesso stanco e vuoto. Desideravo qualcosa di più bello, di più grande».Quindi conoscesti don Giancarlo Rapaccini, rettore del seminario, partecipasti ad alcuni incontri.«Ed entrai in seminario. Sono stati anni belli anche quelli del seminario». Arrivò finalmente quel 28 maggio 2005.«Sì, il giorno tanto atteso, tanto bello e importante: il giorno in cui sono diventato prete con altri quattro amici».Quindi sei ritornato a Lucignano per un anno come vice parroco. Poi la parentesi missionaria.«Ho fatto un’esperienza a Camiri, in Bolivia. Sarei dovuto restare per tre anni come sacerdote “Fidei Donum”, prestato cioè ad una Chiesa povera e bisognosa, retta da un vescovo aretino, monsignor Leonardo Bernacchi. Ma sono rimasto solo due mesi, tuttavia veramente formativi. Mi mancava soprattutto lo spazio per la preghiera, il silenzio, la pace di tipo monastico. Così ho chiesto di ritornare in Italia e il Vescovo mi ha assegnato la parrocchia di Centoia».Che cosa significa ora essere parroco?«Significa soprattutto essere in ascolto, in ascolto della Parola di Dio, in ascolto degli altri. Più che fare molte cose, vorrei essere un segno dell’amore di Dio, un segno che il Padre ama ciascuno di noi, dal ricco all’ultimo mendicante, dal calciatore al malato. Vorrei essere capace di rapporti veri, di accoglienza e di amicizia sincera, aiutando a scoprire il progetto che Dio ha su ognuno di noi. Dedicando tempo al silenzio e all’Eucarestia, fonte della vita e della missione».Senti di avere un campo specifico di attività?«Mi sento spesso inadatto e privo di capacità specifiche, poco propenso al chiasso, ma vorrei essere pronto ad accogliere chi bussa alla mia porta. Al primo posto, più che particolari attività, metto la preghiera: senza di essa non possiamo fare niente e me ne sono già accorto di persona».La chiesa di Centoia è dedicata alla Madonna del Rosario e quest’anno ricorre il 90° anniversario delle apparizioni di Fatima. Non è questo un buon inizio per la tua attività pastorale?«Lo spero veramente. Ogni cristiano deve avere una devozione speciale per la Vergine Maria: è lei il modello più alto per seguire Gesù. Un cristiano che vuole seguire davvero Gesù e realizzare la propria vocazione non ha che da guardare Maria».di Benito Chiarabolli