«Gerusalemme è prima di tutto un amore, un amore che unisce tutti i credenti in Dio, ebrei, cristiani, musulmani. Un amore che però può anche uccidere». Monsignor Fouad Twal, arcivescovo coadiutore del Patriarcato di Gerusalemme e futuro patriarca, ha presentato così a Sansepolcro l’attuale situazione della Terra Santa nell’incontro del 26 aprile ospitato dall’oratorio di San Rocco. «I problemi dei cristiani in Terra Santa sono molti – ha spiegato l’ex Arcivescovo di Tunisi – Prima di tutto per il nostro numero: siamo pochi e divisi. Di fronte alla grande massa di musulmani ed ebrei di questa terra, rappresentiamo solo il 2% in Palestina e in Israele e il 3% in Giordania. Poi c’è un’occupazione militare che soffoca la nostra attività pastorale, talmente tanto che è divenuto più difficile recarsi da Betlemme a Gerusalemme, distanti solo cinque chilomentri, che venire qui in Italia».Un velo di tristezza ha avvolto per un attimo l’espressione di monsignor Twal mentre pronunciava queste parole. Forse nella sua mente stavano scorrendo le immagini di quella terra martoriata che tanto bene conosce, per essere nato in Giordania ed essere stato ordinato sacerdote proprio a Gerusalemme. Perché tante divisioni? Perché tanta sofferenza? Una luce ha illuminato d’improvviso gli occhi del futuro patriarca di Gerusalemme. «Non dobbiamo impaurirci, però: anche i discepoli erano una minoranza e nonostante ciò hanno avuto coraggio e fede. I veri credenti saranno sempre una minoranza. Anche voi qui siete una minoranza, ma non per questo dobbiamo rinunciare ad essere il sale del mondo. Gesù ci ha detto: se qualcuno vuole seguirmi, che porti assieme a me la croce, ogni giorno. Noi siamo pronti a portare questa croce, con tutte le sofferenze che ne conseguono».Ma è la politica per monsignor Twal il problema più grande. «Molti dei grandi politici che decidono della sorte di tante persone si comportano in modo immorale. I governi d’Israele, ad esempio, ripongono tutta la propria fiducia sulle armi, sapendo che fin qui hanno vinto tutte le guerre e che potranno vincerle anche in futuro, ma non rendendosi conto che, in questo modo, a perdere sarà sempre la pace». Anche l’Occidente ha le sue responsabilità. «Quando si è deciso d’interrompere gli aiuti ai palestinesi, dopo la vittoria di Hammas, non si è punito Hammas, ma la povera gente». E’ deciso, monsignor Twal, nell’affermare tutto ciò: infatti, sa bene quello che dice. La sua esperienza come diplomatico presso la nunziatura apostolica in Honduras e nel consiglio per gli Affari Pubblici della Segreteria di Stato, gli ha insegnato molto. «Ci vuole maggiore maturità nella lettura dei fatti, non ci si può semplicemente schierare da una parte. Se Israele uccide nove palestinesi in due giorni e come risposta i palestinesi lanciano dei missili, che fanno tanto rumore, tanta paura, ma non uccidono nessuno, non si può dire solo che i palestinesi hanno rotto la tregua, ma con equilibrio, senza prendere le parti di nessuno, si devono chiarire le motivazioni». In questa situazione poi, nonostante le difficoltà, «la Chiesa locale deve cercare di essere un ponte tra le due parti». E i cattolici europei cosa possono fare? «Devono pregare per noi ed insieme a noi, venendoci a trovare, in pellegrinaggio, portandoci gioia», portando altro sale tra i vicoli della città santa. di Lorenzo Canali