Lo scorso 17 aprile erano 50 anni che il Vescovo di Sansepolcro, monsignor Pompeo Ghezzi, nasceva al cielo. Nato in Argenzia, frazione di Gorgonzola (in provincia di Milano) il 4 Giugno 1869 «da Angelo Ghezzi e da Caterina Ratti» (si legge nel quarto volume di I Vescovi di Sansepolcro di monsignor Ercole Agnoletti), venne consacrato Vescovo il 14 gennaio 1912 e fece il suo ingresso a Sansepolcro il 6 ottobre dello stesso anno rimanendo Pastore della diocesi biturgense per ben 41 anni. Lasciò la città il 27 novembre 1953 quando «egli diede l’addio alla diocesi con formale rinunzia», si legge ancora ne I Vescovi di Sansepolcro.In occasione del giubileo della morte di monsignor Ghezzi, il Vescovo emerito di Grosseto, monsignor Giacomo Babini, ha presieduto con diversi sacerdoti della zona pastorale Valtiberina una celebrazione in suffragio di monsignor Ghezzi. Monsignor Babini ha detto di lui: «Uno dei Vescovi più popolari di Sansepolcro. Popolare nel senso di conosciuto ed amato dal popolo diocesano».Questa ‘popolarità, ha aggiunto il Vescovo emerito, è indubbiamente riferita alla «sua figura paterna, dedita alla diocesi nella sua interezza territoriale, preoccupato di garantire il parroco a ciascuna delle 136 parrocchie di allora, da Casanova dell’Alpe, negli anfratti del Falterona, a Dese, attorno a Sestino, un poco Toscana un poco Marche». A questo fine invitò anche un buon numero di preti lombardi. «La sua figura paterna – ha continuato il Presule- è stata tale perché durante il suo lungo episcopato sono avvenuti fatti straordinari: le due Guerre Mondiali con tutti i cambiamenti del dopoguerra, sia della prima che della seconda, i terremoti del 1917 e del 1948, il restauro radicale della Cattedrale, il ventennio fascista con i notevoli problemi che portò con sé, i provvedimenti papali contro il Comunismo nel 1949». Tutti fatti, ha proseguito monsignor Babini, che «la nostra Chiesa apparentemente superò con una certa disinvoltura soprattutto perché c’era un popolo cristiano ancora fedele e non secolarizzato come oggi. Monsignor Pompeo Ghezzi nel bene e nel male rappresentò una presenza costante, granitica che sembrò passare sopra le opinioni correnti e infuse sicurezza».Nella parte conclusiva della sua omelia, il Vescovo emerito ha ricordato che quando partì per Erba «ci fu un cambiamento radicale». «Da un anno all’altro finirono molte associazioni laicali: la Compagnia del Rosario, la Compagnia del Crocifisso, la Compagnia della Buona Morte. E per la durata di qualche anno sotto la spinta dei preti dell’Onarmo sorsero l’associazione dei pastori, degli operai, degli emigrati. Tutte associazioni che avevano lo scopo di distribuire i pacchi degli aiuti del “Piano Marshal”, ma nessun programma chiaro di formazione: praticamente l’inizio della secolarizzazione, quella svolta sociale che poi è dilagata e della quale ora sperimentiamo le conseguenze». Monsignor Babini ha chiuso il suo ricordo di monsignor Ghezzi così: «Da queste poche cose che vi ho ricordato credo emerga chiara la nostra preghiera di questa sera: certamente non più di suffragio, ma la chiarezza e la fedeltà alla missione di Evangelizzare». Voglio chiudere questo articolo con quanto è riportato in quella Storia dei Vescovi di Sansepolcro (già citata in precedenza) il quale a proposito della morte di monsignor Ghezzi scrive: «Il Vescovo Ghezzi morì ad Erba, nel suo rifugio di silenzio e di preghiera, il mattino del 17 aprile 1957. La salma, trasportata a Sansepolcro il 18, fu esposta nel santuario della Madonna delle Grazie e, il 22, in Cattedrale, dove fu tumulata, il 23, alle ore 16, nella cappella del Santissimo Sacramento, secondo il desiderio espresso dal Ghezzi stesso il 25 Settembre 1954: Oso manifestare un vivo desiderio dopo la mia morte venir sepolto nel loculo che io stesso feci preparare nella già mia Cattedrale in Sansepolcro. Questo desiderio si fonda sulla ferma fiducia che i buoni fedeli di Sansepolcro, passando sulla tomba dell’antivo Vescovo per accostarsi alla Mensa Eucaristica, si rammenteranno certo di implorare con la preghiera la divina Misericordia per la povera anima mia».Alessandro Boncompagni